​Bce e Fed non hanno cambiato rotta: vincono i falchi

Francoforte ha alzato di 50 punti base i tassi (poco prima anche la Banca d’Inghilterra ha aumentato il costo del denaro di altri 50 punti base) e ieri Washington ha deciso un incremento di 25 punti base. Il recente calo dei prezzi dell’energia e il rallentamento dell’inflazione non sono stati sufficienti a mettere uno stop alla politica monetaria delle Banche centrali, che puntano dritto all’inflazione ideale del 2%.

«A dispetto di dati sull’inflazione che cominciano a fare rientrare la preoccupazione, la strategia di Bce e Fed è cauta e conservativa. Vogliono segnalare l’attenzione che le banche centrali hanno alla lotta all’inflazione, che, in linea con la loro filosofia di fondo, viene considerata la priorità. Soprattutto la Fed avverte così di non voler fare lo stesso errore commesso due anni fa di sottovalutare l’inflazione», spiega Mario Del Pero, Professore di Storia Internazionale e Storia degli Stati Uniti all’Institut d’études politiques – Sciences Po di Parigi.

Partiamo dalle decisioni delle ultime 24 ore di Bce e Fed, le cui politiche interessano quasi 700milioni di persone. La Fed ha aumentato i tassi di 25 punti base, portando il costo del denaro al4,5% (i massimi dal settembre 2007). Un nuovo rialzo, ma a un ritmo meno serrato dopo i quattro incrementi consecutivi di 0,75 e l’ultimo di 0,5 punti (a dicembre 2022). La Bce ha confermato la sua politica monetaria che ora è più aggressiva (anche perché Francoforte ha iniziato dopo Washington ad alzare i tassi), decidendo oggi per un incremento di 0,5 punti percentuali, portando i tassi al 3%. Le banche centrali insistono sulla politica dei tassi per contenere l’inflazione, che ha rialzato la testa dopo la pandemia ed è accelerata con la guerra in Ucraina. Obiettivo delle banche centrali sia in Usa sia nell’Eurozona è l’inflazione “ideale” intorno al 2%.

Continua dunque la politica di stretta monetaria e dalle parole di Christine Lagarde (Bce) e Jerome Powell (Fed) è chiaro che i tassi continueranno ad aumentare ancora nei prossimi mesi. Due politiche monetarie che sembrano andare all’unisono, portate avanti da due realtà che però non sono proprio uguali. Sulla carta la missione della Fed è più ampia rispetto a quella della Bce. La Banca americana ha tra gli obiettivi la stabilità dei prezzi (tenere sotto controllo l’inflazione), l’vita refluttuazioni eccessive nei tassi d’interesse e il facilitare la massima occupazione possibile. La Bce ha lo scopo più limitato di garantire la stabilità dei prezzi.

«Anche se le funzioni delle due Banche centrali sono diverse e quelle della Fed sono più ampie, c’è una certa convergenza delle politiche monetarie. Parliamo di due banche centrali, infatti, che operano nello spazio economico, quello euro-americano, che è il più integrato al mondo. Sia in termini di scambi commerciali, sia di flussidi investimenti, sia di presenza di banche che operano da entrambe le parti, questo è un mondospettacolarmente integrato. Bce e Fed operano nello stesso mondo economico, altamente integrato, con obiettivi simili e con uno sforzo inevitabile di coordinamento e convergenza delle politiche monetarie. Lo sforzo si è fatto particolarmente acuto soprattutto dopo la crisi del 2008 e dopo che è arrivato Draghi alla Bce. In Europa la leva monetaria è stata usata anche di più rispetto agli Stati Uniti, perché si usava meno la leva di bilancio, gli investimenti pubblici», spiega Del Pero.

Politiche monetarie che convergono in due organismi che hanno molte differenze. La Bce non è garante del debito pubblico dei suoi Stati membri, a differenza della Fed e risente, nella sua azione, della frammentazione politica di cui è figlia. Francoforte deve “unire” sistemi economici e politici eterogenei, di Paesi che hanno spesso esigenze e situazioni opposte.

«La Fed ha una struttura federale, il presidente la guida, ma c’è sempre un negoziato interno e undialogo costante con il Congresso. Questo manca alla Bce. La Bce ha bisogno di un consenso piùfaticoso da raggiungere per ogni decisione e azione. Per la Bce raggiungere il consenso tra i diversi interlocutori è più difficile e per questo in alcune fasi è stata ed è più lenta della Fed a reagire, perché fa più fatica a prendere decisioni. La stessa Europa è una realtà intergovernativa, ma dove alcuni governi pesano più di altri e quindi l’autonomia della Bce si è sempre scontrata condeterminate richieste tedesche che hanno creato tensioni, che abbiamo visto molto bene durante il periodo di Draghi a Francoforte», conclude Del Pero

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