martedì, 26 Novembre 2024
Cannes 2021: la recensione di Tre Piani di Nanni Moretti
A sei anni dal suo ultimo film, Mia Madre, Nanni Moretti torna al Festival di Cannes in veste di regista con una storia familiare, adattando per il grande schermo Tre piani, romanzo dell’israeliano Eshkol Nevo. È la prima volta che il cineasta romano usa un soggetto non originale. Come il titolo può fare intuire, al centro di tutto vi è un palazzo, o meglio le famiglie che abitano ai suoi primi tre piani.
Siamo a Roma, è notte e proprio sotto l’edificio avviene un incidente stradale. Una passante viene investita mortalmente dal figlio di una coppia (Nanni Moretti e Margherita Buy) che abita proprio lì davanti. Lui giudice, lei altrettanto impiegata in tribunale, i due decidono di dare supporto, ma non completamente alla difesa del giovane. Sono sempre stati duri con lui e il rapporto appare ormai insanabile. Nel frattempo, al primo piano, il lui di una coppia più giovane, genitori di una ragazzina di sette anni, si convince che l’anziamo vicino abbia abusato della figlia anche se non c’è nessuna prova a sostegno, anzi è palese che sia una sua fissazione. Il terzo nucleo familiare è quello composto da una donna (Alba Rohrwacher) e dalla sua neonata figlia. Il papà (Adriano Giannini) è continuamente fuori per lavoro, non è tornato neanche per il parto.
Le tre storie viaggiano parallele offrendo varie prospettive sulla genitorialità e la ricorrente contraddizione tra vicinanza fisica (la nostra famiglia, le persone che ci abitano vicino) e distanza affettiva (sfiducia, sospetti, assenza di empatia). L’intreccio non ha nulla di sconvolgente, eppure riesce a tenere alta l’attenzione fino alla fine. Lo fa nonostante una serie di difetti, di scrittura (la recitazione va di conseguenza), che alcune scene hanno provocato involontaria ilarità tra alcuni dei giornalisti che l’hanno visto a Cannes, dove la pellicola è in concorso.
È vero, alcune scene e svolte di trama sembrano buttate lì, senza alcuna costruzione pregressa che le anticipano, come in un brutto sceneggiato televisivo, ancor peggio sono certi dialoghi scritti come potrebbero essere recitati in una barzelletta e totalmente incomprensibile è il fatto che i personaggi, nel corso dei 10 anni di narrazione, non cambino di una virgola, ma il materiale di partenza è tale che il saldo è, a nostro avviso, comunque leggermente in positivo. Se però deciderete di andare in sala, partite già con la consapevolezza che senza dubbio non è uno dei migliori film di Moretti.