lunedì, 25 Novembre 2024
Saw già come andrà a finire: la recensione di Spiral
La storia dell’horror è strapiena di saghe che vanno avanti all’infinito. Spesso sono quelle con le premesse più improbabili, ma facili da replicare e sufficienti a mettere in scena il giusto quantitativo di morti spettacolari che ripagano il prezzo del biglietto. Pensiamo ad esempio a Chucky: sette film, un reboot e una serie TV in arrivo. Su una bambola assassina! Quanto puoi proseguire a raccontare le gesta di una bambola posseduta da un serial killer? Quante bollette arretrate avrà da pagare Brad Dourif?
A volte, però, ci sono saghe che, seppur lunghissime, raggiungono la loro naturale conclusione. È il caso della saga di Saw, che si è conclusa dopo sette film prima di venire resuscitata con una sorta di rebootquel diretto dai fratelli Spierig e intitolato Jigsaw (secondo la regola per cui i rebootquel devono chiamarsi con il nome completo del protagonista). Titolo italiano? Saw: Legacy. Perché è, diciamolo insieme, “l’eredità di Saw”.
Evidentemente il testamento di Jigsaw nominava più eredi perché, a quattro anni dal film degli Spierig, è arrivato un altro rebootquel. E anche stavolta si intitola “L’eredità di Saw”, salvo precedere questa dichiarazione d’intenti con la parola “Spiral”. Perché Spiral – L’eredità di Saw intende lanciare un franchise spin-off in cui il John Kramer di Tobin Bell non verrà più tirato dentro (se non in foto, o a parole), ma ci si concentrerà su nuovi discepoli del killer, accomunati dal simbolo della spirale reso celebre dall’iniziatore del franchise.
Questa è abbastanza evidentemente l’intenzione della Lionsgate, che, altrettanto evidentemente, le sta provando un po’ tutte per capire come resuscitare la sua gallina dalle uova d’oro. E dire che Saw: Legacy non era andato male, ma forse non dava abbastanza spago per il futuro.
Ecco che arriva Chris Rock, ansioso di misurarsi con il genere horror, e dice: “Ho un’idea!”. Josh Stolberg e Pete Goldfinger, stessi sceneggiatori di Saw: Legacy (ma anche di Piranha 3D e 3DD), si mettono al lavoro sullo script, che viene poi revisionato da Rock stesso. Dietro la macchina da presa torna il veterano della saga Darren Lynn Bousman (Saw II, III e IV). È tutto al suo posto, tutto pronto a partire, Lionsgate si sfrega le mani: “Allora, dicci Chris, qual è questa grande idea che hai avuto?”. “Niente, c’è un copycat di Jigsaw”. “…”.
Esatto. La trovata che salverà il franchise è una già usata e abusata nei precedenti capitoli: un copycat di Jigsaw che ammazza gente allo stesso modo, con trappole elaborate e messaggi video alla polizia. L’unica vera differenza? Stavolta il copione prende di mira poliziotti corrotti, in quella che è palesemente una vendetta premeditata.
Contando sul fatto che stavolta la saga si lascia alle spalle tutti i precedenti seguaci di John Kramer, Spiral è anche un giallo. C’è da scoprire chi sta facendo fuori poliziotti nelle maniere più sadiche e dolorose (e alcune morti non sono niente male, va detto). Il problema è che il nostro eroe, il detective Zeke Banks (Rock) è anche l’unico poliziotto integerrimo in un distretto pieno di sbirri corrotti, che lo odiano perché, anni prima, ha denunciato un collega. L’unico che sembra potergli dare una mano è il detective William Schenk (Max Minghella), una recluta che gli è stata appioppata controvoglia. Ah, Zeke è anche il figlio di un poliziotto leggendario, Marcus Banks (Samuel L. Jackson), della cui ombra non è mai riuscito a liberarsi.
Dunque giallo, procedural, buddy cop. Nelle intenzioni di Chris Rock, probabilmente Spiral avrebbe dovuto essere una horror comedy, allo stesso tempo fedele alla formula della saga ma pensato per ribaltarla e rimetterla in gioco, dandole nuova linfa. Solo che qualcosa si è perso nel processo, è rimasto sulla carta o nella sala montaggio. Più che una horror comedy, Spiral è un horror che ogni tanto inspiegabilmente si interrompe per permettere a Chris Rock di lanciarsi in un monologo. Inizia con lui che discute con dei tizi di Forrest Gump, come se Quentin Tarantino e Guy Ritchie non fossero mai esistiti e gli anni ’90 mai finiti. E per quanto, almeno all’inizio, in un paio di casi faccia sorridere, non fa MAI paura. Il che è un bel problema, considerando che è prima di tutto un film dell’orrore.
Ma passi pure il fatto che non fa paura: ormai le abbiamo viste tutte, siamo desensibilizzati come tanti Bart Simpson. Il vero guaio è che non c’è mai nemmeno tensione, la gioia dell’imprevisto, il battito cardiaco dell’azione. In un franchise che ha sempre puntato tutto sui colpi di scena, quando il colpo di scena è talmente ovvio e mal gestito da ridefinire il concetto di “telefonato”, forse è ora di appendere la tagliola per orsi rovesciata al chiodo e andare tutti a casa.
E dire che alla regia c’è Darren Lynn Bousman, uno a cui l’esperienza non manca di certo. La mano si vede per come vengono orchestrate alcune morti – pur sempre il piatto forte del franchise – ma sparisce in tutto il resto. Forse è l’entusiasmo a mancare. Forse la saga di Saw ha raggiunto la sua naturale conclusione da tempo, ed è semplicemente arrivato il momento di riconoscerlo.