A volte meglio il silenzio ed un esame di coscienza

L’intemerata via social del comico nonché leader politico Beppe Grillo a favore del figlio intrattiene da una settimana giornali, salotti televisivi e chat private, scatenando polemiche infinite bi-partizan, aggravate dalle inopportune dichiarazioni di sostegno di alcuni deputati e sottosegretari pentastellati con tanto di interrogazioni parlamentari al Ministro della Giustizia.

Ma lasciamo la cronaca a chi se ne occupa di mestiere.

Discutiamo piuttosto nel merito di un’iniziativa che non può in alcun modo essere giustificata o schermata dietro l’amore filiale, tanto più laddove si utilizza il potere mediatico e pubblico per propalare messaggi gravi che spettacolarizzano una vicenda delicatissima quanto grave.

Siamo al cospetto di un presunto (perché tale è fino ad accertamento definitivo) stupro di gruppo perpetrato da più giovani ai danni di una loro coetanea e già solo questo imporrebbe di celebrare il processo nelle aule, non sul web.

La Rubrica – Lessico Familiare

Secondo i più tradizionali canoni etici, la solidarietà paterna al figlio coinvolto avrebbe dovuto declinarsi attraverso un sostegno di diverso tipo, economico (pagandogli il miglior difensore sulla piazza) e affettiva (con la vicinanza), non mediante un’arringa urlata in faccia a quella ragazza: “era consenziente!” – continuava a ripetere con la faccia paonazza – “ci sono i video!“, “ci sono le immagini!“, “rideva!“, “faceva kite-surf!“.

E se anche fosse? Questo cancellerebbe l’eventuale violenza sessuale precedente?

Forse Grillo pensa che l’istruttoria di un processo possa essere riassunta in questa banalizzazione del fatto? La ragazza ha fatto kite-surf, quindi tutti liberi e tante scuse. Ma nemmeno a Topolinia!

Se – e ripeto se – i fatti corrispondono alla denuncia della ragazza, le parole del comico/stratega politico genovese diventano una coltellata nel costato, rappresentando un secondo e fors’anche più brutale stupro, questa volta non nel corpo, ma nella stessa dignità e onorabilità.

Perché il messaggio nemmeno troppo filtrato che animava quel video-messaggio tutt’altro che spontaneo era un’accusa nei suoi confronti, il dileggio urbi et orbi della ragazza, facendola passare per falsa, opportunista e ‘facile’.

Ecco la lettera scarlatta che priva di credibilità la vittima: cos’è, d’altra parte, una ragazza che accetta di fare un’orgia di gruppo? Una poco di buono, come tale inaffidabile e persino istigatrice.

Inutile chiedere ad un padre di giudicare un figlio, la chimica dell’amore lo farà sempre schierare con lui, ma è doveroso pretendere riserbo e rispetto anche per la presunta vittima, tanto più che stiamo parlando del più odioso e lacerante dei delitti per una donna, capace di cambiarle per sempre la visione della vita e dell’intimità.

La Collega Buongiorno annuncia di voler portare quel video in aula, anche soltanto per sensibilizzare i Giudici sul clima intimidatorio che, a suo dire, sta pervadendo questo processo.

Io dico: lasciamo che i Giudici facciano i Giudici e che non cedano ai forti condizionamenti mediatici che Grillo ha contribuito ad alimentare, trattando la vicenda in sè a prescindere dai nomi, dalle facce e dalle stirpi dei soggetti coinvolti.

Se fossi il genitore di questo ragazzo, prima di scagliarmi contro i Giudici, l’opinione pubblica e colei che lo accusa di essere stata stuprata, oltre a tacere con pudica vergogna per la sola possibilità che qualcosa di ciò che recita il capo d’imputazione sia vero, cercherei di pensare dove possa avere io sbagliato nel sistema valoriale trasmesso e come aiutare il figlio, colpevole o meno.

Purtroppo i genitori, senza accorgersene, spesso provocano danni fatali ai figli, difendendoli a spada tratta, sempre e a prescindere, e questo è l’aspetto più triste di una vicenda drammatica e tragica di suo, da qualsiasi prospettiva la si voglia vedere.

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