Ridiamo titolo ai licei

Secondo uno studio del Ministero dell’Istruzione e del Merito aumentano le iscrizioni negli istituti tecnici a scapito di quelle nei licei, soprattutto al classico. E si invoca la presunta differenza di difficoltà tra le due tipologie di studio come ragione principale della tendenza. Troppo impegnativi i licei, secondo gli studenti, più pratici e soprattutto contemporanei i secondi. Non sono d’accordo. Non è tanto una questione di difficoltà a far rinunciare i giovani all’iscrizione nei licei, piuttosto il fatto che negli ultimi quattro decenni questi sono stati relegati a un mero passaggio obbligato verso l’università. Negli anni Novanta le banche assumevano prima i ragionieri e se a far domanda era un giovane con la maturità scientifica questo non era il favorito. Se poi aveva la pretesa di studiare all’università lavorando, ancora peggio. La realtà non cambiata molto: chi studia in altri tipi di istituti esce geometra o perito, ma chi ha una maturità liceale è semplicemente un “signore” che non può fare altro che continuare a studiare, come non fosse in grado di imparare niente altro, neppure le basi della contabilità, come se calcolare una percentuale fosse improvvisamente più complicato di risolvere un integrale o una funzione.

Di fatto la reputazione dei licei, che siano il classico, lo scientifico, artistico, o quelli più moderni delle scienze umane, sportivi e musicali, è stata sminuita perché la grande richiesta di figure tecniche che la società richiede – informatici, meccatronici, elettronici – ha oscurato la formazione umanistica dei licei. Vero è che i programmi andrebbero aggiornati da mezzo secolo, poiché se prendiamo per esempio lo scientifico, si studia la Divina Commedia per tre anni, i Promessi Sposi per due, ma si dimenticano le opere letterarie di Galileo Galilei – Il suo Dialogo su due massimi sistemi del mondo è esemplare per capire la fisica elementare – come quelle di Albert Einstein filosofo. Poi, però, nel momento del colloquio per la prima assunzione in apprendistato, ci si accorge che se per usare strumenti come il Cad o Project basta un corso, chi lo fa con in tasca la maturità classica o scientifica ha spesso un inizio più lento ma poi stacca con decisione i colleghi e dimostra capacità preziose. Soprattutto il suo capitale umano cresce di pari passo con quello tecnico, mentre chi non possiede esperienze di formazione umanistica rimane un tecnico, magari capace, ma non arriva a sviluppare le cosiddette “soft skill” che servono, per esempio, per gestire una squadra di persone senza fare danni o prevedere le difficoltà nella realizzazione di un progetto. I tecnici puri nella maggioranza dei casi ignorano una regola fondamentale dell’attività umana che soltanto i principi di filosofia dei licei possono insegnare: il dubbio è la base della certezza (posso dubitare di tutto tranne del fatto che sto dubitando, quindi esisto). La scuola italiana dovrebbe quindi tornare a dare valore alla maturità liceale come titolo di perito in scienze umane o propedeutiche e non limitarsi a considerarli la porta per i test d’ingresso al percorso universitario, oggi quasi una strada obbligata.

Leggi su panorama.it