Conte vince le elezioni sui social. Bocciati i politici su TikTok

Come sono andate le elezioni lo sanno tutti, qual è stata invece l’evoluzione della campagna elettorale giocata sui social network lo sanno invece ancora in pochi. Perché sulle piattaforme contano i numeri, certo, ma anche e soprattutto come si giocano le proprie carte, quindi linguaggio, messaggi e modalità d’azione per riuscire a entrare in sintonia con il pubblico. Abbiamo analizzato durante le tappe di avvicinamento al voto chi ha i numeri migliori e quali strategie sono state utilizzate dai vari leader di partito. Ora a giochi fatti vediamo chi è stato più efficace e chi invece deve rivedere completamente il piano dedicato a strumenti che da qui in avanti si ritaglieranno un ruolo sempre più significativo in chiave politica per la corsa al voto.

«La comunicazione nel complesso è stata priva di grandi slanci ma è interessante quanto accaduto su Facebook e Instagram, i due social più indicativi per il numero di italiani che li utilizzano ogni giorno. All’inizio della campagna elettorale Salvini era il leader come numeri e interazioni, poi nell’ultimo mese c’è stata una netta rimonta di Giuseppe Conte, abile a risvegliare gran parte dei suoi molti follower dormienti rispetto al passato in prima linea. Nell’ultima settimana, invece, è uscita fuori Giorgia Meloni, che ha guidato le interazioni su Facebook, riuscendo a scaldare la base elettorale e ampliare il seguito con nuovi utenti che prima non la seguivano». Questa l’analisi di Vincenzo Cosenza, consulente marketing ed esperto di social network, di cui monitora trend e novità su Vincos Blog.

Al netto del numero di voti, in forte discesa rispetto alle elezioni politiche del 2018, chi ha dimostrato di saper usare bene i social network sono stati Conte e il Movimento 5 Stelle, che anche grazie all’attività sul digitale è riuscito a risalire la china rispetto a previsioni molto più negative dei dati effettivi.

«Come partito nato sul digitale, il M5S conta su una base già molto ampia ma Conte ha avuto la capacità di riattivare sostenitori apparsi stanchi, come dimostra il calo delle interazioni rispetto al passato. La strategia di mostrarsi più empatico possibile nei contenuti video, togliendo giacca e cravatta per restare in camicia e cercare di instaurare un dialogo più diretto con il suo pubblico, si è rivelata una scelta azzeccata. Il recupero è stato supportato, inoltre, da un network spontaneo di 90 pagine e gruppi Facebook, tracciate dall’Università di Urbino, che si sono risvegliate dopo un periodo di pausa facendo girare post quotidiani su Conte e il Movimento 5 Stelle. Non è chiaro se il Movimento abbia avuto un ruolo in questo senso ma si tratta di un caso unico, perché negli altri partiti non si è registrato questo tipo di attivismo nato dal basso».

A poche settimane dal voto i politici italiani hanno scoperto l’esistenza di TikTok. Che tipo di esperimento è stato?

«Un flop, perché effettuare prove a un mese dalle elezioni non ha molto senso né efficacia. C’è il riflesso dei media, con i quotidiani che si interessano alla questione considerata come una novità, tuttavia è pressoché impossibile che un’azione simile possa sortire l’effetto sperato, perché i numeri puoi farli ma poi non si tramutano in voti. Nessuno si è rivelato bravo a sfruttare TikTok, una piattaforma che sta guadagnando consensi nel paese e allargando l’utenza, non più circoscritta ai giovanissimi. Si è visto qualcosa che può funzionare, come i duetti botta e risposta tra utenti e politici, ma bisogna prendersi il tempo necessario per comprendere formati e toni di un social che in Italia conta ormai 15 milioni di utenti mensili».

Una delle regole dei social network è variare il linguaggio in base alla piattaforma che si utilizza. Non tutti l’hanno ancora capito.

«Non si possono spammare gli stessi contenuti su tutti i social, perché ognuno ha linguaggio, peculiarità e pubblico differente. Farlo significa rischiare il meme e lo sberleffo. Bisogna invece farsi guidare da uno staff preparato e aggiornato sull’evoluzione delle piattaforme. Non ci sono ricette facili e non funziona più nemmeno la condivisione di estratti presi da trasmissioni tv, radio o altre fonti senza lavorare i contenuti, cioè senza una musica adeguata o la giusta distribuzione, come l’eventuale suddivisione in pillole».

Il dato più significativo che ci lasciano le elezioni è il partito dell’astensionismo, che ha toccato il 37%. Un numero che obbliga a delle riflessioni.

«Su questo i partiti devono interrogarsi per risvegliare una base non più attiva e probabilmente disillusa. Guardando allo spazio digitale, i social network sono terreni ideali perché permettono di agire per ottenere risultati in prospettiva. Lavorare con una chiara strategia in maniera più o meno quotidiana per creare interesse deve essere l’approccio dei politici, che devono scendere dal piedistallo e parlare alla pari con le persone».

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