domenica, 24 Novembre 2024
Il lusso si ripara, si tramanda e ha un’anima consapevole
Pensare a un abito, un accessorio, un oggetto, un mobile, una architettura e a qualunque altra cosa possa accompagnare e dare una precisa estetica ai migliori momenti della vita e poi essere adatto ad attraversare diverse stagioni o addirittura generazioni.
La moda, o perlomeno quella fascia etichettata a fianco della parola lusso, sta vivendo qualcosa di molto più complesso e rivoluzionario di un semplice ritorno alla tradizione, fatta per bene e per durare nel tempo. Accanto alla rinnovata celebrazione del savoir faire, quello nato nelle sartorie d’Italia e di Francia, nella Savile Row d’oltremanica e in altri laboratori artigiani sparsi per il globo, si associano altre qualità imprescindibili: il lusso si veste di arti umane, di sostenibilità, di funzionalità, di tecnologia, di nuovi bisogni e convenzioni, e di altrettanti limiti imposti da una società internazionale arrivata al capolinea nella produzione massiccia votata al consumo fine a sé stesso.
«Alcune persone pensano che il lusso sia l’opposto della povertà. Non lo è. È l’opposto della volgarità» dichiarava Madame Coco Chanel oltre mezzo secolo fa. Da sempre sussurrata, una delle regole estetiche, quella di togliere anziché aggiungere se non è necessario, è stata molto meno praticata, e ha fatto perdere spesso il senso alle varie modalità che si usano per distinguersi gli uni dagli altri.
La moda è fatta per sognare, reinventandosi sempre con qualcosa di nuovo, aggiungono i più accaniti sostenitori; tutto vero, ma perché il sogno sia desiderabile e qualcosa a cui aspirare ardentemente e su cui investire, occorre, forse ancora di più adesso, che abbia un maggiore senso, una identità resiliente, una materialità e una fattura straordinarie, una funzionalità intima e una cultura per apprezzarlo e collezionarlo.
Siamo in una epoca di nuove visioni e ridefinizioni, anche per quanto riguarda lo stile, la moda, il lusso o comunque il concetto di bellezza che, come sostiene da sempre l’imprenditore Brunello Cucinelli (citando il principe Miškin nell’Idiota di Dostoevskij), avrà un ruolo cruciale nel preservare e salvare il mondo.
«Mi sentivo responsabile della bellezza del mondo, come un tempo fece l’imperatore romano Adriano quando inaugurò il concetto dell’eterno, che abbraccia ogni aspetto della realtà, delle cose, delle persone, delle idee, dei modi, delle parole. A Solomeo (in Umbria), mio luogo di vita e di lavoro, abbiamo creato la Scuola di Alto Artigianato Contemporaneo per le Arti e i Mestieri e, in progetto per il 2024, la Biblioteca Universale, che sosterrà le discipline della filosofia, dell’architettura, della letteratura, della poesia e dell’artigianato o “Technè”, un unico termine che lo unisce all’arte. Ho sempre creduto che i prodotti debbano rappresentare cultura e identità e durare nel tempo, essere lasciati in eredità. Sono partito da un dna radicato nella maglieria (da un’intuizione che mi parve innovativa: il cashmere colorato per la donna). Tutt’ora, in ogni nuova collezione, inseriamo delle creazioni chiamate “Opera”, ovvero un numero limitato di maglie davvero speciali che richiedono molte di ore di lavoro manuali, oltre che l’abilità di esperte artigiane per la loro realizzazione».
Queste maglie spesso vedono l’unione di più tecniche di lavorazione (ai ferri, con ricami, all’uncinetto) e di filati unici e innovativi, tanto che il capo finito possa essere assimilabile proprio alla produzione di un’opera d’arte. Nella maglia «Marine Flower Crochet», ad esempio, le fantasie floreali sono effettuate a mano con gli uncinetti e con diversi filati, uniti poi tramite cucitura per dare forma, in una versione tridimensionale contemporanea e preziosissima.
La medesima idea di fornire la qualità totale, resistente al tempo e all’usura, la persegue Cruciani, altro marchio umbro più recente che punta sull’attento e paziente lavoro di maestranze sapienti. «Dietro ogni capo di Cruciani c’è una storia custodita dalle mani degli artigiani locali che sono il nostro patrimonio più prezioso nel nobilitare materie pure come la lana e il cashmere e trasformarli in singoli capolavori» ha dichiarato Riccardo Antonioni, direttore commerciale. «Il nostro maxi-cardigan, tratto da una particolare lavorazione di diversi filati – lana, seta, cachemire – è realizzato con la tecnica jacquard e con la rifinitura a mano delle frange».
Dal cantone francese, il marchio Louis Vuitton nasce anch’esso sul paziente e cadenzato lavoro artigianale, con la missione di preservare il valore del prodotto creato e degli antichi mestieri, requisiti ritenuti essenziali per il successo nel tempo. Tanto da riceverne una certificazione riconosciuta dallo Stato: Louis Vuitton, Entreprise du Patrimoine Vivant
Nella storica sede con i laboratori, ad Asnières, un paese a pochi chilometri a nord-ovest della capitale Parigi, ancora oggi lavorano oltre 170 artigiani, che progettano e realizzano prodotti di pelletteria e ordini speciali ricevuti da clienti di tutto il mondo. La formazione dei futuri talenti avviene presso l’Institut des Métiers d’Excellence, patrocinato dal gruppo LVMH, e nella Ecole des Savoir-Faire Louis Vuitton, dove si va a formare la prossima generazione di professionisti nella pelletteria e nell’orologeria.
Alcune delle borse più famose, sigillate dal famoso «The Tumbler lock», in tela Monogram e in altri unici ed esclusivi disegni, sono raccontate in un libro, Louis Vuitton Manufactures, pubblicato da Assouline, che risalta, attraverso fotografie commissionate in esclusiva, gli atelier e le storie delle persone che ci lavorano.
Un altra famosa signature d’oltralpe, Hermès, resta anch’essa fedele al proprio modello d’alto artigianato e ai propri valori umanistici. La Maison, una fra le poche ancora a gestione familiare e indipendente, punta a conservare la parte centrale della produzione in Francia, nei suoi oltre 50 siti di produzione, con una grande libertà di creazione, che segue gli stili di vita dei suoi clienti. Sono sei le generazioni di artigiani che si susseguono e tramandano l’eccellenza dei loro gesti e rievocano le parole di Robert Dumas: «Il lusso è ciò che si ripara».
Le origini, gli archivi, la brand identity, il servizio d’eccellenza, diventano perciò fattori chiave e imprescindibili punti di partenza e ancoraggio per dare credibilità ad un prodotto e al suo racconto, e per rinnovare ad un pubblico nuovo una storia d’eccellenza.
Come storicamente è successo da Dior, altro maestro del savoir faire internazionale, creato a immagine e somiglianza dal suo couturier fondatore, al numero 30 di Avenue Montaigne, nel 1946, che ha stabilito legge pretendere che ogni dettaglio debba sempre essere perfetto. Legge del suo stile raccontata da Christian Dior stesso nel suo primo libro, Je Suis Couturier (in inglese, Talking about Fashion) e nel dizionario della moda intitolato Christian Dior’s Little Dictionary of Fashion.
Molto è cambiato da allora, ma nulla del dna è stato stravolto, anche durante l’avvicendarsi di successori nella direzione creativa, dalle creazioni audaci di Yves Saint Laurent, il primo assistente, all’estro artistico di Marc Bohan, alle architetture di Gianfranco Ferré o l’eclettismo rock di John Galliano e via via i successivi Hedi Slimane, Kris Van Assche, Raf Simons.
Fino all’attuale direzione di Maria Grazia Chiuri che spiega: «Ho deciso di comportarmi come la curatrice di un museo: sono arrivata in un luogo incredibilmente ricco di storia e desidero utilizzare ogni aspetto di essa». La «Galerie Dior», custodita all’interno dello storico palazzo, è un esempio che rende testimonianza della rivoluzionaria intraprendenza del fondatore e dei suoi successori che hanno tramandato la medesima cura e la raffinatezza a tante diverse generazioni.
La trasmissione dei valori, di generazione in generazione, rappresenta le fondamenta stesse del Gruppo Tod’s di Diego Della Valle, imprenditore che ha puntato il suo business sul patrimonio della tradizione senza compromessi che valorizza la costante ricerca e innovazione. Una scala di valori, che va ben oltre i prodotti, e permea ogni aspetto dell’azione del Gruppo, pioniere di un approccio orientato all’etica e all’agire responsabile, verso la salvaguardia del territorio, delle persone e del patrimonio culturale.
Il codice di eccellenza di Tod’s è legato all’inconfondibile saper fare italiano e all’amore per le opere d’arte, presenti nel centro direzionale e nel polo produttivo, per estensione, il più grande nelle calzature di lusso in Italia, e nei negozi, molto attivi nella fusione fra moda, arte e design. La garanzia del Made in Italy ha mantenuto fedeli i clienti nel corso delle generazioni, convinti della veridicità di quel lusso raffinato e sobrio, riferito in ogni prodotto.
A cominciare dall’iconico Gommino, e dei suoi 133 inserti posizionati sulla suola della famosa driven shoe che necessita di più di 100 fasi lavorative, dal taglio a mano dei pellami fino alla cucitura delle singole componenti. Una scarpa può essere costruita con ben 35 pezzi di pelle, ognuno dei quali viene trattato e controllato manualmente prima di essere assemblato da diversi artigiani specializzati nello svolgimento di un compito preciso. I pellami provengono dalle migliori concerie del mondo e, come accade per il vino, alcuni pezzi devono aspettare anni per raggiungere il punto giusto di colore e di consistenza. Lo stesso procedimento è eseguito nella realizzazione delle borse, che si distinguono per le antiche procedure usate nella selleria.
All’accessorio crede anche Loro Piana, già eccellenza mondiale per i tessuti e i filati pregiati e nelle membrane eleganti ad alta performance (resistenti a vento, pioggia e freddo). L’ultima apertura è proprio una nuova fabbrica a Porto San Giorgio, dedicata alla produzione delle scarpe White Sole, assemblate a mano come avviene per tutti i prodotti della Maison.
Le calzature di matrice nautica, dalla riconoscibile suola bianca, personalizzabile con il proprio nome, hanno caratteristiche antiscivolo, studiate per non lasciare segni sui ponti in legno delle barche, di stabilità e tenuta. Due i modelli principali, il polacchino Open Walk senza stringhe ha una apertura brevettata con elastico nascosto sotto la linguetta che consente di calzarlo in un unico gesto, mentre le Summer Walk sono leggeri mocassini facilmente abbinabili al guardaroba estivo.
All’interno del Gruppo Prada è incluso lo storico marchio di calzature maschile dal fascino anglosassone, quello delle amatissime Church’s, divenute simbolo desiderabile per intere generazioni. La storia è antica, inizia nel Northampton, sito inglese rinomato per la produzione di scarpe pregiate, sin dal medioevo. L’abilità e il titolo di Mastro Calzolaio furono tramandati da allora fino a Thomas Church che ne ha divulgato i saperi: il meticoloso controllo qualità del miglior pellame, i sapienti tagli manuali, le resistenti cuciture, le colorazioni e lucidature fatte a mano libera, protocolli ancora attuati nelle dodici settimane di lavoro e negli oltre trecento passaggi effettuati per avere pronto un paio di scarpe.
La visione del Gruppo Prada attraverso i suoi sei marchi internazionali (Prada, Miu Miu, Church’s, Car Shoe, Marchesi 1824 e Luna Rossa) corrisponde anche al modo di fare impresa dalla coppia di successo Miuccia Prada & Patrizio Bertelli: «L’attenta osservazione e la curiosità nei confronti del mondo che ci circonda sono sempre state alla base della nostra creatività e della modernità del nostro dna. Nella società – e quindi nella moda, che ne è in qualche modo il riflesso – l’unica costante è il cambiamento. La trasformazione e l’innovazione dei codici di riferimento, alla base di ogni evoluzione, ci spinge a interagire con diverse sfere culturali, anche apparentemente lontane, portandoci a cogliere in maniera naturale e ad anticipare, lo spirito dei tempi. Una costante ricerca dell’eccellenza e dell’innovazione, nella quale il fattore umano è irrinunciabile. Oggi, in questo momento che riteniamo di grande responsabilità, i nuovi progetti sono anche l’occasione per sviluppare inedite rielaborazioni d’archivio».
L’esempio della borsa «Prada Moon», rivisitazione di un modello iconico degli anni 2000, ha una personalità definita dai dettagli: la grande fibbia e l’emblematico triangolo del logo in metallo, il passacavo mutuato dal mondo della vela, i manici e la tracolla artigianali, il portachiavi removibile, la nappa dallo speciale trattamento imbottito ma leggerissimo e il colore pieno, disponibile in quattro versioni, nero, azzurro, cedro, geranio e mango.
Fra le regine delle borse che si tramandano di generazione in generazione, quelle di Bottega Veneta sono uno degli esempi più calzanti per raccontare il lusso discreto italiano. «When your own initials are enough» è stato lo slogan utilizzato dalla Maison veneta già negli anni Settanta, che non ha mai avuto bisogno di ricorrere a loghi visibili o iperboliche reinterpretazioni per posizionare i suoi prodotti. Il cuoio intrecciato è la lavorazione che la incorona nel mondo, senza dover aggiungere altri fronzoli.
Il suo stile di lusso discreto, sostenuto dal Gruppo Kering, persegue obiettivi chiari e adotta pratiche sostenibili consapevoli, coinvolgendo fornitori, produttori, prodotti, magazzini, negozi e uffici, tutto tracciabile. La nuova garanzia offerta, «The Certificate Craft», permette un servizio unico di assistenza che valorizza la qualità duratura delle lavorazioni distintive e dà vita ad un numero illimitato di interventi possibili per il ripristino e la riparazione delle borse iconiche, mantenute in vita e pronte per essere così tramandate alle generazioni, riducendo la necessità di sostituirle.
Anche la storia all’italiana di Fendi, da sempre sinonimo di eleganza e savoir-faire artigianale uniti al design innovativo e sperimentale, iniziata in una piccola boutique nel cuore di Roma, ha preservato le competenze manifatturiere raccolte nel tempo nel suo importante archivio, testimone dell’evoluzione dell’alto artigianato avanzato.
«Crafting the Future» è sempre stato un po’ il motto di casa e Silvia Venturini Fendi è l’imprenditrice che ha posto sempre molta attenzione su una produzione minore però di maggiore qualità e ricerca, in collaborazione con altrettanti stilisti di spessore, come Karl Lagerfeld, Kim Jones e Delfina Delettrez Fendi, quarta generazione della famiglia. Gli uffici romani sorgono all’interno di una delle strutture più emblematiche della città, il Palazzo della Civiltà Italiana, ulteriore scelta che rispecchia la volontà del brand di rendere omaggio al proprio patrimonio e, allo stesso tempo, di rivolgere lo sguardo verso il futuro.
All’interno dell’azienda, severi sono i controlli sui passaggi di produzione, dal testing program sui produttori e sulle materie prime, ai test di valutazione per il controllo finale. Inoltre, si pone particolare enfasi sulla politica delle risorse umane, sull’equilibrio fra lavoro e vita privata, sul benessere e sulla sicurezza, promuovendo una forte leadership al femminile e il gender diversity, con programmi di formazione e agevolazione del lavoro sia negli spazi interni che con benefit per lo smartworking, riassunti in un unico slogan, «People First».
La sostenibilità diffusa diventa una caratteristica intrinseca al concetto del lusso contemporaneo, anche rivolta a ridurre l’impatto sul pianeta.
Nelle iniziative del marchio Loewe, la conoscenza di lunga data dell’artigianato di nicchia sparso nel mondo si unisce alle nuove ricerche e tecnologie dalle pratiche sostenibili. La collezione Eye/Loewe/Nature funge da laboratorio e traino per accelerare tale cambiamento, con un focus sulla tracciabilità d’origine, sulle condizioni eque dei lavoratori, sulla protezione della biodiversità e sull’economia circolare.
Lanciato nel 2021, The Surplus Project di Loewe presenta un altro nuovo modo di ripensare e riutilizzare il materiale in eccesso delle precedenti collezioni, una elaborazione che non tiene conto della stagionalità. I pezzi chiave sono realizzati con materiali e oggetti che hanno già una vita passata, tra cui giacche create con materiali inediti come tappeti, trapunte e paracaduti, oppure zaini arrotolabili e borse per il tempo libero rieditati in nylon riciclato super leggero.