Anteprima del documentario Il filo di sabbia in campo saharawi

(ANSA) – BOLOGNA, 03 MAG – C’è una sola scuola di cinema al
mondo che ha sede in un campo rifugiati, a sud est dell’Algeria:
si chiama Abidin Kaid Saleh ed è lì che i giovani saharawi
imparano a fare il cinema. In questo luogo, tra la sabbia e il
cielo, giovedì 4 maggio alle 21 si terrà l’anteprima de Il filo
di sabbia, documentario di Tommaso Valente che racconta le
testimonianze di chi è stato nei campi rifugiati a svolgere
missioni umanitarie e delle persone che hanno incontrato nel
deserto dell’Hammada, il più inospitale al mondo. La proiezione
è il compimento di un lungo percorso che ha visto,
parallelamente allo sviluppo dei progetti umanitari di Cisp,
Nexus Emilia Romagna e Rete Tifariti in collaborazione con la
Regione Emilia-Romagna, l’uscita di un libro e un crowdfunding
che ha trovato la partecipazione di 101 finanziatori. La
produzione esecutiva è stata affidata all’associazione Instant
Documentary Aps che, negli anni, ha esplorato diverse forme di
racconto documentaristico sulla vita nei campi e la storia dei
saharawi. Interverranno alla presentazione alcune autorità
saharawi, tra cui il Ministro della Cultura della Repubblica
Araba Democratica dei Saharawi, e ospiti internazionali della
cooperazione nel territorio.
    Scommettere su questo progetto ha significato raccontare cosa
funziona e cosa no, cosa è ormai rodato e cosa è ancora in
divenire, le fatiche, la bellezza, le difficoltà e le sfide
della cooperazione territoriale. “Fino a pochi mesi fa – spiega
Valente – Il filo di sabbia era solo un’idea: quella di
raccontare come si può accompagnare un popolo rifugiato da oltre
50 anni e ignorato da buona parte della comunità internazionale
da oltre 45 anni, senza mai prevaricarlo, senza pietismo, senza
retorica, senza alcuna presunzione”. Oggi le immagini girate nei
campi raccontano come si estrae l’acqua dal deserto per fare
degli orti, come si fanno delle vere e proprie startup per
l’imprenditoria femminile in un campo rifugiati, come si
sostengono programmi educativi, alimentari, progetti nelle
scuole, con i disabili, come si organizza l’accoglienza di nuovi
rifugiati in arrivo dai territori di guerra nel Sahara
Occidentale. (ANSA).
   

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