Addio Enrico Vaime: perché è stato uno dei più grandi autori della tv

Chissà che cosa avrebbe detto Enrico Vaime leggendo il diluvio di parole scritte in queste ore sui social, e non solo, per raccontarlo, celebrarlo e omaggiarlo con riconoscenza sì ma senza quella retorica che non avrebbe amato. Se n’è andato domenica sera Vaime, a 85 anni, dopo due anni di malattia vissuta con discrezione e schivando quel «sempre fedele a se stesso e alle proprie idee, così morì da cretino», che è diventata una delle sue battute più celebri.

Del resto, il gusto per le freddure caustiche e calembour raffinati e intelligenti Vaime lo ha coltivato per tutta la vita, spaziando con un talento molto più complesso di quanto apparisse in superficie, quello che gli ha permesso come pochi altri in Italia di surfare con successo e credibilità tra tv, radio e teatro, tutto ad altissimo livello e lontano anni luce dalla sciatteria televisiva che ha preso il sopravvento mortificando talenti e banalizzando la creatività. «Ricordo che Marcello Marchesi diceva sempre: se una cosa non piace a Vaime, non fatela», dice oggi Pippo Baudo rievocando un’epoca straordinaria, un passato irripetibile. Sì, qualche volta tocca essere orgogliosamente nostalgici, anche se Vaime stesso avrebbe probabilmente alzato un sopracciglio e ripetuto che «la nostalgia si giova spesso dei vuoti di memoria». Ma la memoria va pure coltivata, anche solo per ricordare che lui stesso lavorò con signori come Marchesi, Costanzo, Italo Terzoli – con cui formò una coppia artistica straordinaria – e ancora Ennio Flaiano e Cesare Zavattini, questi ultimi annoverati tra i suoi grandi maestri.

«Certo, oggi si è tutto un po’ sbrindellato questo sì. Rimpiango i grandi polemisti, i grandi satirici, gli scrittori, cioè gente che sapeva guardare le cose cogliendone il lato grottesco», raccontò Vaime, il quale entrò in Rai nel 1960 e appena otto anni dopo si ritrovò a firmare uno dei programmi che hanno fatto la storia della tv, Canzonissima. «Ci aspettavamo il linciaggio invece arrivò il trionfo. Noi autori fummo arruolati in tutta fretta, all’ultimo minuto», diceva. Invece Mina, Paolo Panelli e Walter Chiari sbancarono lo sbancabile e da quel momento in poi lui non si è più fermato, ponendo la sua firma su oltre 200 programmi tv, passando dai grandi varietà del sabato sera dell’allora primo canale al pomeriggio di Telemontecarlo (nel ’92 con Luciano Rispoli, un altro signore che del garbo ha fatto il suo tratto distintivo), passando per Quelli della domenica, la fiction Italian Restaurant (con l’immenso Gigi Proietti) e il più recente S’è fatta notte, in tarda serata su Rai1, condotto da Maurizio Costanzo. Che oggi commenta commosso, ricorda la disarmante ironia di Vaime e chiosa con un amaro «mi sento più solo».

Vaime spaziava tra tanti generi perché il suo estro era strabordante, una commistione di mondi che lui legava col filo rosso della sua genialità costruita sul disincanto e il graffio garbato di chi cerca di guardare il mondo da una prospettiva inedita. Così lavorò con i più grandi della tv e del teatro, da Chiari a Gino Bramieri, da Paolo Villaggio a Lelio Luttazzi, passando Garinei e Giovannini e Iaia Fiastri, con cui firmò alcune commedie musicali (anche per il Sistina). «Coraggio, il meglio è passato», avrebbe detto rileggendo la sfilza dei suoi successi e citando una delle sue frasi epiche. Frase che, per altro, pareva uscita dalle pagine del suo amico Ennio Flaiano, che lui considerava non solo un punto di riferimento ma addirittura un faro. Con lui scrisse uno spettacolo per Anna Proclemer e consolidò l’amicizia. Di quel momento, ricordava un aneddoto leggendario: «Flaiano sguisciava via, scappava, si faceva negare, imitava la voce della propria cameriera dicendo che non era in casa. Ma il giorno di ferragosto riuscii a bloccarlo e lo costrinsi alla stesura della prima puntata. Con un piccolo banchetto ci mettemmo nel giardinetto di casa sua. Roma era deserta. A un certo punto, in questo silenzio tombale del Ferragosto, alzammo gli occhi e vedemmo, aggrappati alla rete di confine del giardino, dei ragazzi che ci guardavano. Avemmo un momento di perplessità, e anche di paura. A un tratto arrivò un grido: “‘A froci”. Io ed Ennio ci guardammo, e lui disse: “Be’, credevo peggio”».

«Mancherà la leggerezza sapiente densa di contenuti e di cultura, che costituiva il suo modo disincantato ed elegante di guardare alle cose, sempre spingendosi oltre per creare, inventare, innovare. Un grande talento che in anni difficili e decisivi ha trovato in Rai la propria casa, contribuendo a rafforzare e a far crescere come Servizio Pubblico nazionale», scrive la Rai in una nota per celebrare uno dei suoi figli d’arte più creativi e di successo. Mancherà molto, mancherà a tutti. La sua eredità più grande? Forse la capacità unica di non prendersi mai troppo sul serio, come dimostra uno dei suoi aforismi più celebri: «In questo paese di ignoranti, uno che riesce a distinguere un condizionale a un congiuntivo rischia di passare per un intellettuale». Geniale Vaime, addio.

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