domenica, 24 Novembre 2024
Malagò: «Perché ho fiducia nell’Italia di Tokyo»
Stando alle previsioni dei più accreditati analisti, l’Italia tornerà da Tokyo portando 33 medaglie. Cinque in più di quelle conquistate a Rio nel 2018. Secondo Giovanni Malagò, mai come stavolta, l’unica certezza dei pronostici è che sono azzardati. Probabilmente sbagliati: «Può succedere di tutto. Ci sono atleti che non hanno avuto il Covid, altri che si sono ammalati, con e senza ripercussioni fisiche. C’è chi ha continuato ad allenarsi come se nulla fosse, chi si è dovuto fermare. Alcuni si esaltano con poco pubblico perché non sentono l’ansia, altri finiscono per deprimersi. Basta guardare a cosa è successo agli ultimi tornei di tennis, durante le grandi corse di ciclismo, nelle varie coppe, per accorgersi che gli schemi sono saltati» ragiona il presidente del Coni, schietto e diretto come nel suo stile. Quello con Panorama è l’ultimo appuntamento di una lunga giornata di incontri e incastri: c’è tempo per ragionare su vari temi, lanciare una frecciata alla politica, soprattutto immaginare esiti ed effetti delle prossime Olimpiadi, distanti ormai meno di un mese.
Presidente, ci permetta di insistere con l’oracolo delle medaglie. Si dice che ne vinceremo undici d’oro.
Dobbiamo fare meglio del Brasile, dove ne abbiamo prese otto. Sono l’elemento determinante per la classifica, spesso conta avere un oro in più che conquistare argenti e bronzi. Secondo voi è giusto? Ho qualche dubbio.
Metta un po’ di sana pressione agli atleti. Da chi si aspetta di più?
Il comparto del tiro e del canottaggio non sono sorprese, vorrei si andasse meglio di Rio nell’atletica. Attendo grandi risultati dalle discipline acquatiche, poi dal judo, dalla lotta, dal karate. Vorrei vedere passi in avanti nei «mixed team», come il triathlon. La pallavolo, il beach maschile e femminile sono certezze, il softball un possibile outsider. Nella canoa, nella discesa più che nella velocità, possiamo andare a medaglia.
Continui.
Nel tennis intravedo un margine per fare risultato tanto nell’individuale quanto nei doppi, per il golf dipenderà dalla giornata. Nella vela andrà meglio rispetto al Brasile, i pesi possono stupirci, come la ginnastica sia artistica sia ritmica. Infine, c’è la scherma, da sempre un nostro territorio di conquista.
Per lungo tempo, nelle ultime settimane, il numero di atlete donne qualificate è stato superiore agli uomini o in perfetto equilibrio. Siamo il Paese delle quote rosa nello sport?
Per il Cio, il Comitato olimpico internazionale, è un mantra, un’ossessione corretta. L’abbiamo fatta nostra. E no, non è un caso: ci sono discipline come il nuoto sincronizzato o la ginnastica ritmica in cui portiamo solo donne. Lo stesso accade con il pugilato, quando l’immaginario comune racconta l’opposto. Ormai non esistono più sport solo per uomini. Il merito è di nomi come Federica Pellegrini, di personaggi che hanno creato un traino, scatenato un diffuso senso di emulazione.
Che Olimpiadi saranno?
Vinceranno la partita della peculiarità, della stranezza, dell’atipicità. Però, come contraltare, anche del fascino, della bellezza. Con chiunque parli dei partecipanti, sono felici, gratificati, emozionati di vivere questi Giochi, come mai era accaduto in passato. Il motivo è intuibile: sono tanto agognati quanto in dubbio fino all’ultimo.
Quali riflessi avranno sul pubblico?
Gli atleti sono gli eroi moderni della nostra epoca, hanno preso il posto di categorie affermate dell’arte e della cultura. Non perché siano migliori, piuttosto per il loro livello di popolarità. Li raccontiamo attraverso Italia Team, un concetto collettivo, un progetto di comunicazione corale tenuto insieme dallo scudetto tricolore. Il grande professionista è accostato alla ragazzina che si è qualificata per la carabina tre posizioni (Sofia Ceccarello, ndr). Come portabandiera, abbiamo scelto volti quasi sconosciuti alle grandi platee, Jessica Rossi ed Elia Viviani, dalle carriere di fronte alle quali bisognerebbe inginocchiarsi.
Tanta trasversalità saprà riaccendere un movimento che, a causa della pandemia, si stima abbia smarrito tra il 30 e il 50 per cento dei tesserati?
Dipende di chi parliamo. Se pensiamo agli adulti che hanno perso il lavoro e il vecchio tenore di vita, al momento possiamo fare poco per recuperarli. Se guardiamo ai ragazzi che hanno mollato lo sport per rincretinirsi davanti a un computer, la varietà delle discipline può essere un traino formidabile. Ma da sola non basta.
Cosa manca?
Con il decreto Sostegni ci saranno interventi su formazione e impiantistica, però tutto poggia ancora sul vecchio sistema dell’associazionismo sportivo. In altri Paesi tale dinamica non esiste, non ci sono le federazioni di riferimento, mentre noi siamo giganti in materia. Come Coni seguiamo 387 discipline. È vero, un giovane può scegliere quella che preferisce, ogni tanto nasce un campione mondiale di specialità di cui nessuno aveva sentito parlare prima. Abbiamo una grande forza che nasconde una debolezza: gli investimenti si disperdono, le energie pure.
Come canalizzarle a dovere?
Insistendo sul ruolo della scuola, prevedendo orari curriculari per lo sport e assumendo insegnanti di scienze motorie. Non possono certo occuparsene i professori di chimica o di filosofia. All’estero, il movimento inizia in classe, poi i più bravi vanno nei centri di eccellenza. Da noi, si va avanti grazie alla buona volontà di genitori, parenti e nonni che accompagnano i figli e i nipoti agli allenamenti. È totalmente inaccettabile, è una situazione da terzo mondo. Non siamo fanalini di coda, non siamo nemmeno in classifica per quello che dovrebbe essere un presupposto di base.
Dipende anche dal ruolo preponderante del calcio, che per popolarità e aspirazioni fagocita o marginalizza il resto?
Sono un amante del calcio, un tifoso, un praticante da una vita. Secondo me un Paese evoluto dal punto di vista culturale dovrebbe vivere questa predilezione come un traino, non come un’egemonia, né una monogamia. Si può essere multidisciplinari nelle passioni. Quando non succede non vince una, perdono tutte. Come Coni portiamo avanti questi concetti e gli atleti ce lo riconoscono. Non siamo su un campo di battaglia: il calcio deve essere fiero di convivere con gli altri sport, come gli altri sport devono riconoscere la forza del calcio. A proposito di campagne, la sua presidenza sembra avere i margini per portarle avanti con più vigore e autonomia. Poche settimane fa è stato eletto per il suo terzo mandato con l’80 per cento dei voti. Se non è un plebiscito, poco ci manca. Usciamo da una fase complicata. I tentativi reiterati e scellerati di dividerci hanno finito per compattarci. Sono onorato di rappresentare lo sport italiano.
Al di là dell’onore, questa ritrovata unità può aiutare a rendere più efficiente la marcia di avvicinamento alle Olimpiadi invernali di Milano e Cortina del 2026? A che punto siamo?
Sono passati due anni esatti dall’assegnazione. La fondazione, il comitato organizzatore che è un ente privato con finanziamenti privati, va avanti tra mille complessità dovute alla pandemia. Sta rispettando il cronoprogramma sul fronte sportivo. L’agenzia, che è pubblica ed è incaricata di sistemare le opere già previste, i cui fondi sono stati stanziati, non ha nominato i suoi organi. Il motivo è che dopo 24 mesi e tre governi la politica sta ancora discutendo sul punto. E la cosa ci preoccupa tantissimo.
Quali sono i rischi?
Faccio un esempio. Possiamo preparare al meglio gare come la discesa libera, sotto ogni punto di vista. Lo abbiamo appena fatto durante i Campionati mondiali di febbraio. Ma se nessuno farà i lavori necessari, per arrivare a Cortina potrebbero crearsi code lunghissime, si rischia di impiegare due ore e mezza per percorrere 80 chilometri.
Un’ultima curiosità. Se potesse partecipare alle Olimpiadi oggi, che sport sceglierebbe?
L’atletica leggera. I 400 metri ostacoli. Un giro di pista che contiene una metafora della vita. Non dovrei allenarmi più di tanto (e per la prima volta in quasi un’ora di conversazione, Malagò scoppia a ridere, ndr): da questo punto di vista, il Coni è stato un’ottima palestra.