Stragi di Ustica e Bologna: nelle carte segrete del Sismi spunta il nome del terrorista Carlos

di Gian Paolo Pelizzaro e Gabriele Paradisi

Esiste un nuovo, possibile collegamento tra il terrorista Carlos e le due misteriose stragi di Ustica e di Bologna. Il legame emerge da un vecchio documento dei servizi segreti militari italiani, fin qui classificato «segretissimo». Si tratta di un appunto, datato lunedì 14 aprile 1980, nel quale il Sismi riferì al presidente del Consiglio, Francesco Cossiga, e ai ministri della Difesa e della Giustizia, rispettivamente Lelio Lagorio e Tommaso Morlino, nonché al segretario generale del Cesis, il prefetto Walter Pelosi, l’allarmante notizia secondo cui elementi estremisti del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp), l’organizzazione terroristica guidata da George Habbash, avevano preso contatti con il terrorista venezuelano Carlos, nome di battaglia di Ilich Ramírez Sánchez, conosciuto internazionalmente anche come «lo Sciacallo».

Il Sismi, cioè il nostro servizio segreto militare di allora, segnalava la presenza di Carlos a Beirut. E riteneva possibile «un’iniziativa contro l’Italia», cioè un attentato come ritorsione per il mancato rispetto degli accordi del cosiddetto Lodo Moro. L’iniziativa avrebbe potuto essere «affidata ad elementi autonomi o non palestinesi e probabilmente europei, allo scopo di non creare difficoltà all’azione politico diplomatica di Arafat per il riconoscimento dell’Olp (cioè l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, ndr)».

L’allarme del Sismi su Carlos a Beirut e sui suoi allarmanti rapporti con i palestinesi arriva a Roma esattamente 74 giorni prima del disastro del Dc9 Itavia, che intorno alle 21 del 27 giugno 1980 sarebbe precipitato con 81 persone a bordo nel Tirreno meridionale, tra le isole di Ponza e di Ustica. E arriva 110 giorni prima dell’attentato alla stazione ferroviaria di Bologna, il 2 agosto 1980, che avrebbe provocato la morte di almeno 85 persone.

L’appunto inedito del Sismi, datato 14 aprile 1980 e da allora classificato «segretissimo», fu indirizzato al governo italiano dal capo del Centro Sismi a Beirut, il colonnello Stefano Giovannone. Il messaggio era l’ultimo risultato di un lungo negoziato con un alto esponente del Politburo del Fplp, Taysir Qubaa, che Giovannone aveva avviato all’indomani dell’arresto a Bologna (il 14 novembre 1979) di un giordano di origini palestinesi, Abu Anzeh Saleh, responsabile della rete clandestina del Fplp in Italia. Saleh, che come copertura era studente universitario a Bologna, era stato coinvolto nel traffico di due lanciamissili di fabbricazione sovietica SAM 7 Strela, che i carabinieri avevano sequestrato la notte tra il 7 e l’8 novembre di quell’anno a Ortona.

Le trattative tra Giovannone e Qubaa, che agiva come diretto superiore di Saleh e rispondeva al Fplp di George Habbash per le attività del suo «uomo in Italia», si erano intensificate dopo la condanna a 7 anni di reclusione che il 25 gennaio 1980 era stata inflitta dal Tribunale di Chieti a Saleh e ai suoi complici, i tre esponenti romani di Autonomia operaia Giorgio Baumgartner, Luciano Nieri e Daniele Pifano: i tre erano stati arrestati nei pressi del porto di Ortona (Chieti) la notte del 7 novembre 1979 mentre in un furgone trasportavano i due lanciamissili, acquistati dal Fplp al prezzo di 60mila dollari.

Dopo quell’arresto, e soprattutto negli ultimi mesi, Giovannone e Qubaa avevano giocato una rischiosa partita a scacchi che li aveva impegnati anche e soprattutto a titolo personale. Per tutti e due era una sorta di patto col diavolo. Il primo, infatti, era un po’ il «fideiussore» del controverso Lodo Moro, cioè l’accordo segreto (il cui nome era collegato a quello dell’ex presidente del Consiglio che aveva spinto per la sua stipula) che impegnava il nostro governo a tollerare il passaggio sul suolo italiano di elementi del terrorismo palestinese, ottenendone in cambio la garanzia che non si sarebbero verificati attentati contro obiettivi del nostro Paese.

Giovannone era anche il «garante» delle attività di Abu Anzeh Saleh in Italia. E lo era sin dal 27 ottobre 1974, come dimostra un salvacondotto predisposto in favore di Saleh e controfirmato dal direttore dei servizi segreti militari di allora, l’ammiraglio Mario Casardi, il quale riconosceva e sottoscriveva le rassicurazioni fornite all’epoca proprio da Qubaa. Quest’ultimo, sul versante opposto, era il burattinaio dello stesso Saleh, con cui aveva forse un legame di parentela, e rispondeva delle sue attività al Politburo del Fplp. Se Qubaa, a causa di un suo uomo (in questo caso Saleh), creava un problema che rischiava di coinvolgere l’organizzazione, toccava a lui trovare al più presto una soluzione. A parti invertite, lo stesso meccanismo valeva per Giovannone, ma nei confronti del servizio segreto militare e dello Stato.

Giovannone e Qubaa, insomma, erano coinvolti in un doppio intreccio ad alto rischio, personale e professionale, che risaliva all’autunno del 1974 e che si era aggrovigliato proprio intorno alla figura e al ruolo di Saleh. Un personaggio che per il Fplp faceva da ufficiale di collegamento in Italia con il gruppo Carlos, l’organizzazione terroristica «Separat», così denominata dalla Stasi, i servizi segreti della Germania orientale.

Non va dimenticato, infatti, che nell’agenda personale di Saleh, sequestrata dai carabinieri nel suo appartamento bolognese il 14 novembre 1979, cioè il giorno stesso del suo arresto, alla pagina corrispondente al 22 luglio di quell’anno era annotato il numero della casella postale noleggiata da Saleh alle Poste centrali di Bologna: il 904. Lo stesso numero di casella postale era stata annotata da Carlos nella sua agendina, ritrovata dal servizio di sicurezza ungherese nella base dello Sciacallo a Budapest.

Nell’appunto del Sismi del 14 aprile 1980 c’è la conferma di quanto avrebbe dichiarato a verbale – l’8 ottobre 1986, davanti al giudice istruttore di Venezia Carlo Mastelloni, nell’ambito dell’inchiesta sul traffico di armi tra l’Olp e le Brigate Rosse – il colonnello Silvio Di Napoli, all’epoca dei fatti vicedirettore della seconda Divisione del Sismi (ricerca all’estero), sui contatti presi a Beirut tra il Fplp e il super terrorista internazionale Carlos.

Il colonnello Di Napoli rivelò (e il passaggio venne trascritto a mano dal giudice istruttore in calce al verbale dopo la sua riapertura, trattandosi di una integrazione di particolare rilevanza) che «dopo la prima condanna inflitta agli autonomi e al giordano [cioè Baumgartner, Nieri, Pifano e Saleh, ndr] pervenne da Giovannone l’informativa secondo cui il Fplp aveva preso contatti con il terrorista Carlos. Ciò avallò la minaccia prospettata da Habbash».

Oggi, 37 anni dopo, trovano quindi una straordinaria conferma le dichiarazioni rese alla magistratura dal colonnello Di Napoli sui contatti tra Carlos e Fplp nella primavera del 1980, così come le sue rivelazioni sulle «minacce contro gli interessi italiani» da parte palestinese, nel quadro della crisi scoppiata all’indomani del sequestro dei lanciamissili a Ortona, con l’arresto e la condanna in primo grado dei tre autonomi romani e di Saleh.

Tecnicamente, dal punto di vista formale, essendo il documento del Sismi, alla data dell’interrogatorio del colonnello Di Napoli, coperto da segreto di Stato da oltre due anni, l’ufficiale della nostra intelligence militare, rivelando quelle informazioni avrebbe commesso un reato. Fortunatamente per lui, nessuno se ne accorse.

Tornando al documento del 14 aprile 1980, il Sismi attirava l’attenzione del governo di Roma sulle allarmanti notizie relative ai contatti presi in quei giorni dal Fplp con Carlos. Informazioni che avvaloravano le gravissime minacce palestinesi rivolte alle autorità italiane dopo la condanna di Saleh. Su questo punto esiste un ulteriore, straordinario riscontro. Il 28 marzo 1980 – appena un paio di settimane prima dell’appunto segretissimo inviato dal Sismi al governo Cossiga – Taysir Qubaa si era incontrato clandestinamente a Berlino Est con Carlos e con il suo braccio destro, il tedesco Johannes Weinrich, in una suite dell’Interhotel Stadt Berlin. Il loro incontro venne puntualmente registrato dalla polizia segreta della Ddr, come dimostra il rapporto informativo del 25 aprile 1980, predisposto dalla XXII divisione della Stasi. L’esponente palestinese, per dissimulare la sua identità, si era presentato alla riunione utilizzando il falso nome di Gerald Rideknight.

C’è il fondato sospetto che Qubaa fosse un Giano Bifronte: da una parte cospirava con il gruppo Carlos contro il nostro Paese, dall’altra negoziava con il colonnello Giovannone, mostrandosi interlocutore «responsabile e moderato». Alla luce di quanto si scopre oggi, Qubaa appare come un campione del doppio gioco. E non è escluso che lo stesso Giovannone ne sia caduto vittima.

L’appunto del Sismi del 14 aprile 1980 fu coperto dal segreto di Stato dal presidente del Consiglio Bettino Craxi il 28 agosto 1984, dopo che lo stesso Giovannone, indagato nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Roma sulla sparizione a Beirut (il 2 settembre 1980) dei giornalisti Graziella De Palo e Italo Toni, chiese alla presidenza del Consiglio l’opposizione del segreto di Stato sui suoi rapporti con i palestinesi.

L’appunto è stato declassificato il 26 marzo 2021, insieme ad altri, dall’Aise (l’Agenzia che ha preso il posto del Sismi). La decisione, due anni fa, è arrivata al termine di un lungo dialogo tra il governo presieduto da Mario Draghi e il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir) presieduto da Adolfo Urso. Il 16 aprile 2021 il Dis (il Dipartimento alle dipendenze del governo che coordina l’attività dei due rami dei servizi segreti) ha preso atto del provvedimento di declassifica da segretissimo a segreto.

Questo passaggio formale ha permesso al governo Draghi di svincolare dal «divieto assoluto di ostensibilità» numerosi atti del vecchio Sismi, relativi ai rapporti tra Giovannone e la dirigenza del Fplp, e di trasmetterne una parte all’autorità giudiziaria, che ne aveva fatto richiesta. L’appunto del 14 aprile 1980 fa parte di questa partita. Altri 32 documenti sono stati invece consegnati all’Archivio centrale dello Stato di Roma, e restano comunque non divulgabili con «vincolo di riservatezza».

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