domenica, 24 Novembre 2024
Per un comboniano in Congo dietro l’omicidio di Attanasio c’è Paul Kagame
«È stato Paul Kagame (Presidente della Repubblica del Ruanda, ndr) a ordinare l’omicidio di Attanasio». Anche se è solo un’ipotesi, il padre comboniano Filippo Ivardi Ganapini, missionario di lunga esperienza in Africa, ne è certo. «Non abbiamo prove in mano schiaccianti, ma le nostre fonti che proteggiamo hanno parlato e ci hanno riferito fatti importanti che abbiamo poi fornito agli inquirenti. Bisogna andare in profondità nella cosa. L’ambasciatore è stato fatto fuori perché molto scomodo nell’ambito diplomatico, come tutti sanno. Era uno che non si fermava al semplice lavoro di diplomazia, ma indagava le grandi ricchezze minerarie. Lui voleva andare più in là, ed era molto vicino al mondo missionario» dichiara a Panorama il missionario.
ASCOLTA L’INTERVISTA A PADRE IVARDI GANAPINI
Già. Perché in mezzo a un mare di notizie non veritiere o fuorvianti (vedi gli arresti inventati e poi smentiti dalle autorità congolesi e le responsabilità gettate addosso a questo e a quello che è il metodo migliore per non arrivare alla verità) c’è chi tenta di riscotruire la verità. Come ha fatto Matteo Giusti, autore di un libro appena uscito per Castelvecchi, che cerca di far luce sull’accaduto. Il titolo è L’omicidio Attanasio morte di un ambasciatore e in quelle pagine trova spazio anche una lunga conversazione con Padre Ganapini. Il quale s’interroga sul perché, a più di tre mesi mesi dall’assassinio nella Repubblica Democratica del Congo dell’ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e del loro autista Mustapha Milambo, non si fermino le indiscrezioni e le false piste investigative su quanto accadde quella maledetta mattina del 22 febbraio 2021 lungo la strada Goma-Rutshuru.
Mentre le inchieste aperte per scoprire cosa accadde realmente quella mattina di febbraio segnano il passo, dalla Repubblica Democratica del Congo nella giornata di ieri (9 giugno 2021) è arrivata la notizia secondo la quale cinque funzionari dell’Onu sono stati sentiti dalla Procura della Repubblica di Roma titolare delle indagini, in merito al fatto criminoso. Uno dei funzionari, un cittadino congolese responsabile della sicurezza della spedizione, risulta indagato per «omesse cautele». L’uomo avrebbe completamente sottovalutato la situazione sul campo, al punto di non prevedere la sicurezza del convoglio che attraversava uno dei tratti di strada piu’ pericolosi al mondo. Ma è possibile che in questa brutta storia ci sia un solo responsabile, e che sia un modesto funzionario congolese dell’Onu? Impossibile.
A proposito di scorte, regole d’ingaggio e responsabilità, due senatori di Fratelli d’Italia – Claudio Barbaro e Isabella Rauti – hanno interrogato per due volte il governo. Già lo scorso 10 marzo avevano chiesto «quale sia stato il datore di lavoro di riferimento e di quali deleghe, poteri e strutture organizzative fosse dotato e quali misure di valutazione del rischio abbia parimenti intrapreso per tutelare l’ambasciatore» e così pure se «l’ambasciata d’Italia in RD Congo abbia redatto il documento di valutazione dei rischi o se tale documento sia stato redatto a livello dell’amministrazione centrale, ovvero se manchi del tutto». Infine, se risulti veritiera la notizia che l’ambasciatore Attanasio avesse chiesto «il rafforzamento della scorta».
Incredibilmente, la riposta del Vice ministro per gli affari esteri e cooperazione internazionale Marina Sereni (PD) arrivata lo scorso 14 maggio 2021, scarica le responsabilità sullo stesso ambasciatore. «La tesi sostenuta dal Governo, in risposta alle interrogazioni mie e della Senatrice Rauti, è sconcertante, avvilente e denigratoria per la memoria di due Servitori dello Stato» tuona Claudio Barbaro. Anche perché Attanasio già nel novembre del 2018 chiese il rafforzamento del proprio assetto di protezione ravvicinata. Come mai lo chiese? Cosa aveva scoperto l’ambasciatore Attanasio?
Si ritiene che avesse scoperto l’esistenza di fosse comuni, opera dei militari del Ruanda, che sta allargando da tempo la sua influenza in Congo, così come a sud verso il Mozambico e anche in Centrafrica. La ragione? Il controllo delle risorse naturali e minerarie: diamanti, petrolio, eccetera. La città di confine Goma non a caso è definita la «piccola Ruanda».
«So per certo che era a conoscenza di massacri e fosse comuni in quell’area» ci rivela il padre comboniano. «Io credo che si possa capire questa vicenda solo se si comprende come Attanasio fosse motivato a livello spirituale. Lui era un uomo di Dio, cui non bastava compiere un servizio secondo i canoni di Roma ma, spinto da una grande passione per la giustizia e gli ultimi tra gli uomini, si è lasciato portare da questo tentativo di andare più a fondo e farlo presente a chi di dovere. E lo ha pagato con la vita».
L’accusa al presidente, tuttavia, è forte. Cosa la spinge a indicare lui come mandante dell’omicidio? «Kagame è un uomo controverso che controlla i gangli del potere e punta alla RD Congo per gestire lo sfruttamento minerario: quello legato alle multinazionali ma soprattutto le molte decine di miniere informali a conduzione familiare, che fanno gola perché non protette». È però notorio che il Ruanda intenda appropriarsi di tutte le materie prime che alimentano l’industria degli apparati elettrotecnici del mondo, saccheggiando dove c’è bisogno.
«La nostra ipotesi è corroborata da tante testimonianze. La conclusoine è che un attentato del genere al nostro ambasciatore non può essere fatto in quelle zone, senza autorizzazione. È il sistema ruandese ad aver portato alla morte di Attanasio. Una decisione al vertice, dove al vertice c’è come detto Kagame che controlla davvero tutto. È uno che rincorre i dissidenti persino in Europa, li minaccia e talvolta li fa fuori. La potenza dei servizi segreti ruandesi è impressionante. Un’operazione come l’uccisione di un ambasciatore non si improvvisa, e non può non partire direttamente dal capo». Le altre ipotesi non tengono, invece, secondo fonti ben addentro alla vicenda congolese.
«L’inchiesta non darà risultati perché c’è la volontà d’insabbiare. La verità verrà fuori solo quando il sistema e l’impero di Paul Kagame cominceranno a sfaldarsi, ma al momento ne siamo molto lontani. Perché lui è funzionale a un apparato economico e a un sistema produttivo che proviene dall’estero e che lui gestisce, perciò laggiù lui oggi è il deus ex machina» dice sconfortato Ganapini. Il cui scoraggiamento è anzitutto verso l’impotenza dell’Italia nel contesto.
«Il governo italiano è intrappolato, nel senso che non riesce ad avere gli interlocutori giusti che possano condurre a una pista di verità; quelle sinora battute sono false piste che non porteranno da nessuna parte. L’Onu tantomeno potrà fare qualcosa: anzi, è stata coinvolta in ripetuti scandali – come il traffico di diamanti da parte di alcuni funzionari – che hanno indignato la popolazione locale. L’inefficacia di Monusco (la missione ufficiale Onu nella regione, ndr), che peraltro costa un miliardo di dollari l’anno, è evidente: soltanto qualche giorno fa, inoltre, hanno ucciso dieci civili e dato fuoco a un ospedale nel nord Kivu. Dunque, le Nazioni Unite non sono minimamente in grado di garantire sicurezza. In Congo ci si può fidare soltanto della chiesa cattolica e della società civile».
La Trascrizione integrale della telefonata con Padre Filippo Ivardi Ganapini
«È stato Paul Kagame a ordinare l’omicidio Attanasio». Anche se è solo un’ipotesi, il padre comboniano Filippo Ivardi Ganapini ne è certo. «Non abbiamo prove in mano schiaccianti, ma le nostre fonti che proteggiamo hanno parlato e ci hanno riferito fatti importanti che abbiamo poi fornito agli inquirenti. Bisogna andare in profondità nella cosa. L’ambasciatore è stato fatto fuori perché molto scomodo nell’ambito diplomatico, come tutti sanno. Era uno che non si fermava al semplice lavoro di diplomazia, ma indagava le grandi ricchezze minerarie. Lui voleva andare più in là, ed era molto vicino al mondo missionario.
So per certo che era a conoscenza di massacri e fosse comuni in quell’area. Io credo che si possa capire questa vicenda solo se si comprende come Attanasio fosse motivato a livello spirituale. Lui era un uomo di dio, cui non bastava compiere un servizio secondo i canoni di Roma ma, spinto da una grande passione per la giustizia e gli ultimi tra gli uomini, si è lasciato portare da questo tentativo di andare più a fondo e farlo presente a chi di dovere. E lo ha pagato con la vita.
Era molto vicino anche al medico congolese Denis Mukwege, premio Nobel per la Pace. La sua amicizia con lui e con le organizzazioni umanitarie più oltranziste, rappresentava una spina nel fianco al potere del Ruanda di Paul Kagame, che ha conquistato queste terre con la forza delle armi dal 1994 a oggi.
Kigali sta allargando la sua influenza in Congo, ma anche a sud verso il Mozambico e anche in Centrafrica. Sempre per la stessa ragione: il controllo delle risorse naturali e minerarie (Gas, la Total). Diamanti, petrolio, eccetera. Goma non a caso è definita la piccola Ruanda, come noto. Kagame è un uomo controverso che controlla i gangli del potere e punta alla RD Congo per gestire lo sfruttamento minerario, quello legato alle multinazionali ma soprattutto le molte decine di miniere informali a conduzione familiare, che fanno gola perché non protette. Il Ruanda, questo piccolo paese con un potere economico notevole, intende appropriarsi di tutte le materie prime che alimentano l’industria degli apparati elettrotecnici del mondo, saccheggiando dove c’è bisogno.
La nostra ipotesi, corroborata da tante testimonianze, è che un attentato del genere al nostro ambasciatore non può essere fatto in quelle zone senza autorizzazione. È il sistema ruandese ad aver portato alla morte di Attanasio. Una decisione al vertice, dove al vertice c’è come detto Kagame che controlla davvero tutto. È uno che rincorre i dissidenti persino in Europa, li minaccia e talvolta li fa fuori. La potenza dei servizi segreti ruandesi è impressionante. Un’operazione come l’uccisione di un ambasciatore, non si improvvisa e non può non partire direttamente dal capo. Le altre ipotesi non tengono. L’inchiesta non darà risultati perché c’è la volontà d’insabbiare.
La verità verrà fuori quando il sistema e l’impero di Paul Kagame cominceranno a sfaldarsi, ma al momento ne siamo molto lontani. Perché lui è funzionale a un apparato economico e a un sistema produttivo che proviene dall’estero e che lui gestisce, perciò laggiù lui oggi è il deus ex machina.
Il governo italiano, invece, è intrappolato, nel senso che non riesce ad avere gli interlocutori giusti che possano condurre a una pista di verità; quelle sinora battute sono false piste che non porteranno da nessuna parte.
L’Onu tantomeno potrà fare qualcosa: anzi, è stata coinvolta in ripetuti scandali – come il traffico di diamanti da parte di alcuni funzionari – che hanno indignato la popolazione locale. L’inefficacia di Monusco, la missione ufficiale nella regione che costa un miliardo di dollari l’anno, è evidente: soltanto qualche giorno fa, inoltre, hanno ucciso dieci civili e dato fuoco a un ospedale nel nord Kivu che hanno cominciato lo stato d’assedio. Dunque, non è in grado di garantire sicurezza. In Congo ci si può fidare soltanto della chiesa cattolica e della società civile.