domenica, 24 Novembre 2024
«Le primarie sono politicamente nefaste»
Piero Ignazi, politologo dell’Università di Bologna, analizza i risultati delle elezioni primarie del Partito democratico che hanno sancito la vittoria della giovane Elly Schlein: «Mi attendo un’opposizione più grintosa, perché prima il Partito democratico risultava letteralmente ripiegato su sé stesso, senza leadership. Ma, detto questo, restano i dubbi sulle primarie».
La 37enne Elly Schlein, con il 53% dei consensi ricevuti, è la prima donna ad assumere la guida del più importante partito della sinistra italiana contemporanea: dopo aver sconfitto Stefano Bonaccini, presidente dal 2014 della regione Emilia Romagna – che nelle previsioni della vigilia sembrava essere il più accreditato alla vittoria finale – ora alla giovane deputata si aprono le porte della segreteria di un partito ridotto in consensi e potere. Superare difficoltà e problemi innanzi a cui in tanti avevano fallito, sarà la sua missione più prossima. Da non sottovalutare, in ogni caso, la circostanza che la Schlein sia stata vicepresidente dell’Emilia Romagna proprio come vice del presidente Bonaccini. Sulla sua carriera, oggi tutta in ascesa, avranno sicuramente pesato le notevoli professionalità familiari: suo padre, Melvin Schlein, professore emerito di Scienze politiche in America, è nome di punta della sede bolognese della Johns Hopkins University; sua madre, Maria Paola Viviani, è ordinaria di diritto pubblico comparato nell’Università degli Studi dell’Insubria. Intanto, quasi a marcare la distanza siderale con il nuovo partito che sembra essere nato dopo la vittoria della giovane neosegretaria, Giuseppe Fioroni, storico fondatore del Partito democratico ed ex ministro dell’Istruzione, ha lasciato lo stesso Pd.
Professore, Elly Schlein è la nuova segretaria del Partito democratico!
«Si tratta di un passaggio generazionale di indubbio rinnovamento, una spinta verso posizioni più nette, caratterizzanti, radicali, e quindi anche una forma di rinnovamento interno al partito che mi aspetto profondo. Mi riferisco alla nuova classe politica che da ieri è chiamata a gestire partito, iscritti, elettori e strategie politiche».
Per alcuni si tratta di una sorpresa, per altri del risultato più auspicabile. Cosa dice la scienza politica?
«Sorpresa direi no, perché era chiaro che la competizione si sarebbe risolta praticamente all’ultimo voto: infatti non abbiamo registrato scarti giganteschi. Serrata, certo, la competizione lo è stata, ma nell’aria il cambiamento di passo lo avvertivamo. Certo è che queste primarie hanno ribaltato il voto degli iscritti al partito, circostanza da tenere a mente…».
Vista l’età, in molti già intuiscono come si comporterà la neo-segretaria.
«Non avrà difficoltà anche perché il Partito democratico, con la sua giovanissima storia politica, non è annoverabile tra i partiti che necessitano di un’opera di svecchiamento immediata. È ovvio che la Schlein porterà con sé tutta la nuova leva del gruppo dirigenziale attorno cui costruire il “nuovo” Partito democratico. Attendiamo di capire se sarà leale sino in fondo, rompendo con il passato, o se verrà recuperato qualcuno di esperienza, come personalmente mi auguro, perché è inevitabile che anche nei momenti di “svecchiamento” l’esperienza politica non possa essere gettata via».
Si è trattato di elezioni aperte anche ai non iscritti al Pd: in questi casi non si corre il rischio di falsare il risultato finale?
«Non credo si tratti di falsare il risultato, perché questo aspetto non credo si sia mai verificato a livello nazionale. Detto questo, sono tra coloro che da sempre considerano nefaste le primarie, nel senso che la scelta del segretario di un partito debba necessariamente essere affidata a chi ha deciso convintamente di farne parte, non ai simpatizzanti, ai “senza tessera”, a chi passi quel giorno dalle parti di un gazebo e voglia provare l’ebrezza di votare. Il responsabile di un partito, almeno nella dimensione classica nella quale pensiamo a tale soggetto, deve essere espressione di coloro che hanno deciso di farne parte, di contribuire alla sua nascita ed organizzazione. Che è diverso, ovviamente, dal pensiero degli elettori».
Politologicamente la sua è un’analisi impeccabile!
«E’ nella natura delle cose pensarla così: l’elettorato rappresenta un nucleo, informe e variabile, non etichettabile che non potrà mai essere chiamato come responsabile delle decisioni politiche. Queste ultime graveranno sugli iscritti che hanno approvato una linea politica e una classe dirigenziale e saranno proprio loro i responsabili delle scelte, delle decisioni e dei risultati elettorali. Se non ci sono i classici paletti all’interno dell’organizzazione di un partito, allora l’organizzazione stessa non ha senso».
La sua elezione farà ripartire l’opposizione al governo Meloni?
«Non c’è dubbio! L’opposizione sarà necessariamente più grintosa, ma non perché prima non lo fosse, ma solo perché prima il Partito democratico risultava letteralmente ripiegato su sé stesso, in questo processo di definizione della propria leadership. Ora sia per la combattività che per l’energia che tutti riconoscono alla neosegretaria, sono più che convinto che il cambio di passo sarà notevole».
Intanto registriamo una novità: due donne si dividono il campo politico italiano…
«Guardi, qui la deluderò. Non ho mai pensato alla circostanza di avere una donna al comando di un partito, piuttosto che alla guida di un organo istituzionale o di quant’altro: non è in questi termini che il problema della politica italiana merita di essere affrontato. Appartengo ad una generazione che ha vissuto in prima persona il “femminismo”, quello per intenderci che ha rappresentato una vera rivoluzione. Erano gli anni in cui le donne si impossessarono letteralmente di un ruolo politico, divenendo esse le sole attrici. Siamo alla continuazione di quella linea evolutiva, senza diventare -oggi- fattore traumatico o storico».
La novità c’è, indubbiamente!
«Certo, ma l’importanza dello specifico femminile in politica lo si vede nelle battaglie che le donne sono in grado di portare avanti, non nella circostanza di occupare una carica…».
Intanto qualche effetto collaterale lo registriamo. Giuseppe Fioroni, storico fondatore del Partito democratico ed ex ministro dell’Istruzione, ha lasciato il partito…
«Sarò ancora più drastico. Riesumare dall’oblio l’ex Ministro Fioroni può dare l’impressione della ricerca del classico “quarto d’ora di celebrità”. Appare come improvvisamente destato solo per protestare per la sconfitta del suo candidato, Stefano Bonaccini».
Professore, come stampa non possiamo non evidenziare la fuoriuscita dell’ex ministro…
«Certo, e faccio notare come chi non ha avuto il proprio candidato eletto, abbandonando il partito, possa apparire come scarsamente identificato proprio con il partito…».
Forse Fioroni ed altri temono un eccessivo spostamento a sinistra
«Penso che chi ragioni così abbia poco a cuore il proprio appartenere ad un partito».
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Piero Ignazi, originario di Faenza, classe 1951, politologo, professore Alma Mater dell’Università di Bologna, si è perfezionato all’Istituto Universitario Europeo di Firenze e al Department of Political Sciences del Mit di Boston. Visiting professor in numerose università (Tunisi, Parigi, Treviri, Denver, Lille, Oxford, Madrid, Montreal), è stato presidente del Corso di laurea in Relazioni internazionali e direttore del Dipartimento di Scienze politiche e della facoltà felsinea. Membro dell’Editorial board dell’“International political sciences review e del comitato scientifico della Rivista italiana di Scienza politica, è stato direttore de Il Mulino. Autore di numerosi saggi sui partiti politici, tra cui spiccano quelle sulla destra italiana ed europea, ha coniato per il Msi-Dn la definizione di “polo escluso” .
Panorama.it Egidio Lorito, 27/02/2023