sabato, 23 Novembre 2024
Evasione fiscale: cosa succede se l’Italia compra la «Lista Dubai»
La “Lista Dubai” fa tremare l’Europa. Stiamo parlando del file contenente la lista di contribuenti provenienti da ogni parte del mondo che hanno trasferito i loro capitali nei paradisi fiscali degli Emirati Arabi Uniti e che ora rischiano. La Germania infatti è stata la prima ad acquistare questo elenco per poter controllare uno ad uno i propri cittadini che potrebbero aver fatto i furbetti. E anche l’Italia sta pensando di fare lo stesso. Con tutte le conseguenze del caso
Cos’è la “Lista Dubai”
Quei due milioni di euro investiti da Berlino per comprare, da fonte anonima, il CD-bomba potrebbero, infatti, presto ritornare nelle casse tedesche se altre nazioni decidessero di acquisire tali informazioni riservate messe a disposizione dalla Cancelleria.
Cosa vuole fare l’Italia
A pensarci seriamente è proprio l’Italia come confermato via social dal viceministro dell’economia e delle finanze Laura Castelli che ha scritto: “Come Italia dobbiamo acquisire velocemente i dati degli italiani che hanno trasferito fondi in altri Paesi. In questo senso mi sono attivata con gli Uffici competenti.
Sulla lotta all’evasione fiscale, soprattutto internazionale – ha aggiunto – vanno fatti tutti i passi necessari, ma mentre in Italia gli strumenti ci sono e stanno funzionando sempre meglio, c’è una dimensione estera su cui è necessario rafforzare tutte le azioni utili ad arginare il fenomeno dei paradisi fiscali”.
L’evasione fiscale in Italia
La notizia arriva nel giorno in cui giungono i dati relativi agli evasori totali pizzicati lo scorso anno in Italia. Secondo i numeri in possesso della Guardia di Finanza nel solo 2020 sono stati scovati 3.546 evasori totali completamente sconosciuti al Fisco.
Il sommerso, specie quello nascosto dei grandi evasori con capitali versati nei paradisi fiscali (tra i quali svetta proprio Dubai), rappresenta una delle piaghe mortali per l’economia mondiale e il fascicolo in possesso di Berlino potrebbe trasformarsi in uno strumento potento di lotta all’evasione anche se i dubbi e le perplessità in merito al possibile utilizzo di questi dati ai fini processuali non mancano.
In primo luogo – come ricorda il Sole24Ore – la “lista” (milioni di informazioni raccolte su contribuenti provenienti da ogni angolo del pianeta) secondo le normative europee vigenti potrebbe essere utilizzata, ai fini processuali, solo come “indizio” e non come “prova” di evasione così come stabilito nel 2015 in relazione alla lista Falciani dell’HSBC di Ginevra.
La “Lista Falciani”
In quel caso la “Lista” – che prende il nome dall’ex informatico franco-italiano di Hsbc Suisse che aveva scatenato lo scandalo SwissLeaks nel 2015 – aveva coinvolto oltre centomila clienti che avevano depositato i propri fondi nella banca Svizzera il cui Hervé Falciani lavorava per un ammontare totale di circa 180 miliardi di euro tra il novembre 2006 e il marzo 2007. Falciani (poi finito in carcere) aveva venduto le informazioni riservate violando le norme elvetiche in materia di riservatezza bancaria.
Cosa ha detto la Cassazione
In seguito la Cassazione aveva però affermato che “salvo i casi di violazione dei diritti fondamentali di rango costituzionale, l’acquisizione in via irrituale di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale non sono automaticamente inutilizzabili nelle ordinarie attività di contrasto e accertamento all’evasione fiscale”.
Detto altrimenti la corte suprema avvalla gli accertamenti fiscali irrituali e si copre le spalle al Fisco che potrebbe essere chiamato a giudizio dai cittadini che si sentono violati nella propria riservatezza e che potrebbero decidere di avviare una battaglia legale con l’erario.