martedì, 26 Novembre 2024
Caos in Gb, si dimette Liz Truss (e forse torna Boris Johnson)
Quando una vaschetta di burro costa quasi 10 sterline (poco meno di 12 euro) e un pub dovrebbe vendere le birre a quasi 16 sterline a pinta (circa 18 euro) per non fallire, significa che qualcosa proprio non funziona. Sì, parliamo del Regno Unito e dell’inarrestabile scia di dimissioni politiche che si susseguono dal giorno in cui gli inglesi hanno scelto la Brexit.
Mentre ieri in Italia andava in scena la tragicommedia dell’audio «filo-russo» rubato a Silvio Berlusconi – che tanto scandalo ha generato a livello euro-atlantico – ecco che il Regno Unito è riuscito a superarci in grandezza.
Già, perché oggi si è giunti all’ultimo atto del governo conservatore guidato da Liz Truss. La premier inglese – che dopo soli 38 giorni aveva già licenziato il suo ministro dell’Economia, Kwasi Kwarteng – si è dimessa in appena 44. A sua volta defenestrata dalla corrente di «ammutinati» tra i Tories, che hanno bocciato in pieno il suo stile di governo, al pari dei mercati d’affari.
La Regina Elisabetta, che si era pure sforzata d’incontrarla in un ultimo gesto mosso dal suo incrollabile senso del dovere (sarebbe spirata due giorni dopo), si è almeno risparmiata la fine ingloriosa di una «premier per caso». Cosa che invece non può dire Carlo III, il cui regno sembra iniziare sotto una cattiva stella. Vedremo.
Intanto, possiamo certificare che Liz Truss si è ritrovata al numero 10 di Downing Street soltanto perché Boris Johnson ha litigato praticamente con tutti i colleghi di partito. Memorabile il suo commento in proposito, a poche ore dalle dimissioni: «A Westminster l’istinto del branco è potente, e quando il branco si muove, si muove». Così è valso anche per la sua collega e fedelissima, che ha conosciuto più dimissioni e incidenti di percorso in un mese e mezzo, di quanti ne abbia visti Winston Churchill in tutta la carriera.
Il suo breve passaggio alla guida dell’Inghilterra, comunque, sarà difficilmente dimenticato. Ma solo perché Truss ha un record assoluto: passa alla storia come la premier del Regno Unito con la più breve permanenza in carica di sempre, avendo staccato di gran lunga anche George Canning, che rimase in carica per 119 giorni nel 1827. Che poi quest’ultimo neanche si dimise, semplicemente morte lo colse. Dunque, a meno di sorprese, le elezioni per il successore alla guida del partito Conservatore – e quindi del governo britannico – si terranno entro una settimana.
La rinuncia di Truss è figlia di una serie di scelte infelici in materia economica, che hanno gettato i mercati nel panico e portato il valore della sterlina in caduta libera. Il suo programma economico, peraltro, è stato più volte rivisto ed emendato, segno di una confusione di fondo che le borse non potevano che respingere.
Aveva promesso politiche a bassa tassazione e orientate alla crescita grazie alle libertà derivanti dalla Brexit, ma ha dovuto presto rimangiarsi la parola e fare un umiliante dietrofront, rinnegando l’intera agenda fiscale che i mercati guardavano già con sospetto.
Dunque, il crollo della sterlina ai minimi storici. Il cambio in corsa dei ministri-chiave dell’Economia e dell’Interno. La non risolutezza nel perseguire l’obiettivo di ridurre le tasse. La scelta politica di aumentare i prestiti. Il tentativo inane di accelerare la crescita. L’impennata dell’inflazione proprio nel momento in cui la Banca d’Inghilterra brigava per ridurla. Il lievitare preoccupante del debito pubblico. Queste le ragioni della fine prematura del governo Truss.
Senza contare che l’addio della premier britannica è stato pilotato da un numero esiguo di parlamentari conservatori, ma comunque sufficiente a convincerla a cedere alla pressione. Questo fatto apre a una resa dei conti all’interno del Partito Conservatore, che i Tories aspettavano da tempo. Nell’ultimo anno, infatti, l’emorragia di consensi ha fatto scattare non pochi allarmi a Parker Street, loro quartier generale.
E dire che il partito aveva ottenuto una vittoria schiacciante sotto Boris Johnson nelle elezioni del dicembre 2019, vinte proprio grazie alla promessa di Bojo di realizzare la Brexit. Ma da allora, complice la pandemia e la guerra in Ucraina, molto è cambiato.
La Gran Bretagna si trova ora di fronte a uno scenario senza precedenti in tempo di pace, che pone seri interrogativi sul mandato del governo e aumenta al contempo la possibilità di un nuovo voto. Al momento, i Tories sembrano intenzionati a mantenere la guida del Paese e puntano a una terza sostituzione al vertice prima di nuove elezioni.
Tra le figure in lizza, secondo i bookmakers ci sono: Rishi Sunak, l’ex cancelliere e grande rivale della Truss, uscito sconfitto dalla corsa estiva per Downing Street; Penny Mordaunt, la leader dei Comuni; Ben Wallace, Segretario alla Difesa; e Jeremy Hunt, attuale ministro delle Finanze. Ma non è da escludere un ritorno dello stesso Boris Johnson, la cui rimozione viene oggi giudicata a posteriori un errore affrettato da parte dei colleghi di partito (e di non pochi sudditi inglesi).
Il leader laburista, Keir Starmer, però, non ci sta e chiede elezioni generali immediate: «Il Partito Conservatore ha dimostrato di non avere più il mandato per governare. Dopo dodici anni di fallimenti dei conservatori, il popolo britannico merita molto di più di questa porta girevole del caos». Anche perché, a suo giudizio, «i Tory non possono rispondere al loro ultimo fallimento semplicemente schioccando le dita e rimescolando le persone ai vertici senza il consenso del popolo britannico».
Sembra di stare in Italia, insomma. Dove peraltro siamo abituati anche al dileggio anglosassone circa il nostro modo di gestire la politica. Eppure, stavolta alla gogna ci sono finiti gli inglesi. E allora ha il sapore del contrappasso l’infelice copertina appena dedicata all’Italia da parte del britannico Economist, da sempre fustigatore compiaciuto degli italici costumi.
La copertina dell’ultimo numero, che ci chiama in causa, vede proprio la caricatura di Liz Truss vestita da divinità greca e con l’elmo di Scipio in testa: in una mano regge uno scudo con i colori della bandiera inglese a forma di pizza, e nell’altra inforca degli spaghetti. Il titolo è uno spasso: «Welcome to Britaly», mentre il sotto testo allude al fatto che la premier inglese abbia avvicinato con la sua ricetta economica la Gran Bretagna all’Italia.
Poveri inglesi. Purtroppo per loro la verità è che l’Italia in questo momento storico se la passa meglio della perfida Albione. Export, valore della moneta, fondi pensione, bilancia delle partite correnti, deficit, crescita del Pil. Sono tutte voci dove il nostro Paese è posizionato meglio di Londra. Con buona pace dell’Economist e dei sudditi di Sua Maestà. Che peraltro temono già per la salute del nuovo sovrano, che gli speculatori descrivono «incapace di reggere alle pressioni derivanti dal suo ruolo e a rischio insufficienza cardiaca». Un’ennesima dimissione in arrivo?