Causeway vi darà il meglio di Jennifer Lawrence, la recensione

Per quasi vent’anni il cinema americano ci ha parlato del reducismo in modo pressante e puntuale, gettando una luce sul dramma di una generazione che dovette far fronte ancora una volta al dramma del conflitto armato e delle sue conseguenze.

Ad aggiungersi a questa lista ma non solo, in un film che amplia il raggio d’azione per parlarci della vita, del dolore, della capacità di andare avanti e di rimettersi in discussione, arriva direttamente dall’ultimo Festival di Toronto Causeway di Lila Neugebauer, che arriverà il 4 novembre su Apple TV+. Si tratta di un film molto acuto, ben scritto, ben diretto e soprattutto ben recitato, che conferma come vi sia un’autorialità interessante al di là dell’oceano, in grado di offrire qualcosa di nuovo.


Ferita nel corpo, ferita nello spirito

Per Lysney (Jennifer Lawrence) la vita è molto complicata. Reduce dall’Afghanistan dove prestava servizio presso i genieri dell’esercito, a causa di un agguato ha riportato un trauma cerebrale che la sta costringendo a una degenza e un recupero faticosi sia fisicamente che mentalmente.

Costretta a tornare nella sua città natia, dovrà fare i conti con la madre Gloria (Linda Emond) con cui ha un rapporto abbastanza difficile, in virtù di un passato caratterizzato dai problemi del fratello Justin (Russell Harvard) e in generale da una scarsa sensibilità ed empatia.

Sulla sua strada però, farà la conoscenza del corpulento ma tutt’altro che banale James (Brian Tyree Henry), un meccanico con cui scoprirà di avere davvero tanto in comune per quello che riguarda capacità di incasinarsi la vita, di rimanere legati al passato e soprattutto di non sapere esattamente cosa si vuole. 
Assieme, i due naufraghi della propria vita cercheranno di creare un rapporto abbastanza strano e imprevedibile, di darsi una mano, mentre Lysney intanto cerca di capire come fare a meno dei farmaci e soprattutto come poter ricominciare a indossare la divisa.

Causeway è sceneggiato da Elizabeth Sanders, Luke Goebel e Ottessa Moshfegh, e può vantare una grande coerenza interna, ma soprattutto una grande capacità di rendere credibili e interessanti i personaggi, di creare un iter in cui la contrapposizione tra corpo e mente, tra desiderio e realtà sia potente e soprattutto di grande impatto emotivo.

Jennifer Lawrence riesce a disegnare uno dei suoi personaggi migliori, una ragazza ferita ma anche piena di rabbia, che non accetta la sua realtà e che cerca in tutti i modi di non vedersi come una vittima di una situazione che appare instabile.


Tra reducismo e dramma generazionale

Come film sul reducismo, Causeway è molto originale perché affronta sia il tema del difficile reinserimento degli ex militari nella società, ancora oggi difficoltoso e molto parziale, sia quello delle ferite e dei traumi che l’esperienza bellica lascia da un punto di vista squisitamente femminile.

Non è una completa novità sia chiaro, basti pensare a Fort Bliss con Michelle Monaghan, a Camp X-Ray con Kristen Stewart o Megan Leavey con Kate Mara. Tutti film molto belli a cui possiamo aggiungere questo alla lista, senza alcun indugio perché molto diretto, a tratti spietato, nel parlarci dell’America dimenticata, quella dove bene o male l’alternativa è quella di fare lavori umilianti, ubriacarsi per dimenticare o cercare qualcuno con cui creare qualcosa dalla solitudine.

Jennifer Lawrence è autrice di una prova d’attrice di grande livello, per una volta mette da parte per così dire la sua incredibile espressività vocale (sovente non tangibile sugli schermi italiani) e si concentra su un qualcosa di più fisico, con un lavoro complesso sui movimenti, sul corpo e il suo lento recupero verso la normalità. Spesso minimal nell’applicazione generale, conquista per come sa creare con la sua Lynsley un personaggio di donna quotidiano nelle difficoltà e nelle reazioni, distante dal trionfalismo e dalla perfezione con cui spesso la cinematografia moderna ha dipinto l’universo femminile.

La vediamo cadere, sbagliare, avere paura, andare nel panico, amare il prossimo e mettersi in gioco, ma con un tono mai trionfale, mai distante da un’atmosfera generale fatta di malinconia e della ricerca di un dialogo verso se stessa e gli altri. Sa commuovere e legare a sé, ma soprattutto regalare un’identità incerta, sia sessualmente che come percorso, dove il trauma fisico di cui soffre, diventa alla fine anche una risorsa per comprendere veramente chi è, cosa vuole dalla vita, cosa ha lasciato troppo in disparte fino a quel momento nel suo percorso. Alter ego è la madre, una Linda Emond che si pone come simbolo di una sorta di fallimento esistenziale quasi metafora della generazione passata, di un fallimento innegabile


Non da soli ma assieme agli altri

A perfetto contraltare di Lynsley, abbiamo il James di un roccioso Brian Tyree Henry, con il suo fare da orso ferito ma pieno di un affetto che cerca di donare disperatamente, alle prese con questa strana ragazza verso cui ha un debole che non si capisce quanto sia connesso all’attrattiva fisica e quanto ad un’affinità di carattere e vissuto.

Entrambi sono feriti nel corpo, entrambi hanno commesso errori nel loro passato, sono diventati egoisti e senza capacità di comprendere come per ricominciare bisogna forse più che scappare da un luogo o da una persona, fare pace con sé stessi.

Causeway vive del loro procedere quotidiano assieme, senza frasi altisonanti, delineando un racconto che è un mix tra il cinema indie classico e il dramma esistenziale urbano, in quella fetta di società americana dove l’ascensore sociale è fermo e non esiste modo di farlo ripartire.

Il film non è né lento né veloce, conosce un crescendo che rispecchia l’evoluzione della riscoperta fisicità della protagonista, a cui però non fa da contraltare una lucidità inerente la propria situazione mentale, con una famiglia da ricostruire e soprattutto una madre verso cui essere maggiormente indulgente perché tanto non cambierà mai.

Il film della Neugebauer è stato accolto molto bene, già si parla di nomination per la Lawrence, in un personaggio perfetto per lei, per il cinema americano di oggi che cerca di staccarsi dal già visto e già sentito e non è cosa da poco. Se si vuole trovare un difetto, è in una sorta di assenza di un momento di vera accelerazione e di rottura dell’insieme ma non è detto che sia un difetto perché è qualcosa di voluto, di cercato, di connesso alla volontà di parlare di una ragazza e della sua vita. Né più, né meno. Di certo un film che non lascia indifferenti, ibrido come identità ma efficace come iter trasversale.

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