Carcere ostativo, le nuove norme e a chi vanno applicate

Con la pubblicazione del decreto legge n. 162 del 31 ottobre su “ergastolo ostativo” e riforma dell’ “ordinamento penitenziario”, rinvio della “riforma Cartabia”, disciplina dei c.d. “rave party” e nuovo articolo 434 bis del codice penale introduttivo del reato di “invasione dei terreni o degli edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico, l’incolumità pubblica o la salute pubblica”, è ufficialmente iniziata l’attività del Governo Meloni. Ieri, infatti, attorno alle tredici, il primo Consiglio dei Ministri ha visto la giustizia grande protagonista della nuova era politica targata Giorgia Meloni: e la discussione più attesa è stata, certamente, quella legata al mantenimento del c.d. “ergastolo ostativo”, ovvero quel particolare tipo di regime penitenziario previsto dall’art. 4 bis del relativo Ordinamento penitenziario che esclude in radice, dall’applicabilità dei benefici penitenziari, chi si sia reso protagonista di reati di particolare allarme sociale, ricompresi in un elenco riportato al primo comma della stessa disposizione: ovvero di fattispecie in cui il reo, condannato, si rifiuti di collaborare con la giustizia o di casi in cui la collaborazione stessa si riveli del tutto irrilevante ai fini del ristabilimento dello “status quo ante”. In pratica la permanenza dell’ergastolo ostativo vieta che il detenuto, condannato per particolari e gravi fattispecie di reato, possa usufruire -ad esempio- di un permesso premio come la semilibertà, salvo che lo stesso collabori con la giustizia. Ricordiamo che nella disciplina ordinaria l’accesso al beneficio della semilibertà, disciplinato dall’art. 50 dell’ordinamento penitenziario, dispone che per i condannati all’ergastolo la concessione sia subordinata all’aver già scontato 20 anni di pena.

Chi riguarda l’istituto dell’ergastolo ostativo

La figura dell’ergastolo ostativo vede come destinatari chi ha ricevuto la pena dell’ergastolo dopo essere stato giudicato colpevole di delitti di mafia e terrorismo, così come di eversione dell’ordine democratico; ovvero di delitti compiuti con atti di violenza, che hanno riguardato la pedopornografia, la prostituzione minorile, la tratta di persone, la riduzione o il mantenimento in schiavitù, la violenza sessuale di gruppo e il sequestro di persona a scopo di estorsione. In queste particolari ipotesi, tutte caratterizzate dal particolare allarme sociale, la pena viene scontata interamente all’interno dell’istituto carcerario, caratterizzandosi per la sua natura di perpetuità: l’ergastolo, cioè si trasforma nel c.d. “fine pena mai”, senza la possibilità che possa avere effetto l’ipotetico ravvedimento del reo. Da punto di vista prettamente penalistico il sistema in oggetto manifesta una particolare presunzione di legge, ovvero quella assoluta della “pericolosità sociale” del detenuto, tratta proprio dalla particolare gravità del reato commesso per il quale è stato condannato. Tra i reati ricompresi al primo comma dell’art. 4 bis dell’Ordinamento penitenziario risaltano, a titolo esemplificativo, quelli commessi con violenza per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, quelli di associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.), quelli delitti commessi col metodo mafioso o per agevolare l’attività di tali associazioni e il c.d. voto di scambio politico-mafioso.

La procedura

La procedura per la concessione dei benefici penitenziari in parola ad un condannato alla pena dell’ergastolo è piuttosto articolata: il giudice di sorveglianza dovrà obbligatoriamente raccogliere una serie di pareri (quelli del pubblico ministero naturale del processo, del Procuratore nazionale antimafia, vista la materia afferente ai reati di mafia e terrorismo, e dello stesso istituto penitenziario dove la persona è detenuta) e procedere a controlli anche delle condizioni economiche del condannato nonché del suo nucleo familiare e dei suoi conoscenti. La normativa prevede che nel caso in cui tali pareri e accertamenti non dovessero arrivare nel termine di 90 giorni dalla richiesta, il giudice sarà in ogni caso obbligato a prendere una decisione motivata. Inoltre la stessa la Guardia di finanza sarà incaricata della “verifica della relativa posizione fiscale, economica e patrimoniale” per come evidenziato. Oltre ai criteri stringenti già elencati, il decreto legge n. 162/2022 ieri licenziato prevede anche che le persone condannate all’ergastolo non possano accedere ai benefici penitenziari prima di aver scontato almeno 30 anni di pena in carcere. In caso di condanne inferiori all’ergastolo, andranno scontati comunque due terzi della pena. Inoltre è previsto per chi decide di non collaborare che l’accesso alla libertà condizionale e altri benefici sia limitato e arrivi solo dopo molto tempo.

L’importanza della materia per il governo Meloni

Attualmente sarebbero circa 1200 i detenuti condannati alla pena dell’ergastolo per reati di mafia e terrorismo a trovarsi sottoposti al regime dell’ergastolo ostativo. Il decreto legge sull’ergastolo ostativo è considerato dal governo Meloni “uno strumento essenziale” finalizzato a contrastare la criminalità organizzata, in particolar modo “prioritario” e “urgente” visto che il prossimo 8 novembre è in programma l’udienza innanzi alla Corte costituzionale finalizzata alla trattazione delle questioni di legittimità costituzionale afferenti le norme della disciplina. Non potrà sfuggire la circostanza che il testo approdato innanzi a questo primo Consiglio dei Ministri sia esattamente sovrapponibile al disegno di legge n. 2574 già approvato nella passata legislatura (la XVIII, dunque): in pratica, ora come allora si mira ad impedire la possibilità che i mafiosi possano essere scarcerati “facilmente”, consentendo cioè che usufruiscano di benefici penitenziari quei condannati che abbiano dimostrato “una condotta risarcitoria” e “la cessazione dei loro collegamenti” con la criminalità organizzata. Chiamato a questa prima prova del fuoco, dunque, il Governo Meloni si è trovato innanzi ad una vera e propria corsa ad ostacoli per assicurare, nella migliore tradizione, la tranquillità sociale, impedendo che il mafioso condannato e detenuto possa lasciare il carcere.

L’intervento della Corte Costituzionale

Un anno fa, la Consulta aveva definito l’ergastolo ostativo “incompatibile” con gli articoli 3 e 27 della Costituzione che regolano i principi di uguaglianza e di funzione rieducativa della pena, e con il divieto di pene degradanti per come stabilito dalla Convenzione europea dei diritti umani: i giudici costituzionali avevano, così, sollecitato il Parlamento a intervenire sulla materia, fissando il termine all’otto novembre del 2022. Dichiarando l’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo attraverso una ordinanza -che è atto non definitivo-, la Corte aveva previsto quindi un arco di tempo affinché il legislatore intervenisse a riformare l’istituto secondo le indicazioni dei giudici costituzionali, in modo da organicizzare la disciplina all’ordinamento giuridico. Ecco spiegato perché il governo ha inteso agire, a sua volta, con un’iniziativa urgente, ovvero il decreto legge ieri licenziatoLeggi su panorama.it