Basta giustificazioni «alla Palombelli» sui femminicidi

La colpevolizzazione della vittima ha raggiunto l’apoteosi.

Leggete: “Negli ultimi sette giorni ci sono state sette donne uccise presumibilmente da sette uomini. A volte è lecito anche domandarsi: questi uomini erano completamente fuori di testa, completamente obnubilati oppure c’è stato anche un comportamento esasperante e aggressivo anche dall’altra parte? È una domanda che dobbiamo farci per forza, soprattutto in questa sede, in tribunale bisogna esaminare tutte le ipotesi“.

Forse nemmeno l’avvocato difensore di uno a caso di questi sette assassini sarebbe arrivato a tanto ma c’è chi va oltre l’inimmaginabile: è la Dott.ssa Barbara Palombelli, in una trasmissione TV, a interrogarsi retoricamente su una responsabilità indiretta delle vittime di questi femminicidi efferati, vittime che, esasperando i loro uomini, in un certo qual modo li avrebbero istigati a commettere il crimine.

Servono parole? Qualcuna sì.

Vede, Dott.ssa Palombelli, queste non sono innocenti domande da salotto romano, ma stilettate alle famiglie delle donne uccise e, soprattutto, una bomba all’idrogeno che polverizza i principi universali di eguaglianza tra i sessi e, prima ancora, di tutela della vita umana.

Se si sdogana il fatto che il femminicidio possa trovare una lata giustificazione a monte, possiamo serenamente bruciare i codici e l’etica su cui si basano tutte le norme scritte dalla comparsa dell’uomo sulla terra.

L’essere umano, infatti, ha sempre avuto la capacità di discernere il giusto e lo sbagliato e ha previsto, fin dai tempi delle caverne, sanzioni a chi violasse le regole (Dio stesso condannò all’esilio Caino per l’assassinio del fratello Abele).

Questa dicotomia si è poi tradotta nelle leggi e nei codici che hanno via via seguito l’evoluzione dei concetti di bene e male delle varie culture con un punto di congiunzione universale: uccidere è il più grave di tutti i reati e merita una punizione senza se e senza ma.

Purtroppo questo concetto, nella storia, ha trovato un temperamento a seconda del sesso della vittima, distinguendo tra uomo e donna: il mondo moderno sta continuando a pagare una millenaria cultura misogina e maschilista che relega la donna in una posizione deteriore rispetto al maschio, a prescindere dalle roboanti affermazioni della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e delle Costituzioni occidentali.

Nessun problema, Dott.ssa Palombelli, le Sue sono domande lecite, magari in quell’Afghanistan dei Talebani che equiparano le donne ad animali e tolgono loro ogni diritto.

Sicuramente quelle donne che cadono – una ogni tre giorni – avranno infastidito e provocato i loro uomini a tal punto da guidare la mano del loro assassino e, in un certo senso, se la sono meritata.

Paradosso per paradosso, Lei potrebbe ampliare la logica del Suo ragionamento e interrogarsi se magari l’anziano scippato in strada non abbia stuzzicato il mariuolo con l’esibizione della propria claudicanza e del portafogli nella tasca posteriore dei pantaloni.

E, insomma, anche il truffatore – se avesse trovato qualcuno più sveglio – avrebbe desistito dal commettere quel crimine.

Cerco di interrogarmi io, Dott.ssa Palombelli, su quale cortocircuito abbia potuto investire le Sue sinapsi nel partorire una tale amenità.

Non metto in dubbio l’ambizione di voler ‘uscire dal coro’ e inaugurare percorsi inediti per leggere il fenomeno del femminicidio, ma Lei ha fatto un rally tra l’assurdo e la vergogna, sicché le scuse urbi et orbi sarebbero il minimo sindacale per attenuare un’onta che, comunque, Le rimarrà cucita addosso come una lettera scarlatta.

Vede, non tutto nella vita è reversibile e Lei si è spinta in un punto di non ritorno.

Come in Arancia Meccanica sarebbe carino costringerla a ravvedersi e se potessi comminarle una pena, la obbligherei ad esaminare le salme delle donne uccise, magari proprio le sette di cui ha fatto cenno, stese sui tavoli dell’obitorio, orrendamente violate nel corpo da colpi di pistola o coltellate.

Poi le intimerei di parlare con le madri, i padri, i figli – alcuni anche piccoli – di queste vittime e, guardando nell’oceano di dolore dei loro inconsolabili occhi, la esorterei a rivolgere loro la domanda che si posta in trasmissione.

Sono certa, o almeno lo voglio sperare, che Lei si sia già resa conto del fatale ed irrimediabile errore cui l’ha spinta l’ambizione di introdurre un tema di discussione ‘diverso’ dalla mera condanna.

Ma vede, e finisco, per ogni operazione numerica c’è sempre e solo un risultato: due più due fa sempre e solo quattro e quando una donna muore per mano di chi ha giurato di amarla non c’è spazio per le giustificazioni, ma solo per lo stigma, totale, indefettibile, incondizionato.

Daniel Defoe scrisse: “l’uomo non si vergogna di peccare, ma si vergogna di pentirsi“.

Lei non lo faccia, Dott.ssa Palombelli, e si abbandoni al più sincero dei rammarichi, augurandosi basti.

info: danielamisaglia.com

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