giovedì, 28 Novembre 2024
Torino, capitale silenziosa dello sport italiano
Sapete cosa hanno in comune le ATP Finals (il maggiore appuntamento con il tennis professionistico insieme ai 4 tornei del grande slam), la Frecciarossa Final8 di Basket, il Fencing Grand Prix – Trofeo Inalpi Scherma, le Finali dell’ISU Grand Prix di Figure Skating (pattinaggio di figura), la Champions League Super Finals 2023 di volley maschile e femminile e le Universiadi To2025 per il Pattinaggio di Figura e lo Short Track? Solo una cosa: Torino.La città che organizza e ospita ogni singola competizione. E gli impianti, tutti all’interno del Parco Olimpico (dal 2009 il 70% delle azioni è della società americana Live Nation). Parliamo della struttura creata da Città di Torino, Provincia, Regione Piemonte e CONI per gestire gli impianti utilizzati per i XX Giochi olimpici invernali. A capo di tutto Daniele Donati, il direttore che ha in gestione il PalaIsozaki, noto anche col nome commerciale di PalaAlpitour, e il PalaVela. Palazzetti che hanno dimostrato una forza attrattiva non indifferente. Ma perché nessuno, neppure a Torino, pare essersi accorto di nulla? Perché nessuno pensa a quanta forza può avere lo sport? Attrae, veicola contenuti, rafforza idee politiche, rilancia città, crea indotti. Eppure, nessuno dice nulla.
Daniele Donati
Torino capitale italiana “silente” dello sport. Cosa ne pensa di questa definizione?
È una città che ha trovato nello sport un veicolo importante per farsi apprezzare a livello internazionale. Abbiamo trovato una mission nello sport. Per quanto riguarda l’essere silenti, quella è una caratteristica tutta sabauda, a differenza di altri territori che sbandierano i successi più di noi.
Come ci siete riusciti? Da dove si parte?
L’evento di successo non è merito solo del “palazzo”, più che altro di chi lo organizza. Il fatto che il “palazzo”, in questo caso Torino, dia una piena disponibilità, anche umana, metta in gioco una professionalità gestionale ultradecennale e ci sia una dedizione progettuale, crea un ambiente estremamente favorevole per il proliferare di eventi. Questo genera poi un effetto onda: se un evento ha successo, fa da richiamo per tutti gli altri. Le ATP Finals sono arrivate a Torino anche perché ci sono state le Olimpiadi nel 2006, i Mondiali di volley nel 2018 e altri ancora, che hanno fatto capire che il Pala Alpitour poteva ospitare eventi di rilevanza internazionale.
Sono le varie Leghe e/o Federazioni che vi richiedono? È la città che si propone?
Si candida la città con il suo impianto. Come succede con le Olimpiadi. Partono dall’alto e coinvolgono una filiera di attori a cascata. Nel momento in cui la città riceve l’interessamento da parte dell’evento, noi facciamo il lavoro di sviluppo del progetto ed è lì che entriamo in gioco.
Come si vive a Torino? Il paragone con Milano è dietro l’angolo.
Ci capita di avere agenzie che sceglierebbero Torino, ma non sono certe di trovare un supporto dal punto di vista ricettivo. Torino difficilmente riesce a fare sistema in modo completo quando si parla in ambito convegni e convention aziendali. Agli eventi sportivi non c’è necessità di presentarsi in maniera sistemica al mercato, il pubblico si autogestisce in termini di strutture, spostamenti e cibo, quindi diventa facile da gestire.
C’è un problema di collegamenti tra Torino e l’Italia, o è solo un alibi?
Torino non è baricentrica rispetto all’Italia, ma in 50’ di treno si è a Milano. Malpensa è ugualmente vicina. Se pensiamo alle distanze degli aeroporti londinesi dalla City, possiamo ipotizzare che le nostre infrastrutture siano ottimamente posizionate. Ormai la problematica della distanza è un alibi.
Come si lavora a Torino? Quanto è difficile organizzare un evento?
L’ambito lavorativo torinese è storicamente attento e rigoroso, soprattutto dopo la tragedia di piazza San Carlo del 2017. Il maggior rigore ha però più aspetti da considerare: fa spendere più soldi a chi deve rispettare le normative, in primo luogo; è pur vero che se il rigore non è solo burocratico ma finalizzato alla sicurezza, è ben accetto; e da fuori, dall’occhio esterno, tanto rigore può essere percepito come ostilità, ma chiaramente non è così.
Come si gestisce l’eredità materiale e culturale lasciata in Piemonte dalle Olimpiadi?
A livello gestionale siamo una società privata. L’eredità olimpica è molto variegata e spesso, per quanto riguarda gli impianti montani, si tende a usare un’etichetta negativa, anche se in realtà ci sono strutture che possono continuare a vivere, mentre altre faticano a mantenersi sostenibili. Il bob, per fare un esempio, non è uno sport praticato nel mondo da un numero tale di atleti da giustificare la gestione di un impianto nel tempo. Se gli enti hanno le risorse per finanziare, che ben venga, ma qui si scollina in responsabilità politiche in cui preferisco non addentrarmi.
Torino si aggiudica i grandi eventi nonostante – prendiamo l’esempio del basket – non abbia una squadra nella massima serie. Cosa vince in questo caso?
Il PalaAlpitour non ha eguali in Italia per l’organizzazione di eventi sportivi, sia in termini di capienza che di funzionalità. La lega basket ha scelto Torino per questo, ma anche per una buona unità d’intenti con gli enti che amministrano la città e la regione. Il fatto che la città non abbia una squadra sua è un limite ma anche un volano, perché tutti gli appassionati hanno avuto un’occasione rara per vedere le migliori squadre d’Italia in un’unica sede.
Il grande basket ritornerà?
Le cose sono andate molto bene, nelle prossime settimane si discuterà se dare continuità al progetto. Sarebbe un’opportunità per la città e per la Lega Basket.
E per quanto riguarda le ATP Finals, riusciremo a prolungarle?
Da un punto di vista tecnico e funzionale ci sono le premesse perché questo possa avvenire. I giocatori stessi che partecipano alle ATP sono estremamente contenti di venire a Torino, si sentono ben voluti, sentono una forte partecipazione. C’è poi tutto un ragionamento politico che deve andare in concordanza.
Chi sono i vostri competitor a livello nazionale?
I principali sono l’Unipol Arena di Bologna e il Mediolanum Forum di Milano, entrambi godono di una posizione geografica favorevole; per quanto riguarda lo sport, come PalaAlpitour, ci consideriamo a un livello leggermente superiore. Nella musica, riconosciamo a Bologna un bacino d’utenza superiore, il che aiuta. Ciascuna delle strutture ha dei plus da presentare. Milano è perfettamente posizionata ma ha una struttura più vecchia. Bologna ha una capienza maggiore per gli eventi di spettacolo. Torino ha una capacità maggiore in termini sportivi e una predisposizione storica data dal fatto che il PalaAlpitour nasce per lo sport, al contrario dell’Unipol Arena.
Parliamo di fatturato, in percentuale, quanto arriva da eventi sportivi e quanto da eventi musicali?
La risposta a questa domanda riflette il percorso degli ultimi anni, nel senso che se prima del Covid (spartiacque casuale, non legato a dinamiche riconducibili ai fatturati o ai flussi), il nostro fatturato legato alla musica e allo spettacolo era preponderante, ora la situazione si è riequilibrata tra spettacolo e sport, quasi 50 e 50.
Quanto grande è stata la delusione per aver perso la corsa alle Olimpiadi Invernali del 2026?
Una grande delusione, come torinese. Ad aver perso però una grande occasione sono state le Valli Olimpiche. Torino resta un polo vivo con tantissimi eventi, mentre le nostre montagne hanno perso l’opportunità di riposizionarsi da un punto di vista sportivo, turistico e di interessi internazionali.
C’è speranza che qualcosa arrivi negli impianti torinesi? È da riassegnare il pattinaggio di velocità.
Si parlava dell’Oval, struttura non sotto la nostra gestione ma ugualmente meravigliosa. Credo che la cosa non andrà in porto, a meno di ritardi dei colleghi milanesi, anche se da addetto ai lavori e da italiano, mi auguro che questa eventualità non si realizzi e che i Giochi si svolgano nel migliore dei modi. Non abbiamo bisogno di opere di sciacallaggio nei confronti delle Olimpiadi e di Milano.
Quanta politica c’è nello sport?
Lo sport è un veicolo per tante cose, sia di popolarità che di visibilità, è naturale che possa essere uno strumento politico. E la politica ha nello sport un importantissimo strumento di comunicazione in termini generali. L’evento sportivo è un volano di consensi. La domanda che ci si fa sempre è “quanto è giusto spendere nello sport?”. Per le amministrazioni è sempre una ragione di costo, e spesso i benefici non sono così concretizzabili. Penso che la ricaduta di un evento sia conclamato e misurabile e sono certo dell’importanza. Chiaro che a priori non si è mai certi del successo.
Che impatto ha avuto il Covid?
Abbiamo vissuto un biennio durissimo dal 2020 al 2021. Per fortuna, avendo lavorato bene prima, l’azienda era solida ed abbiamo garantito il mantenimento della funzionalità degli impianti. Molti si dimenticano del grande lavoro che va fatto quando le luci sono spente. Si lavora ogni giorno per mantenere un patrimonio su cui si accendono i riflettori solo durante l’evento. Oggi c’è un fiorire superiore a quello del 2019. La gente ha una voglia di intrattenimento ancora più spiccata, forse perché non diamo più per scontata la libertà di movimento e di aggregazione.
Che obiettivi vi siete prefissati a medio e lungo termine?
Di mantenere nel nostro perimetro il basket e le ATP Finals a livello di ricandidatura. Nel lungo termine dobbiamo capire cosa succederà quando il nuovo palazzetto di Milano, il Pala Italia, verrà ultimato e muoverci di conseguenza per aumentare le ragioni attrattive della nostra città. Nel 2025 ci saranno le Universiadi e sarà un altro grande momento di ricaduta di popolarità, ma dobbiamo guardare oltre e non sederci mai sui nostri successi.