sabato, 23 Novembre 2024
«Sono una sfollata e ho scoperto l’angoscia»
«Io non la auguro a nessuno l’angoscia di lasciare tutto, scappando veloce come il vento. Non auguro a nessuno la fretta di ficcare due paia di mutande, due di calzini e uno spazzolino in borsa, afferrare cani e gatti, e chiudersi alle spalle la porta di casa sperando di poterci rientrare.
Sono anche io una sfollata. Sono una romagnola che abita in mezzo a due fiumi, Ronco e Montone, troppo vicino a questi due fiumi lungo i cui argini di solito vado a correre o passeggiare. Che sono argini pieni di papaveri in questo periodo, belli rossi e spavaldi, su cui svolazzano api e farfalle che oggi, però non si vedono. I papaveri sono piegati, e un po’ lo sono anche io che scrivo e penso a casa mia, a quell’insieme di calce e mattoni che sto pagando assieme a mio marito. Una casa a cui voglio bene, che mi ha protetta dalla pandemia, ma che oggi pare non potermi proteggere più. È vero che la casa è un oggetto inanimato, è vero che da ore i sindaci di Forlì e Cesena dicono che alle case e alle cose ci penseremo dopo. Ma ora che sono scappata a casa di amici buoni, disposti a ospitare tutta la truppa, quadrupedi compresi ho il magone. Che per chi non è romagnolo è una parola sconosciuta, forse perché intraducibile. Il magone è più di un groppo in gola, è più dell’angoscia: il magone è dolore e impotenza, paralisi e voglia di piangere senza riuscirci.
E qua, stamattina col cielo che sembra essersi arrabbiato con noi, che trasforma in nemici mortali quei fiumi che irrigano i campi, il magone lo abbiamo tutti mentre scappiamo salutandoci con un augurio: ci vediamo presto. E sarà così: ci vedremo presto e torneremo a brontolare perché un vicino tiene la musica troppo alta, un altro sgradella (fa il barbecue) tutti i giorni, un altro ancora parcheggia sempre in mezzo e un altro ancora non saluta mai.
Piccole cose che torneranno, perché tornano sempre, giusto il tempo che i fiumi tornino amici, come amici torneremo noi»