Caso Uss, Mayer: «Una vicenda da cyber-intelligence»

Il caso di Artem Uss, il cittadino russo arrestato il 17 ottobre scorso a Malpensa, prima detenuto in carcere e poi ai domiciliari nel comune di Basiglio, nel Milanese, dai quali è fuggito il 22 marzo 2023, e su cui il ministero e il Dipartimento della Giustizia statunitense avevano sollecitato il mantenimento della misura del carcere, è diventata oltre un caso politico anche un complesso caso giuridico di diritto interno e di diritto internazionale.

Sul primo versante il Ministro Carlo Nordio ha avviato un’azione disciplinare nei confronti dei giudici della quinta sezione penale della Corte d’Appello accusati di «grave e inescusabile negligenza per aver concesso il 25 novembre 2022 gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico al 40enne russo poi evaso: in pratica il ministro li accusa di “non aver valutato” che vi fossero elementi da cui poteva emergere “elevato e concreto pericolo di fuga».

Nell’ordinanza a loro firma i giudici, concedendo la misura degli arresti domiciliari, evidenziavano il pericolo di fuga fosse concreto, ma che, che potesse essere arginato dall’aggiunta dell’utilizzo del braccialetto elettronico. Sul versante internazionale, il caso si complica in quanto Uss è fuggito quando era già stata avanzata la richiesta di estradizione dagli Stati Uniti, è ciò aggraverebbe la circostanza di come possa essere stato ignorato il forte allarme statunitense sul caso, visto che la Corte d’appelo meneghina ha successivamente dato l’ok alla sua estradizione negli Stati Uniti, dove Artem Uss risulta accusato di gravissimi reati di traffico di materiale bellico, di petrolio, frode e riciclaggio.

Non dimentichiamo che l’imprenditore è il figlio del governatore della regione siberiana di Krasnoyarsk, una personalità politica da anni molto vicina a Vladimir Putin. A gettare nuova benzina sul fuoco è intervenuta la dura presa di posizione dell’Associazione Nazionale Magistrati che ha puntato il dito sull’attacco all’indipendenza dei magistrati sferrato proprio con l’azione disciplinare del ministro Nordio: insomma, uno scontro di poteri, quello giudiziario e quello politico, che rende la vicenda un vero casus iuris di non facile risoluzione.

Panorama.it, ha chiesto a Marco Mayer di fare chiarezza sull’ingarbugliato caso interno e internazionale.

Professor Mayer la fuga dagli arresti domiciliari del giovane magnate russo Artem Uss non ha fatto fare una bella figura all’Italia e ha suscitato polemiche in Parlamento.

«Nella richiesta di estradizione che ha motivato l’arresto di Artem Uss a Milano Malpensa il 17 ottobre scorso e del russo Yury Orekhov in Germania, si ipotizza che i due personaggi – insieme ad altri complici – dal 2018 in poi abbiano esportato illegalmente (attraverso società di copertura, triangolazioni ed altri espedienti) componenti tecnologiche americane destinate all’industria militare russa. Una parte di queste componenti elettroniche sarebbe stata rintracciata in veicoli ed equipaggiamenti dei militari russi in Ucraina dopo l’invasione».

Ma questo professore è il punto di vista di parte espresso il 22 settembre

scorso dalla Pubblica Accusa…

«Certo siamo nel campo delle ipotesi e sino alla sentenza definitiva per Uss e gli altri vale la presunzione di innocenza, ci mancherebbe altro! Tuttavia in termini generali non possiamo ignorare il fatto che in Ucraina siano state individuate componenti tecnologiche di origine americana di cui dispongono le forze russe di occupazione. Proprio per questo il 24 aprile scorso il Regno Unito ha esteso e potenziato il proprio regime di sanzioni».

In questo contesto cosa potrebbe fare l’Italia?

«Le “anomalie” relative al caso Uss di cui ha parlato il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni (e su cui il Copasir presieduto da Lorenzo Guerini effettuerà i necessari approfondimenti) suggeriscono – a mio avviso – di potenziare la polizia di prevenzione nelle sue diverse articolazioni territoriali e specialistiche. Nei primi due decenni del nuovo millennio i rapporti tra Italia e Russia si sono intensificati nei settori più diversi e non è stato facile assicurare una costante e accurata mappatua della fitta rete di relazioni».

La guerra in corso ha aggravato lo status quo, evidentemente…

«Dopo l’invasione dell’Ucraina, per le autorità nazionali e provinciali di Pubblica Sicurezza, sono diventati sempre più impegnativi e gravosi i compiti di tutela, protezione, controllo e vigilanza delle persone fisiche e giuridiche della Federazione Russa. Artem ed il padre Alexandeer (ex governatore della regione di Krasnoyarsk) non sono certo casi isolati, ma fanno parte della folta schiera di VIP russi vicini al Presidente Vladimir Putin che hanno frequentato il nostro paese sino allo scorso anno».

Intanto i giudici di Milano avevano hanno espresso un parere favorevole all’estradizione di Artem Uss negli Stati Uniti?

«Pare che i magistrati della Corte d’appello di Milano abbiano riscontrato il fondato sospetto che Artem Uss (sin dal 2019), insieme ai suoi complici, abbia comprato e poi rivenduto ingenti quantitativi di petrolio dalla azienda di stato del Venezuela (PDV) alla Russia. Le sanzioni adottate negli Stati Uniti proibiscono, infatti, l’uso delle banche americane e del dollaro per esportare e commerciare il petrolio dal Venezuela».

La vicenda si era tinta di sfumature da cyber-intelligence…

«L’accusa specifica è che fossero stati disattivati i transponder e di aver falsificato i documenti dichiarando che le navi trasportassero prodotti alimentari e elettronica di consumo, invece di petrolio. Nella incriminazione che ho citato all’inizio si fa cenno ad un presunto pagamento illegale da parte di Uss e del suo socio Yuri Orekhov».

Una vicenda non di poco conto.

«Anche in questo caso il garantismo é un imperativo: gli imputati sono innocenti sino alla sentenza definitiva. Tuttavia aggiungo che il caso Uss mette in evidenza un altro aspetto di carattere generale su cui ancora non sono stati accesi i riflettori».

A cosa si riferisce?

«Intendo segnalare una certa disomogeneità delle sanzioni conseguenti all’invasione militare russa in Ucraina. Per esempio nel caso di Uss e/o di altri membri della sua famiglia le sanzioni sono state decise e applicate da vari Paesi a secoda delle circostanze (Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Nuova Zelanda e Australia), ma non dall’Unione Europea. A prescindere dalle vicende specifiche della famiglia Uss è auspicabile che le sanzioni tese a colpire le persone fisiche (e le entità giuridiche) che favoriscono le mire imperiali di Putin e dei suoi collaboratori al Cremlino siano decise di concerto tra Stati Uniti e Unione europea».

Perché?

«Adottare approcci diversi (soprattutto, ma non solo nel campo delle importazioni tecnologiche potenzialmente duali) può mettere in seria difficoltà le forze militari ucraine impegnate a difendere la propria nazione. Quando di parla di sanzioni la formula (attraente quanto ambivalente) dell’autonomia strategica europea non c’entra assolutamente niente. All’opposto, una piena condivisione di dati e informazioni tra UE e USA (e una conseguente convergenza in materia di sanzioni) è un modo concreto ed efficace di difendere le democrazie che sono sotto attacco dalla narrativa russa e cinese e che per ragioni endogene attraversano una fase difficile».

Intanto si è dovuto muovere un altro Ministro italiano.

«Per questa discrepanza in materia di sanzioni tra USA e UE il Ministro Giancarlo Giorgetti, dopo aver sentito il parere del Comitato per la Sicurezza Finanziaria, è dovuto intervenire con un decreto congelando i beni e i conti correnti di Artem USS. Non ce ne sarebbe stato bisogno se in un caso come questo l’Unione Europea e gli Stati Uniti si fossero mossi in maniera omogenea in materia di sanzioni».

Passiamo al versante interno: alle polemiche sull’operato del Ministro della Giustizia Carlo Nordio

«Innanzitutto reputo che il tema che abbiamo affrontato sia essenzialmente di natura politica per l’aspro confronto in atto tra democrazie e regimi autoritari, in particolare Federazione Russa e Cina, e pertanto la materia avrebbe dovuto essere tempestivamente esaminata dai comitati interministeriali appositi. Mi riferisco

al CISR (Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica), al CSF (Comitato Sicurezza Finanziaria) e al CIC (Comitato Interministeriale per la Sicurezza Cyber). Il Ministro e il Ministero della Giustizia ne fanno parte, potevano prendere l’iniziativa e avrebbero quanto meno avuto maggiori spunti di riflessione».

Da esperto di cybersecurity, perché ritiene utile il coinvolgimento del C.I.C.?

«La gestione dei servizi di comunicazione relativi al cosiddetto “braccialetto” elettronico è notoriamente di competenza del Ministero dell’Interno, ma data la delicatezza della materia mi sento di suggerire anche una verifica dei profili tecnico-operativi dei relativi apparati, reti e servizi di gestione in termini di cybersecurity».

In ogni caso lo scontro tra Ministro e magistrati è stato rovente…

«Ricordo che la decisione finale in materia di estradizioni spetta al Ministro, dunque è espressione di una volontà politica. Ricordo che prima dell’avvento del governo Draghi l’esecutivo è stato oscillante e talora compiacente con Mosca. Per esempio, il Ministro della giustizia Alfonso Bonafede aveva consentito ad Alexander Yuryevich Korshunov, il magnate russo accusato dal FBI di spionaggio, di tornarsene a casa in Russia nonostante che la Corte di Cassazione avesse confermato la decisione della Corte di Appello di Napoli favorevole alla sua estradizione degli Stati Uniti».

Il ministro Nordio è stato sulla graticola…

«Non penso che sia giusto attaccarlo per farne il “capro espiatorio” di una vicenda eminentemente politica, anche se la sua decisione di scaricare la responsabilità sui giudici e promuovere un’azione disciplinare per aver concesso gli arresti domiciliari ad Artem Uss appare – anche ad un profano come il sottoscritto – lesiva della divisione dei poteri. Ma tutto ciò vale solo se Giorgia Meloni continua dritta per la sua strada».

Ovvero?

«In tanti (non solo Conte e Salvini) spingono il governo a allontanarsi dalla linea intransigente di Mario Draghi nei confronti del Presidente Putin. Se dovesse cedere alle pressioni del variegato partito trasversale “filo russo” si potrebbe innescare una reazione a catena di cui il Presidente del Consiglio potrebbe pagare un prezzo molto alto in termini di conseguenze politiche…».

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