Mosca, 19 agosto 1991, io c’ero

Lunedì 19 agosto 1991, trent’anni fa, è stata una di quelle giornate che hanno cambiato il mondo e con lui anche me, che a 22 anni ero allievo ingegnere di volo presso un’azienda metalmeccanica che produce ancora oggi strutture per aerei. Vivevo bene nonostante la mancanza di quasi tutto ciò a cui ero abituato, il mercato nero era fiorente e nonostante nessuno avesse il coraggio di discuterne con gli stranieri, il malcontento e la reticenza verso i cambiamenti e le aperture di Mikhail Gorbaciov si percepivano ovunque. Avevo comunque buone amicizie locali e respiravo un’aria d’ottimismo, che per me era nata al Lenin Stadium una sera, qualche mese prima, cantando a squarciagola Wind of change degli Skorpions, band ammessa a suonare in Urss dall’anno prima, soltanto sette mesi dopo la caduta del muro di Berlino.

Dopo la sveglia la doccia, l’abitudine di accendere la televisione sul secondo dei quattro canali visibili nell’appartamento a me assegnato dentro la dependance del Ministero della difesa. Come altri italiani che avevano rapporti di lavoro con l’industria aeronautica sovietica alloggiavo in quel palazzo, proprio di fronte all’imponente università di Mosca. La mattina presto la televisione trasmetteva un corso di italiano per russi che a me piaceva utilizzare al rovescio, per imparare una lingua meravigliosa quanto complessa, con quelle semiconsonanti delle quali sbagliare l’accento significa dare alla frase un significato diverso. Ma quel giorno tutti i canali erano uguali: un mezzo busto ripeteva un messaggio, sempre lo stesso, che iniziava con le parole Vnimanie vnimanie…. attenzione attenzione…

L’agenzia di stampa Tass intanto informava il mondo, ma non me, che il presidente Mikhail Gorbaciov, in quei giorni in Crimea, era stato sostituito dal vice Ghennadi Janaev e che un comitato di “salute pubblica” aveva assunto il potere. Otto i membri che lo formavano, tra i quali il primo ministro Valentin Pavlov, il capo del Kgb Vladimir Krjuchkov e i ministri degli Interni Boris Pugo e della Difesa Dimitrij Jarov. Non capisco tutto il messaggio, il mio russo è men che basico, ma sollevo il telefono e chiamo il collega Gerolamo, che dorme due piani più in alto. Ha una strana voce e mi dice che sente degli spari. Istintivamente guardo fuori dalla finestra scostando le pesanti tende in velluto e dall’angolo di quello che oggi è il Vernadskogo Prospekti, il viale che porta verso il centro città, da sud verso nord, vedo qualcosa che stento a credere. Una fila di carri armati procede tritando l’asfalto con i cingoli, che scagliano pezzetti di manto stradale ovunque, questi danneggiano le poche auto in sosta, i lampioni si inclinano, i marciapiedi sembrano appiattirsi come pasta frolla. Il mondo sta cambiando proprio su quella strada, una potenza nucleare ha cominciato a sfaldarsi anche se il colpo di Stato fallisce, grazie soprattutto al neo presidente della Repubblica Russa Boris Eltsin, eletto da meno di sessanta giorni, proprio a bordo di uno di quei carri armati chiamerà la cittadinanza allo sciopero generale e a resistere dirigendosi dritto verso la Duma, il parlamento di Mosca.

Un palazzo dalla forma solenne che lui presidierà fino a quando, il giorno successivo, Gorbaciov non rientrerà nella capitale, i carri dei golpisti si ritireranno, i membri del comitato di salute pubblica saranno tutti arrestati e uno, Boris Pugo, morirà suicida tre giorni dopo. Un vortice mi investe, alcuni dirigenti dell’azienda ci prelevano, passiamo dall’ambasciata d’Italia e poi rapidamente all’aeroporto di Sheremetyevo, e da lì chi a Roma, chi a Milano. Meno di una settimana dopo Estonia, Lettonia e Lituania proclamano l’indipendenza, Gorbaciov si dimette il 24 agosto da segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, il 27 l’indipendenza dei nuovi stati è riconosciuta dalla Comunità europea, il primo dicembre l’Ucraina esce dal referendum nazionale con lo stesso verdetto. E la sera sera di Natale la bandiera rossa con la falce e il martello viene ammainata dal Cremlino mentre sale quella bianco-rosso-blu della Federazione russa. Il 26 dicembre, mentre penso a dove festeggerò capodanno con gli amici, la televisione riporta che nell’ultima riunione del Soviet Supremo l’Urss è stata sciolta.

E’ stato il vento del cambiamento, come cantavano gli Skorpions, che soffia dritto in faccia al tempo, come una tempesta che suonerà la campana della libertà.

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