mercoledì, 27 Novembre 2024
Se serve a Berlino in Europa non si parla di aiuto di Stato
Che la Germania avesse uno strano modo di applicare le regole europee lo sapevamo, e che l’Olanda approfitti di una competitività fiscale unica e della presenza della borsa del gas (Ttf) anche, ma nel guazzabuglio delle decisioni comunitarie, quando ogni proposta deve essere tradotta (e capita) in 27 lingue diverse, quanto ha partorito la Commissione presieduta da Ursula von der Leyen in fatto di accordi per calmierare i costi dell’energia appare come l’ennesimo topolino partorito dalla montagna. Con il grande rischio che il tetto al prezzo del gas suggerito dal nostro primo ministro Mario Draghi non passerà alla riunione del Consiglio europeo prevista a ottobre, dove ancora non sappiamo chi rappresenterà l’Italia. Di fatto oggi al Parlamento europeo la presidente von der Leyen ha finalmente parlato della tassazione degli extraprofitti per salvarci dalla crisi del gas, ma in seguito è emerso che la Germania con quel denaro salverà le aziende energetiche di stato. Ovvero il Bundestag potrebbe investirlo per acquisire la maggioranza di Uniper, l’importatore di gas in grande difficoltà. Lo ha dichiarato l’azienda stessa, sottolineando che le perdite sono aumentate dal luglio scorso quando è stato concordato un accordo iniziale per il salvataggio, in occasione del quale l’amministratore delegato Klaus-Dieter Maubach aveva paventato la possibilità che Berlino potesse possedere oltre il 50% dell’azienda invece di limitarsi al 30%, con tanto di assenso della società madre finlandese Fortum.
Uniper nel primo trimestre 2022 aveva registrato perdite per oltre 12 miliardi di euro a causa della riduzione delle forniture russe di gas che l’avevano costretta a fare acquisti sul mercato con prezzi molto più alti, ma anche dal blocco del progetto Nord Stream 2, cancellato dopo l’inizio della guerra russo-ucraina, operazione in larga parte finanziata dai tedeschi e da Unipro, la parte russa del gruppo energetico, che detiene oltre l’83% delle azioni. Con il rischio che Mosca la nazionalizzi togliendo ai tedeschi il controllo del colosso dell’energia. Da qui i dubbi del Bundestag di continuare a mandare carri armati a Kiev. Ma tanto è che 12 miliardi sono un mucchio di soldi e la memoria dovrebbe riportarci a quando, per meno di sette, la Germania era tra le nazioni dell’Ue che più si dimostrava rigida per il tentativo italiano di salvare Alitalia, gridando agli aiuti di Stato. Invece nemmeno un sussurro si è levato per i 15 miliardi di euro versati nel luglio scorso al primo salvataggio, e neppure per gli altri nove in forma di linee di credito, dei quali cinque sarebbero già stati spesi in agosto per tappare una voragine del bilancio. Quanto all’Olanda, dove alla Title Transfer Facility (Ttf) lievitano i prezzi del gas, bisogna ricordare che i Paesi Bassi sono anche produttori del prezioso combustibile, sono al centro di una rete di gasdotti che vanno dalla Norvegia alla Gran Bretagna e fino alla Russia; quindi, verso le nazioni che lo importano come Germania e Francia, e che dispone anche di infrastrutture per liquefarlo e trasportarlo via nave. Buon per loro, ma ciò che a Bruxelles dovrebbe essere una priorità è il fatto che alla borsa del gas soltanto il 10% delle transazioni è di carattere commerciale, mentre il restante 90% è puramente speculativo. Cominciando a vietare l’ingresso di operatori che non siano produttori e distributori.