La guerra in Ucraina si decide nei cieli, o forse è solo propaganda

Aeroplani nascosti, intercettazioni ovunque dall’Est Europa fino all’Artico. Se consideriamo anche l’invasione dei sospetti palloni-spia cinesi, lo scenario pare essere il preludio allo scoppio di un conflitto globale. Ma tale terribile visione rende necessarie alcune considerazioni. Che nella zona baltica e tra le foreste del nord della Russia si possano nascondere aviogetti tra i boschi è cosa nota da almeno mezzo secolo. Svedesi e norvegesi sono maestri in questo tipo di operazioni, e i primi, grazie a Saab, hanno sempre progettato aeroplani militari in grado di operare da strade interurbane nascoste nella vegetazione, dove ci sono anche hangar ben occultati. Ma anche i russi possono farlo con diversi tipi dei loro aeromobili e spesso, durante le esercitazioni compiute in tempi recenti, prima del conflitto con l’Ucraina, sono state diffuse immagini e filmati proprio per pubblicizzare tali capacità. Tuttavia, nascondere moderni aeroplani da guerra non è così semplice come potrebbe apparire.

Salvo sporadici atterraggi per il solo rifornimento, che comunque presuppongono la presenza di autobotti e addetti, per sfruttare i bunker predisposti come hangar e le vie di comunicazione come piste serve molto personale specializzato, attrezzature e piloti addestrati a farlo in continuazione. Si pensi per esempio alle operazioni di ricarica dei cannoncini di bordo ma soprattutto ai rapidi e azzeccati cambi d’armamento secondo le missioni da svolgere. E in cima a tutto servono le necessarie comunicazioni per il coordinamento di decolli e atterraggi.

L’area in questione è poi relativamente vicina alla zona artica, che storicamente e geograficamente è sempre stata un punto di contatto tra le flotte russa e americana, siano esse composte da unità navali di superficie, da sommergibili o da aeromobili. La notte scorsa, per esempio, il Comando della difesa aerospaziale del Nord America (Norad) ha dichiarato che nella giornata di lunedì 13 è avvenuta l’intercettazione di quattro velivoli militari russi, in particolare due bombardieri strategici Tu-95 Bear-H scortati da caccia Su-35 che avrebbero superato il confine oltre il quale gli aeroplani dovrebbero farsi riconoscere dal radar della Difesa aerea americana che copre l’Alaska, secondo accordi del passato, quando regnava una certa distensione. Non è un caso che nello stato americano più a nord del pianeta si trovino tre grandi basi aeree, Fort Wainwright, Elmendorf e Fort Richardson, presso le quali operano in totale 6.000 militari. Da queste sono decollati uno E-3 Sentry, Awacs – dotato di radar sulla fusoliera e di buona autonomia – una aerocisterna Kc-135 per rifornire chi è in volo e soprattutto una coppia di F-16 armati con missili aria-aria.

Ora la domanda che tutti si pongono è se stia per cominciare una grande offensiva russa, o se questa sia in realtà iniziata con la fase di schieramento e raccolta di informazioni, o se, invece, queste azioni rientrino nelle missioni necessarie a tutte le forze militari per il mantenimento delle capacità. Ponendo la questione diversamente, se le operazioni sull’Artico e sul Nord Europa siano legate o meno a quanto sta accadendo sul fronte ucraino, dove pare – condizionale d’obbligo – sia in corso un’azione a largo raggio da parte russa per “impegnare e saggiare” le forze avversarie prima che le manovre offensive vere e proprie abbiano inizio.

La dottrina russa prevede una lunga preparazione, soprattutto per lo schieramento dell’artiglieria, e quello che non possiamo sapere – a meno che non ce lo racconti un generale russo – se quanto accade sia l’inizio dell’attacco oppure normale mantenimento del fronte, o ancora studio della situazione per predisporre interventi di supporto, come stabilire come riconquistare la supremazia dell’aria, cioè preparare aeroplani ed elicotteri da combattimento. Ovviamente sul piano mediatico all’Ucraina fa gioco mantenere altissima la tensione per affrettare l’arrivo delle armi promesse durante lo scorso mese, a cominciare dai carri armati, per i quali i carristi di Kiev si stanno addestrando in Polonia. Fateci caso, sono giorni che sentiamo parlar di questa offensiva russa, e i media – tutti – non hanno potuto fare altro che riportare quanto veniva dichiarato e osservato, dai problemi ucraini – veri fino a un certo punto, munizioni e armi ancora non mancano – e anche della leggendaria inevitabile vittoria russa, in realtà tutta da verificare.

Ma di certo la comunicazione ucraina è riuscita nell’intento di distrarre l’attenzione dai problemi di corruzione interni, spariti nel nulla, dimenticati anche dai politici di Bruxelles che vedono tra due anni l’Ucraina nella UE, facendo finta di non vedere i provvedimenti contro le popolazioni in Donbass (che diventerebbe come una regione europea) e tantomeno le pene comminate a chi si sottrae alla leva militare, certamente necessaria in una nazione in guerra, ma non certo accettabile per chi vuole entrare nella UE e nella Nato.

Da parte russa la verità pare essere differente: Putin starebbe perdendo soldati più velocemente di Kiev e senza un segnale forte, per attuare il quale gli serve l’aviazione, tra i cui compiti c’è ci sarà la neutralizzazione dei carri mandati dai Paesi Nato, non potrà fare molto. Purtroppo per lui, bene per gli ucraini, i piloti russi prima della guerra volavano per addestramento circa la metà di quelli occidentali. Dobbiamo quindi pensare che tanta agitazione nei cieli dell’Est europeo sia dovuta anche a queste operazioni, unite alla necessità di mantenere alta la tensione. Il timore dei generali russi è noto: il fango di febbraio e marzo non facilita le avanzate e l’arrivo delle armi occidentali a medio e lungo raggio comporterà l’allontanamento dell’artiglieria dal fronte, con un arretramento dei cannoni ma anche di logistica e rifornimenti. Resta comunque possibile una offensiva anche dalla Bielorussia, ma poi, già in difficoltà su un fronte molto – troppo – vasto, è difficile che Mosca, senza ampliare il conflitto all’uso di armi tattiche, possa alimentarne due contemporaneamente. Lavrov tuttavia è stato chiaro: le nuove sanzioni sono un punto di non ritorno.

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