mercoledì, 27 Novembre 2024
L’Ucraina avanza ed ha un alleato in più: l’inverno
I recenti successi ucraini contro le forze russe potrebbero segnare un cambiamento nella guerra soltanto qualora la percezione di questa sconfitta spingesse Mosca a un cambiamento di strategia. Del resto, se è vero che a colpi di incursioni supportate da artiglieria leggera, l’esercito di Kiev ha colto di sorpresa i russi a Kharkov, la riconquista ucraina della base logistica di Izyum, dove confluivano i rifornimenti che permettono di sostenere le operazioni nel Donbass, cambia radicalmente la situazione. Uno egli errori clamorosi computi dagli ufficiali russi è stata la sottovalutazione delle possibilità ucraine di usare in modo efficace i nuovi blindati Mrap appena ricevuti da Turchia e Stati europei, che sono stati affrontati da poche squadre della Guardia Nazionale Russa (Rosvguardia), lasciate a difesa di un’area ritenuta a torto ormai “tranquilla”. Il risultato dell’operazione è stato un primo avanzamento di circa 50 km nel territorio controllato dai russi e la conquista di un notevole arsenale, a fronte di poche perdite. Ma per capire che cosa stia succedendo è necessario tornare alla fine di agosto, quando le forze ucraine hanno intensificato in modo significativo i loro attacchi alle posizioni russe intorno alla città di Kherson.
L’Ucraina da allora è alle prese con tre necessità. In primo luogo, vi è una richiesta politica di dimostrare ai partner internazionali che la donazione di armi porta a progressi sul campo di battaglia in vista di un inverno difficile, in cui molte nazioni cercheranno di ridurre le spese. Secondo, Kiev deve spezzare i corridoi di rifornimento delle forze russe in modo che non possano riprendere l’iniziativa né consolidare il controllo del Paese. Terzo: c’è l’obiettivo finale di cacciare i russi dal suolo ucraino. Ma il primo di questi obiettivi richiede un dispendio immediato di un elevato numero di risorse per ottenere risultati; il secondo dipende invece da un uso moderato e discontinuo delle forze. Infine, il terzo richiede l’impiego di personale e materiale fino a quando non sarà disponibile una massa critica di unità. Il tutto finalizzato a poter sostenere quanto conquistato, poiché una cosa è fare breccia nel fronte russo, altro è mantenere le posizioni dopo che il fronte è stato avanzato. La provincia di Kherson offre a Kiev questa opportunità perché la città si trova quasi tutta sulla sponda ovest del fiume Dnipro, dove le forze russe possono essere spinte contro la riva est, dove sono più vulnerabili all’artiglieria. Il fiume, nel frattempo, impedisce ai russi di contrattaccare sui fianchi. E con la prospettiva di un rigido inverno ci sono ampie opportunità per sfiancare le forze russe isolate, portandole al collasso del morale. In questo scenario, la leadership russa deve affrontare il progressivo degrado delle proprie truppe d’assalto in un momento in cui sono a corto di fanteria, oppure ritirarsi subendo una pesante sconfitta simbolica, poiché Kherson è una delle uniche due città che erano state completamente occupate. Le operazioni offensive ucraine possono essere attuate in diverse fasi: quella di Kherson, un lungo periodo di schermaglie e di attacchi profondi per interrompere l’occupazione russa e demoralizzare le sue truppe, e quindi un periodo di grandi operazioni di combattimento nel 2023. È chiaro che i russi sono giunti alla stessa conclusione e questo è il motivo per cui hanno notevolmente ridotto i tentativi di condurre ulteriori operazioni offensive e stanno invece cercando di conservare la loro potenza di combattimento mentre rigenerano nuove unità, quelle che il presidente Vladimir Putin ha dichiarato disponibili a partire dall’inverno.
Prima di negoziare serve dimostrare ai russi che possono perdere, e quanto accaduto a Izyum è un segnale
Ma illudersi che dopo questi fatti possa cominciare un negoziato è ottimistico, per convincere i russi a negoziare occorrerà dimostrare loro che rischiano la sconfitta militare e non solo una situazione di stallo. Un periodo di schermaglie invernali offre anche la prospettiva di salvare le riserve energetiche, poiché l’Ucraina, come il resto d’Europa, guarda alla possibile carenza di energia e di carburante. Dato che è probabile che le operazioni offensive per la liberazione dei territori occupati dureranno fino al 2023 e dipendono dagli aiuti occidentali, è importante che i partner internazionali dell’Ucraina interrompano gli annunci periodici su quali armamenti invieranno, impegnandosi più a lungo termine per gli aiuti strutturali fino al 2024. Questo potrebbe alleggerire la pressione politica sul governo ucraino affinché usi i suoi arsenali per ottenere guadagni a breve termine a scapito delle prospettive a lungo termine. In secondo luogo, un comportamento più riservato da parte dei Paesi Nato genererebbe aspettative più realistiche tra il pubblico occidentale sulla durata e le conseguenze del conflitto, e quindi ridurrebbe la loro vulnerabilità alla propaganda russa. Infine, mostrerebbe ai russi che le loro prospettive stanno diventando illusioni.
Mosca sta capendo soltanto ora che il sostegno occidentale all’Ucraina non finirà a breve, anche se impegni come fornire a Kiev nuovi velivoli da combattimento potrebbero richiedere un anno prima che si realizzino. Come durante l’assalto alla capitale o nel caso dell’abbandono di Snake Island, la leadership russa ha dimostrato di essere pronta a desistere quando vede profilarsi all’orizzonte un fallimento. Per questi motivi cominciare dei negoziati come fossero eventi possibili “a prescindere dalla lotta” è insensato e non c’è alcun motivo per cui questi possano svolgersi soltanto per una presunzione di debolezza. Convincere i russi a negoziare seriamente richiede prima che si dimostri loro come la sconfitta militare – e non solo una situazione di stallo – è del tutto plausibile. Tornando al presente, il 9 settembre mentre i russi cercavano di far arrivare truppe ed elicotteri nella zona dell’avanzata ucraina, l’esercito di Kiev aveva raggiunto i cento chilometri di penetrazione fino al fiume Oskil, liberando le città di Balaklija e Shevhenskove, arrivando fino alle porte di Kupjansk. Da qui hanno potuto colpire i collegamenti stradali e ferroviari con Izyum. Lo choc dei russi e le necessità di contrastare gli attacchi li hanno costretti a spostare truppe da altre zone del fronte, lasciando città come Kupjansk in una situazione di possibile liberazione. Due giorni fa (10 settembre), la Difesa russa ha comunicato che le sue truppe si stanno riorganizzando verso il Donetsk, salvando l’immagine di una sconfitta con la notizia che nel loro arretrare sarebbero stati uccisi oltre duemila militari ucraini e cento veicoli corazzati. Ma dal punto di vista tattico questa manovra è anche l’unica che permetterebbe agli ufficiali russi di evitare un accerchiamento alla periferia di Izyum, dove potrebbero arrivare anche truppe ucraine dal Donbass, dove Mosca sembra voler consolidare la sua presenza a scapito degli altri fronti, arrivando persino a dichiarare ufficialmente di voler raggiungere soltanto gli obiettivi “prestabiliti dell’operazione militare speciale”. La vittoria ucraina pone ora una questione cruciale per Zelensky: far credere all’occidente che la riconquista dell’intera Ucraina sia possibile se non a portata di mesi grazie agli aiuti militari, mentre la realtà rimane grave e differente, poiché sui fronti del Donbass le sue perdite sono notevoli. Dal lato russo, gli eventi di Izyum potrebbero scuotere l’opinione pubblica e i sostenitori di Putin causando una perdita di fiducia nell’intera operazione militare, magari portando Mosca ad aprirsi ai negoziati, ma anche scatenare un sentimento di riscossa.