Il suicidio di Alessandro chiuso nel silenzio del suo cellulare

Alessandro, alto bello e intelligente, rappresentava quello che si dice un ragazzo modello, ma è morto a 13 anni, precipitando dal balcone di casa: il salto, lo schianto, la morte.

Sul momento si poteva liquidare questa assurda, ennesima, tragedia come l’epilogo di quel ‘male di vivere’ che attanaglia il mondo giovanile, soprattutto in questi vacui tempi di ‘modernità’.

Forse non tutti sanno che, in Italia, il suicidio giovanile rappresenta la seconda causa di morte tra i giovani di sesso maschile, la terza per quelli di sesso femminile.

Le forme di autolesionismo interessano il 20% degli adolescenti italiani, aumentate esponenzialmente durante la pandemia. Numeri impressionanti. Ma all’estero, nord-Europa, Stati Uniti e Giappone (dove il suicidio è addirittura la prima causa di morte nella fascia 15-24 anni), se possibile va anche peggio.

Un suicidio come tanti, quindi? No. Incalzati dall’attonita famiglia di Alessandro, gli scrupolosi inquirenti di Torre Annunziata hanno guardato oltre la superficie e, grazie al cellulare del giovane, hanno affondato le mani nel torbido intrigo di messaggi di cui era stato destinatario, ipotizzando come dietro il suicidio vi fosse una precisa istigazione per indurlo a quel tragico gesto.

Nel registro degli indagati sono stati già iscritti cinque ragazzi: “Ti devi ammazzare“, “Buttati giù“, “Ucciditi“, esortazioni provenienti da persone che neppure facevano parte delle sue amicizie più strette.

Non sapevamo nulla di questi messaggi” hanno infatti riferito i genitori, increduli, distrutti dal dolore per la morte dell’unico adorato figlio.

Perché Alessandro ha tenuto loro all’oscuro? Perché non ha chiesto aiuto?

Proprio su questo argomento, ho scritto “Un colpevole silenzio”, romanzo tratto da una storia realmente accaduta, del tutto simile a quella di Alessandro.

Calandomi nelle pieghe di un dolore insopportabile, ho cercato di spiegare il silenzio che ammanta la vita di coloro che sopravvivono ad una tragedia così immensa. Un silenzio tombale, assordante, assoluto, colpevole.

Un silenzio che uccide e che chiede perdono per non aver visto, per non aver capito, per non aver fatto, per non aver detto, per non aver vigilato, per non aver educato.

Un silenzio che amplifica un fenomeno come il bullismo o la sua declinazione digitale: il cyber-bullismo, vera e propria emergenza sociale, ancora oggi, troppo spesso sottovalutata: secondo la Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS), oltre 50% dei ragazzi tra gli 11 e 17 anni ha subito episodi di bullismo.

E tra chi utilizza quotidianamente il cellulare, cioè l’85,8% dei ragazzi, ben il 22% riferisce di essere stato vittima di cyber-bullismo.

Quando la vita era davvero dura, il suicidio costituiva l’ultima opzione: in un mondo fatto di guerre, fame, carestie, rivoluzioni, epidemie, a tutto si pensava tranne che a lasciare questa terra per scelta propria, tale era il rischio di perire per un milione di altri fattori.

Poi però, quando il progresso – quantomeno dei Paesi occidentali più benestanti – ha offerto ai giovani pace e prosperità, è subentrata la noia e l’iconoclastia dei valori più profondi: droga, alcool, sballo, finte guerra fra bande o ultras, sassi dai cavalcavia, auto-distruzione nelle più svariate forme.

Da ultima è arrivata la ‘rete’ internet, i cellulari, i social, strumenti innocui e addirittura benefici se utilizzati con profitto, letali se messi al servizio del Male con la ‘m’ maiuscola.

La Blue Wave, quella strana balenottera blu che si presentava come un gioco iniziatico e poi ti conduceva alla morte, è cosa vera ed è costata la vita a più persone.

Ma il web è multiforme, è subdolo e impalpabile.

Ieri era una balena, oggi muta come Lord Voldemort prendendo possesso di incoscienti ragazzini che non si rendono conto come gli insulti corali, ripetuti, mirati, distruggano una persona fino a farla scegliere di morire.

O forse se ne rendono conto e quasi godono a spingerla oltre il parapetto.

Ben venga dunque la doverosa ricostruzione della verità che ha portato Alessandro a buttarsi dal balcone di casa sua; ben venga l’iscrizione nel registro degli indagati dei ragazzi autori di quelle vergognose frasi di istigazione verso l’abisso.

Alessandro era un ragazzo gioioso, prestante, simpatico, il più bravo a scuola, piaceva alle ragazze. Era amico di tutti, perfettamente integrato. Ed era molto sensibile” racconta chi lo conosceva.

Ed è forse per questo che Alessandro è diventato la vittima sacrificale che lo ha condotto verso una china irreversibile dove la vita non era più degna di essere vissuta.

E come disse Arthur Schopenhauer: “Anche l’uomo più sano e più sereno può risolversi per il suicidio, quando l’enormità dei dolori e della sventura che si avanza inevitabile sopraffà il terrore della morte.

Info: missagliadevellis.com

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