domenica, 24 Novembre 2024
Al G7 Draghi bacchetta il M5S e le sbandate filo-cinesi dei grillini
Nel G7 appena concluso in Cornovaglia, Mario Draghi ha confermato il suo obiettivo: cercare, cioè, di portare l’Italia il più possibile vicino agli Stati Uniti. Un obiettivo che il premier sta coltivando in base a due considerazioni complementari. Non soltanto spera che Roma possa tornare protagonista in Libia grazie al sostegno di Washington, ma – più in generale – sta evidentemente puntando ad accreditarsi come il leader europeo più affidabile agli occhi della Casa Bianca.
È anche in questo quadro che, soprattutto rispetto al governo giallorosso, l’attuale premier ha raffreddato non poco i rapporti con la Cina. E, in tal senso, non bisogna trascurare che l’ultimo G7 abbia avuto, soprattutto su input americano, una profonda impronta di ostilità nei confronti di Pechino. Da questo punto di vista, la posizione di Draghi è stata abbastanza netta. “Nessuno disputa”, ha dichiarato, “che la Cina ha diritto di essere una grande economia ma quello che è stato messo in discussione è i modi che utilizza, come le detenzioni coercitive. È una autocrazia che non aderisce alle regole multilaterali e non condivide la stessa visione del mondo delle democrazie. Bisogna essere franchi, cooperare ma essere franchi sulle cose che non condividiamo e non accettiamo”. Il premier ha inoltre assicurato che la questione dell’adesione italiana alla Nuova Via della Seta sarà esaminata “con attenzione”.
È insomma chiaro che queste parole indichino un sostanziale allineamento di Roma a Washington. Un allineamento che certo non deve essere troppo piaciuto ai quei settori politici ed economici del panorama italiano che premono per una linea ben più filocinese. È in questo quadro che va del resto inserita la controversa visita di Beppe Grillo all’ambasciata cinese, avvenuta venerdì scorso: lo stesso giorno, cioè, in cui si stavano aprendo i lavori del G7 in Cornovaglia. Una visita a cui avrebbe dovuto prendere parte anche l’ex premier, Giuseppe Conte: un Conte che tuttavia, a seguito delle polemiche esplose per questa notizia, ha finito col dare forfait all’ultimo minuto.
Una visita, quella del leader pentastellato, abbastanza grave. In primo luogo, Grillo è al momento il leader de facto di uno degli schieramenti che sostiene l’attuale esecutivo: andare quindi a incontrare l’ambasciatore cinese, in un momento poi così delicato, è un attacco politico in piena regola al governo di cui fa (almeno formalmente) parte. Senza poi trascurare un “dettaglio” importante: e cioè che, nell’attuale esecutivo, il ministro degli Esteri sia espresso proprio dal Movimento 5 Stelle. In secondo luogo, si registra un problema di opacità: non è infatti la prima volta che Grillo si reca in visita all’ambasciata cinese in Italia. Accadde già nel novembre del 2019, appena pochi mesi dopo la nascita del governo giallorosso. Tra l’altro, non si è ancora capito a che titolo effettui queste visite e, soprattutto, di che cosa discuta con l’ambasciatore cinese. Un comportamento un po’ paradossale da colui che fu l’apostolo della trasparenza e dello streaming.
In tutto questo, lascia anche un po’ il tempo che trova chi difende quell’incontro facendo riferimento agli stretti legami economici che il nostro Paese ha con la Cina. In primis, la Repubblica popolare basa il suo espansionismo politico ed economico sulla strategia del debito e un legame italiano più debole con Washington implica un pericoloso aumento del potere negoziale di Pechino nei nostri confronti. In secondo luogo, il governo cinese non è particolarmente noto per rispettare gli accordi internazionali: basta vedere quello che sta succedendo con Hong Kong, dove Pechino sta sistematicamente violando il principio “un Paese, due sistemi”, sancito dalla Dichiarazione sino-britannica del 1984. Va quindi da sé che rapporti troppo stretti con una simile entità possano determinare spiacevoli conseguenze per l’Italia. Non basta infine rilanciare – come fatto da Grillo sul suo blog – un (controverso) studio che minimizza la repressione degli uiguri nello Xinjiang per mettersi in pace la coscienza e fingere di ignorare che in Cina le minoranze religiose subiscono delle persecuzioni.
Dopo le sbandate filocinesi del governo Conte, un riavvicinamento di Roma a Washington era quindi doveroso e auspicabile. Ma le sacche di resistenza restano e il caso di Grillo all’ambasciata cinese sta lì a dimostrarlo. Per questo Draghi deve muoversi con molta circospezione.