mercoledì, 12 Febbraio 2025
Cameron in mostra a Torino, Giovani non pensate ai clic
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(di Lucia Magi) James Cameron, il regista
che ha firmato i kolossal più visti e redditizi della storia del
cinema, entra in teatro con un sorriso curioso e una tazza di
caffè latte tra le mani. Assesta pacche sulle spalle ai
collaboratori e saluta in italiano l’esigua delegazione che
accompagna Carlo Chatrian. Il direttore del Museo Nazionale del
Cinema è arrivato a Manhattan Beach, a sud di Los Angeles, dove
il padre di Terminator, Titanic e Avatar ha il suo quartier
generale, per ultimare i dettagli della mostra che l’istituzione
torinese gli dedica dal 26 febbraio. Con lui, la Console
Generale Raffaella Valentini e il direttore dell’Istituto
Italiano di Cultura, Emanuele Amendola.
Cameron è immerso nella lavorazione di Avatar 3, segretissimo
progetto che tiene in fermento gli studi e gli uffici della sua
casa di produzione, la Lightstorm Entertainment. Per questo non
riuscirà ad essere in Italia per l’inaugurazione, ma assicura: “Riuscirò a fare una capatina prima che chiuda (il 15 giugno).
Siamo più avanti rispetto ai mesi che precedettero il secondo
capitolo”. Gli si illuminano gli occhi: “L’abbiamo visto ieri,
dall’inizio alla fine, non lo faccio spesso con i miei film
durante la lavorazione. Posso dire che è fantastico”, confida.
E aggiunge che Zoe Saldaña – protagonista della saga e candidata
all’Oscar come attrice non protagonista per Emilia Pérez, forse
il suo primo ruolo importante senza la pelle blu – “è magnifica.
Cresce in intensità, espressioni e forza. Le ho telefonato per
dirglielo: ‘Sei una grande attrice, non sarà una statuetta a
determinare il tuo valore. Ovviamente, le ho fatto l’in bocca al
lupo: vincerla è meglio che non vincerla!”.
Il maestro parla nel teatro di posa adibito a museo.
Raccoglie prototipi, oggetti e costumi di scena dei suoi
lungometraggi più classici: il modello dettagliato del Titanic
che servì per le riprese esterne e costò quasi un milione di
dollari; il Cuore dell’Oceano che indossò Kate Winslet sul set;
tre busti di Arnold Schwarzenegger trasformato in cyborg per
Terminator, Alien giganti e vari studi degli abitanti di
Pandora. È il luogo adatto per parlare della retrospettiva The
Art of James Cameron, curata dalla sua collaboratrice Kim Butts
per la Cinémathèque di Parigi, che ora viene adattata agli spazi
della Mole Antonelliana. Più di 300 pezzi in esposizione tra
disegni, dipinti, oggetti di scena, costumi, fotografie e
tecnologie 3D per illustrare la traiettoria delle storie e dei
personaggi nati dal genio di Cameron. “Con questa mostra vorrei
parlare ai giovani – considera il regista – Esporre miei disegni
del 1975 o dei primi anni ’80 li farà riflettere. Spero che
vedendo quel momento innocente di creazione, quando non avevo
aspettative e nessuno guardava quello che stavo facendo, si
sentano ispirati ad andare avanti con la loro arte, anche se non
hanno un riconoscimento immediato. Ora più che mai,
probabilmente a causa dei social media, tutti sentono di dover
essere all’altezza all’istante. Ma la vita è lunga e devi fare
le cose perché le senti, non perché stai cercando di
impressionare e di ottenere ‘like’. Non funziona in questo modo.
Devi costruire la tua arte con tempo, disciplina e studio. Non
si diventa un maestro in un giorno”.
Chatrian approva con un cenno del capo: “Le idee che hanno
rivoluzionato il cinema, sono nate da una matita. Una matita su
un foglio di carta”, commenta dopo aver consegnato al regista
una confezione di gianduiotti vegani e prima di sparire nei
corridoi blindati per le ultime riunioni. “L’esibizione non ha
scopo di lucro ed è volutamente organizzata con un museo
pubblico – ci tiene a precisare Cameron – Credo molto in queste
istituzioni. Da bambino, nel piccolo paese in cui vivevamo
(Kapuskasing, in Canada), spesso mia madre mi faceva saltare la
scuola e mi portava invece a visitare musei. Stavamo ore a
contemplare scheletri o quadri e a riprodurli su carta.
Disegnavo di continuo: ispirato dai fumetti, dai libri di
fantascienza e dai film che divoravo. Da lì è cominciato tutto.
È stata una preparazione perfetta per passare all’arte del
cinema quando avevo vent’anni”.
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