Biden al G7 volta le spalle all’Afghanistan ed agli alleati

È una netta spaccatura quella che ha registrato il summit straordinario del G7, tenutosi oggi in formato virtuale sotto la presidenza del premier britannico Boris Johnson. Ed è di una (rilevante) spaccatura transatlantica che stiamo parlando. Il presidente americano, Joe Biden, ha infatti rifiutato di prorogare la deadline del 31 agosto per il ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan, respingendo così le richieste degli alleati europei che lo avevano esortato ad un addio meno rapido. Certo: l’inquilino della Casa Bianca non ha escluso del tutto che i tempi possano allungarsi e ha in tal senso incaricato il suo team di elaborare piani di emergenza. Resta tuttavia il fatto che Biden abbia letteralmente sbattuto la porta in faccia agli altri leader del G7, contribuendo a inasprire delle relazioni che – soprattutto negli ultimi dieci giorni – si sono fatte sempre più tese.

Al di là di questa eclatante spaccatura, il consesso ha cercato di trovare una difficile linea unitaria. A livello generale, ha ribadito il suo impegno a favore del popolo afghano. “Il popolo afghano”, si legge nel comunicato finale del summit, “merita di vivere in dignità, pace e sicurezza, in base agli ultimi due decenni delle sue conquiste politiche, economiche e sociali, in particolare per le donne e le ragazze. L’Afghanistan non deve mai più diventare un rifugio sicuro per il terrorismo, né una fonte di attacchi terroristici contro altri”. I leader hanno poi garantito assistenza umanitaria. “Affermiamo il nostro impegno duraturo nei confronti del popolo afghano, anche attraverso un rinnovato impegno umanitario da parte della comunità internazionale. A tal fine sosteniamo le Nazioni Unite nel coordinare l’immediata risposta umanitaria internazionale nella regione, compreso l’accesso umanitario senza restrizioni in Afghanistan, e contribuiremo collettivamente a tale risposta”, ha proseguito il comunicato.

Un tema spinoso si è poi rivelato quello del riconoscimento del nuovo regime talebano. Un tema che ha trovato nel summit odierno una risposta fondamentalmente provvisoria. “La legittimità di qualsiasi futuro governo dipende dall’approccio che adotta ora per sostenere i propri obblighi e impegni internazionali per garantire un Afghanistan stabile”, hanno scritto i leader nella loro nota. Propositi che, almeno per il momento, restano fondamentalmente aleatori. Non è infatti chiaro in base a quale strategia il G7 cercherà di ottenere garanzie concrete da parte dei talebani: un gruppo islamista non soltanto violento ma anche notoriamente inaffidabile. E del resto le tensioni non mancano. I leader hanno infatti detto di auspicare il mantenimento di un transito sicuro anche dopo la fine di agosto: un’eventualità rispetto a cui i “barbuti” si sono tuttavia detti contrari.

Un ultimo punto da sottolineare è il fatto che i leader ieri abbiano citato il G20 tra gli strumenti ritenuti necessari per risolvere la crisi afghana. Il che costituisce un indiretto assist alla posizione di Mario Draghi: è infatti noto che il nostro premier miri a organizzare un summit straordinario del G20 per settembre. Un summit con cui cercare di stabilizzare l’Afghanistan, puntando a coinvolgere nel processo anche Cina e Russia.

Uno scenario che si sta facendo sempre più concreto e che si apre a varie considerazioni. Innanzitutto è probabile che un tale consesso vedrà il protagonismo di Pechino e Mosca a discapito degli americani. La situazione potrebbe tuttavia mutare nel medio e lungo termine. Come vedevamo, i talebani costituiscono una forza non particolarmente affidabile. Senza poi contare che, nonostante l’instaurazione del nuovo regime, non è affatto detto che il Paese si avvii verso una fase di stabilità: i “barbuti” devono fare i conti non solo con le sacche di resistenza ma anche con alcune sigle jihadiste rivali (a partire dai gruppi affiliati all’Isis). In tutto questo, non si può neppure escludere che il nuovo potere talebano favorisca (direttamente o indirettamente) instabilità in determinate aree (come lo Xinjiang e il Caucaso del Nord). La situazione resta quindi fluida. E, per ora, l’unica cosa certa è una frattura difficilmente sanabile tra l’amministrazione Biden e gli alleati europei. Una bella beffa per il presidente che molti dicevano avrebbe rilanciato le relazioni transatlantiche.

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