venerdì, 22 Novembre 2024
Figli coppie LGBTQ+, l’ipocrisia dell’indignazione
Lo scrittore André Gide disse che si comincia ad invecchiare quando si perde la forza di indignarsi. Sacrosanto, ma non in questo caso.
Perché delle due l’una: o sto davvero invecchiando o nel bailamme che certe notizie suscitano c’è la mano ipocrita di un’informazione giornalistica che crea solo sensazionalismo fine a se stesso.
La notizia: la Procura di Padova impugna 33 atti di nascita di bambini di due madri.
O ancora: il Tribunale di Milano annulla la trascrizione dell’atto di nascita relativo al figlio di due papà, nato all’estero attraverso la maternità surrogata.E da dove nascerebbe lo stupore?
Chi si indigna pensa forse di vivere in un Paese che consente di acquistare un figlio partorito da altra donna che lo cede per contratto e previo pagamento di compenso?
L’Italia, come la Germania, la Francia, Malta, la Bulgaria, la Svizzera, la Norvegia, la Svezia, l’Islanda, l’Estonia, la Moldova, la Turchia, l’Arabia Saudita, il Pakistan, la Cina, il Giappone, alcuni Stati degli USA (Arizona, Michigan, Indiana, North Dakota) e moltissimi altri si oppone e vieta la maternità surrogata in tutte le sue forme.
La considera una pratica contraria alla dignità delle donne e dei minori compravenduti.
L’Italia trova ripugnanti quelle aziende dove le donne (in genere povere e disperate, perché le benestanti non ci pensano nemmeno) sono considerate come polli in batteria, mere riproduttrici di bambini destinati a ricchi con la vena della maternità/paternità che nemmeno si pongono l’alternativa dell’adozione di quelle creature abbandonate negli orfanotrofi e realmente bisognose di affetto.
Aziende che esistono davvero e hanno anche siti internet graficamente avvincenti dove, con il mouse, puoi scegliere il colore della pelle, degli occhi, e se cambi idea entro un determinato mese della gestazione puoi persino scegliere di (far) abortire.
Vi pare giusto?
Forse sarebbe il caso di indignarci di un mondo dove si mercifica anche la vita e dove, sdoganando queste inumane ‘catene di montaggio’, si oltrepassa il confine della decenza.
Come diamine ci si può proclamare ‘femministe’ e – al contempo – scendere in strada con le manifestanti di Padova che contestano la Procura solo per aver agito nel solco della legge e del contrasto di questa forma di schiavitù delle donne usate come bestie da riproduzione?
Il Tribunale di Milano, accogliendo il ricorso della Procura, spiega bene il motivo della cancellazione della trascrizione dell’atto di nascita nella parte in cui riporta quale genitore anche quello d’intenzione, del tutto privo di legami biologici con il bambino: è vietato dalla legge.
Semmai stupisce che alcuni sindaci, mossi da input di natura ideologica e politica, abbiano forzato la mano e trascritto gli atti di nascita in spregio del diritto che dovrebbe essere il loro faro da amministratori e pubblici ufficiali.
Su questo ci si dovrebbe indignare: su come si possa consentire di violare impunemente la legge e permettere che organi della Pubblica Amministrazione possano sostituirsi al legislatore.
Nessuno porterà via i bambini al genitore intenzionale, ossia il partner di quello biologico: e non si dica che il problema è doversi far firmare una delega per ritirare il pargolo dall’asilo o da scuola.
La soluzione c’è e la ribadisce il Tribunale di Milano che prima usa – giustamente – la scure, poi indica la strada per affermare il “diritto del minore al pieno riconoscimento del ruolo svolto dal genitore d’intenzione nel progetto volto alla sua crescita, educazione ed istruzione”: il ricorso al procedimento dell’adozione in casi particolari.
Perché in tal caso si ribalta la prospettiva: si mette – finalmente – al centro il minore e si valuta, caso per caso, il suo interesse a vedersi riconosciuto quale figlio del genitore d’intenzione, con apposite indagini sull’idoneità affettiva e la capacità di educare e istruire il bambino.
Non dobbiamo essere ‘passivi’ davanti alle notizie, come un gregge di pecore che si lascia trasportare dal cane pastore: abbiamo le risorse per reagire e ragionare con la nostra testa, decidendo cosa sia giusto e quando valga la pena di indignarci.
In questo caso, ripeto, non lo è.
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