Metafore e alieni: la recensione de La guerra di domani

Inizia piuttosto bene La guerra di domani. Chris Pratt interpreta un personaggio che sembra costruito su di lui: un professore e scienziato che è anche un veterano dell’Iraq. L’attore si lascia alle spalle il ruvido (e monotono) macho di Jurassic World per tornare a incorporare i tratti più geek della sua personalità in un ruolo da action hero.

Il film di Chris McKay, regista di Lego Batman – Il film, parte da questo personaggio, Dan Forester, un padre di famiglia che sognava una grande carriera e si ritrova invece a lavorare come insegnante, ma che sta ancora cercando la sua grande occasione. Quella grande occasione gli viene data in maniera inaspettata e improvvisa quando un gruppo di soldati provenienti da trent’anni nel futuro si materializzano oggi e chiedono aiuto per combattere una specie aliena che ha ridotto la popolazione globale a 500 milioni di persone, e sta per condurre l’umanità all’estinzione.

Il futuro è in parte già scritto, perché il viaggio nel tempo nel mondo di La guerra di domani ha determinate regole che non permettono di tornare indietro a quando si vuole per impedire che qualcosa accada. La guerra non potrà essere cancellata, ma solamente vinta. O persa.

McKay e lo sceneggiatore Zach Dean (Le ultime 24 ore) non nascondono la metafora che si cela sotto la superficie di questa storia di fantascienza spettacolare: il global warming, il nostro destino già segnato (guarda caso si parla di trent’anni nelle proiezioni più catastrofiste) e i più giovani che devono convincere i più anziani a fare la loro parte. E un padre che si fa coinvolgere principalmente per assicurare un futuro alla figlia piccola, per restituirle un pianeta vivibile. Non fa una grinza.

Eppure, è sufficiente una buona idea per realizzare un buon film? Non proprio. C’è bisogno anche di qualcos’altro, ovvero di una scrittura che quell’idea sappia svilupparla e che sappia costruirle intorno scene, trovate e personaggi memorabili. In questo, La guerra di domani riesce a metà. Perché se da un lato – e principalmente nell’atto centrale – le scene spettacolari non mancano, con l’esercito di coscritti dal passato che lotta disperatamente contro un nemico inarrestabile (gli alieni Whitespikes, oltretutto, non deludono nell’aspetto ripugnante), dall’altro la scrittura dei personaggi latita. È poco memorabile Dan Forester, così come sono generici e stereotipati i comprimari. Uno dei rapporti chiave del film, quello tra Dan e suo padre James (J.K. Simmons in una forma fisica invidiabile), che lo ha abbandonato da ragazzino, è minato proprio dalla scarsa cura messa nel definire i loro trascorsi e il carattere dei due personaggi.

Quello in cui La guerra di domani non delude sono le scene di battaglia, come si diceva. Gli effetti e gli scenari sono ben definiti, la regia è chiara e non lesina in momenti di grande tensione. È questo il piatto forte di un film che tenta di essere tante cose riuscendoci solo in parte. Vorrebbe essere un dramma famigliare con risvolti politici, vorrebbe essere un racconto ammonitorio e, nel terzo atto, cambia quasi totalmente registro per diventare quasi un action movie di sopravvivenza. McKay punta al cinema di Roland Emmerich, senza averne la forza distruttiva e la capacità di abbracciare il ridicolo, ma facendo a tratti un buon lavoro. Peccato che, a lungo andare (e per lungo intendiamo 140 minuti), La guerra di domani perda lo slancio iniziale e si trasformi nell’ennesima storia di redenzioni ed eroismi a portata di famiglia, risolvendo tutto troppo facilmente e repentinamente. E, per essere un film di viaggi nel tempo, ha in più la colpa di non aver nemmeno definito troppo bene le sue regole interne, al punto che uno dei grossi conflitti morali che si ritrova ad affrontare Dan non sta assolutamente in piedi, se ci si ferma a riflettere.

Molto meglio le battaglie campali con orde di mostri provenienti dallo spazio, che alternano scene di massa a corpo a corpo più brutali e tesi. Se solo il resto del film fosse all’altezza, forse staremmo già parlando di un franchise, invece che di una timida uscita su Amazon Prime Video.

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