Zone SAR: cosa sono e dove l’Italia può intervenire nel soccorso ai migranti

Dopo l’ultimo naufragio avvenuto davanti alle coste Libiche che ha causato la morte di 30 migranti si torna a parlare delle zone SAR del Mediterraneo che regolano il soccorso in mare. Aree marittime disciplinate dalla convenzione firmata ad Amburgo nel 1979 dove sono stabilite le zone per le attività di Ricerca e Soccorso in mare chiamate SAR (Search and Rescue) regolamentate da norme internazionali, comunitarie e nazionali che dettano disposizioni inerenti l’organizzazione delle strutture deputate a gestire le emergenze in mare, nonché le modalità di svolgimento delle operazioni di ricerca e soccorso in aree di mare che gli stati costieri competenti hanno l’obbligo di mantenere.

L’Italia ha una zona SAR di circa 500mila chilometri quadrati ma spesso sovrintende anche a quella di Malta, che non ha i mezzi per operare da sola e capita spesso che non risponda alle richieste di aiuto come è accaduto in innumerevoli occasioni dove ha dichiarato la propria indisponibilità, a volte anche a distanza di ore dalla segnalazione italiana. Inoltre va sottolineato che la cooperazione SAR tra Italia e Malta non è stata mai istituzionalizzata da alcun accordo, nonostante ciò sia raccomandato dalla Convenzione di Amburgo e nonostante i rapporti tra i due Paesi siano stati sempre eccellenti a livello politico. Il disaccordo con Malta riguarda anche l’estensione delle rispettive zone SAR. La SAR di Malta si estende per circa 250.000 km a fronte di 315 km di superficie insulare e 250 km di sviluppo costiero e si sovrappone alla SAR italiana di Lampedusa e la nozione di place of safety in cui trasportare i migranti salvati nella propria SAR (Malta sostiene che non sia Valletta la più vicina al luogo del soccorso ma Lampedusa).Qualora invece tale richiesta venga avanzata alle autorità italiane all’interno della SAR di un altro Paese (per esempio Malta o Tunisia) si applicano i principi della Convenzione di Amburgo secondo i quali scatta l’obbligo di cooperazione che può portare all’intervento dello Stato responsabile della SAR o, nel caso questo non ne abbia le capacità, all’azione dei mezzi coordinati dalle autorità italiane.Per la Libia la situazione si presenta invece in termini radicalmente diversi in quanto gestisce una zona SAR di 300mila chilometri che comprende almeno 97 miglia nautiche dalla costa libica e la sua Guardia costiera che dovrebbe occuparsi dei soccorsi ha un corpo formato da milizie finanziate e addestrata dall’Italia e dall’Unione Europea per fermare le partenze dei migranti dalle coste libiche ma “soccorre” chi vuole e quando vuole, spesso non rispondendo alle chiamate o facendolo ore dopo.

I soccorsi

Diversi accordi internazionali stabiliscono che per svolgere questo compito ciascuno stato costiero deve attrezzare un Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo (in inglese MRCC) e mantenere una piccola flotta col compito di soccorrere navi in difficoltà. Il centro MRCC di una certa zona SAR deve essere allertato e coordinare le operazioni di soccorso compiute da qualsiasi nave all’interno dell’area marittima di competenza. I confini delle zone SAR sono definiti da specifici trattati internazionali, e nel caso del Mediterraneo sono definiti da oltre vent’anni.

Il caso

Nell’ultimo caso davanti le coste libiche la Guardia Costiera Italiana ha scritto in una nota stampa che il soccorso è avvenuto al di fuori dell’area di responsabilità SAR italiana registrando l’inattività degli altri Centri Nazionali di coordinamento e soccorso marittimo interessati per area e riferendo come si sono svolti i fatti della notte dell’11 marzo.“Watch the Med – Alarm Phone” segnalava al Centro Nazionale di coordinamento del soccorso marittimo di Roma, a quello maltese e a quello libico una barca con a bordo 47 migranti, in area SAR libica a circa 100 miglia dalle coste libiche. Successivamente l’unità veniva avvistata dal velivolo “ONG Seabird 2” il quale procedeva ad inviare una chiamata di soccorso e contattava il mercantile “BASILIS L” che confermava di dirigere verso il barchino. Tutte le informazioni venivano fornite anche alle Autorità libiche e maltesi. Il mercantile “BASILIS L” comunicava di avere il barchino a vista, fermo alla deriva, e di avere difficoltà a soccorrerli a causa delle avverse condizioni meteo in zona. Le Autorità libiche, competenti per le attività di ricerca e soccorso in quell’area, a causa della mancanza di disponibilità di assetti navali, chiedevano il supporto, così come previsto dalle Convenzioni Internazionali sul soccorso in mare, del Centro Nazionale di coordinamento del soccorso marittimo di Roma che, su richiesta delle autorità libiche, inviava nell’immediatezza, un messaggio satellitare di emergenza a tutte le navi in transito. La Centrale Operativa della Guardia Costiera di Roma, oltre al mercantile “BASILIS L” che rimaneva vicino al barchino, inviava 3 mercantili presenti in zona verso il natante in difficoltà. Le operazioni di trasbordo dei migranti iniziavano alle prime luci dell’alba da parte di uno dei 4 mercantili che avevano raggiunto il barchino in difficoltà. Durante le operazioni di soccorso da parte della motonave “FROLAND”, il barchino durante il trasbordo dei migranti si capovolgeva: 17 persone venivano soccorse e recuperate dalla nave mentre risultavano dispersi circa 30 migranti.

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