martedì, 26 Novembre 2024
Dietro i missili in Polonia le spinte di chi vuole la guerra e la replica di chi sceglie la Pace
Attenti a non cedere alle sirene della guerra. Un monito che risuona all’alba di ogni grande guerra della storia. E che spesso giace inascoltato sui campi di combattimento. Non sappiamo se i missili che hanno colpito il territorio polacco questa notte siano davvero russi, se si sia trattato di attacchi deliberati o piuttosto di errori di balistica e traiettoria, o se siano razzi della contraerea ucraina. Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha provato all’alba a tranquillizzare la situazione e predica calma da Bali, dov’è in corso il G20. Riunendo il G7 al suo interno in una riunione d’emergenza ha affermato che «è improbabile sia stato un missile russo» a colpire questa notte la Polonia.
Fatto sta che a ogni appuntamento con la pace – vedi i 10 punti per la pace messi sul tavolo delle trattative da Zelensky – ecco che giunge puntuale l’ennesimo richiamo alla guerra. Come il potente attacco missilistico russo, portato proprio mentre i grandi della Terra parlavano di Pace, che ha provocato l’incidente teso a fare carta straccia delle proposte di Kiev. A ogni passo verso la de-escalation, immancabilmente corrispondono sempre due passi verso una nuova escalation. Un copione che si ripete sin dalla primavera scorsa, e che ogni volta vede l’asticella del rischio globale alzarsi un po’ di più.
È indubbio che il conflitto tra Russia e Ucraina abbia scatenato forze che spingono per il prosieguo a oltranza della guerra. Quali siano esattamente queste forze è difficile dirlo, perché sono trasversali tanto alle amministrazioni quanto ai comandi stessi di entrambe le forze armate in campo. Ma è un fatto che esistano. E spesso sono guidate dal caso, come appunto potrebbe essere il caso dei missili incriminati piovuti sulla Polonia.
Di là dalle responsabilità da attribuire, però, vale la pena ricordare come questo sia almeno il terzo atto internazionale sconsiderato, foriero di creare il casus belli, che si verifica da nove mesi a questa parte: oltre alla stessa invasione, episodi come i bombardamenti nel territorio russo di Belgorod e il sabotaggio del Nord Stream nel Baltico hanno certamente segnato i punti più caldi della guerra, rischiando di inverare tanto le minacce nucleari russe quanto il coinvolgimento diretto di altri attori, e della Nato stessa.
Quest’ultimo caso, quello avvenuto intorno al villaggio di Przewodow – dove è confermato dai polacchi che abbiano perso la vita due persone – ha in comune con il precedente sabotaggio del Nord Stream le stesse caratteristiche di mistero. A destare sospetti e accrescere dubbi non è tanto il tracciato del (o dei) missili, quanto il fatto che quella località non è nelle immediate vicinanze degli obiettivi dei massicci bombardamenti segnalati ieri da parte dell’artiglieria russa.
Le fonti ufficiali affermano che in quelle ore si sono registrati arrivi di circa un centinaio di missili su: Kiev, Sumi, Kharkiv, Kremenchug, Čerkassy, Zaporozhye, Krivoy Rog, Kirovohrad, Dnepropetrovsk, Nikolaev, Regione Nikolaev, Odessa, Vinnitsa, Zhytomyr, Khmelnytsky, Ternopil, Černivci, Ivano-Frankivs’k, Leopoli, Kovel e Rive. Niente bombe sull’estremo confine occidentale, comunque.
Quanto al tipo di arma incriminata, gli esperti indicano nei sistemi di difesa S-300 la possibile provenienza dei frammenti dei proiettili rinvenuti sul posto. Armamenti di produzione russa, ma in dotazione a entrambi gli schieramenti, che li usano indifferentemente sia per la difesa che per l’attacco. Difficile dunque intuirne l’origine. Anche se viene da pensare che è bizzarro che un missile ucraino cada proprio in Polonia se non voluto, a meno che non abbia tentato di intercettarne uno russo o non abbia intenzionalmente voluto bombardare i polacchi. Il che sarebbe un non sense.
Peraltro, mentre l’Ucraina dispone di sistemi di difesa antiaerea misti e non così sofisticati (solo nelle ultime settimane ha ricevuto i nuovi armamenti tedeschi e italiani, anche se ha già discrete forniture dagli Usa), invece la Polonia vanta un sistema di difesa antiaerea e antimissilistica alquanto efficace: è l’Aegis Ashore, un armamento difensivo terrestre della stessa famiglia di lanciamissili in dotazione agli incrociatori e cacciatorpediniere della Marina degli Stati Uniti. Un sistema d’arma concepito per rilevare, tracciare, ingaggiare e distruggere missili balistici in volo. Eppure, a quanto è dato sapere, Varsavia non ha rilevato alcunché, né ha diramato allarmi. Semmai è stato un caccia della Nato a tracciarne la rotta, e da qui le semi-certezze di Biden e dello stesso governo polacco, con il presidente Andrzej che ha parlato di «nessuna prova evidente» circa le responsabilità di Mosca.
Sia come sia, la sostanza purtroppo non cambia: la tensione è alle stelle. Il governo polacco verosimilmente invocherà l’articolo 4 Nato, che prevede che le parti si consultino «ogni volta che, nell’opinione di una di esse, l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza di una delle parti fosse minacciata». Il consiglio di sicurezza dovrebbe riunirsi questa sera. Mentre già gli atlantisti come Michal Baranowski del German Marshall Fund, hanno emesso la sentenza. «È un giochino semplice che conosciamo bene nella comunità degli analisti: quando i russi ti accusano di qualcosa, significa che è una cosa che hanno fatto loro. Accusare la Polonia di escalation, significa che hanno intenzione di compierla loro».
Vero o meno che sia tutto ciò, la grande domanda è: a chi giova tutto questo? La risposta, volendo seguire il rasoio di Occam, dovrebbe condurre alla semplicistica deduzione che ai russi non conviene di certo. Come peraltro non è convenuto l’attentato al gasdotto nel Baltico. Ma in guerra, si sa, la logica si perde ed entrano in gioco fattori imprevisti che conducono le parti a scelte estreme. A dirla tutta, infatti, alla Russia non conveniva neanche iniziarla questa guerra. E le smentite del Cremlino ormai non convincono più neanche i bambini.
Tuttavia, adesso per la Nato è il momento di spegnere ogni istinto marziale e provare a depotenziare la prospettiva di uno scontro aperto, derubricando l’episodio a «effetti collaterali». Quantomeno per non cedere alla provocazione e alla logica terroristica di chi vuole uno scontro totale in Europa. Anche perché la Russia sta già perdendo da sola, e semmai va assecondata perché la sua posizione di debolezza dovrebbe in teoria facilitare le trattative per la pace. Che è esattamente posizione dell’Amministrazione Biden. Certo, non giova alla de-escalation l’atteggiamento russo e nemmeno quello ucraino. La sensazione è pertanto che siamo sempre più avviluppati in questo conflitto di cui non si vede soluzione. E se la guerra prosegue, quell’«effetto palla di neve» che vede ingrossarsi qualcosa di poco importante in qualcosa di sempre più grande e significativo, presto o tardi ci travolgerà in pieno.