Cina +1 : relazioni economiche e politiche con l’India

L’India il secondo paese più popoloso al mondo con 1,3 miliardi di abitanti ed il settimo Paese al mondo per superficie ha registrato una costante crescita economica negli ultimi anni, con un aumento del PIL del 18,96% nel 2021, del 4,1% nel primo trimestre e del 13,5% nel secondo trimestre di quest’anno, superando il Regno Unito e diventando la quinta economia mondiale.

In questo contesto, la Cina è recentemente diventata il principale partner commerciale dell’India, superando gli Stati Uniti (USA). In totale, il volume degli scambi bilaterali tra Cina e India è stato di 125,66 miliardi di dollari l’anno scorso, con un aumento del 43,32% su base annua. Basti sapere che i due paesi sono fortemente dipendenti l’uno dall’altro, non solo in materia commerciale, ma anche su tecnologia e investimenti. Tuttavia, nel 2020 le relazioni economiche e politiche dei due paesi hanno attraversato un significativo cambiamento.

Attualmente, Cina e India stanno cercando di ridurre la loro dipendenza reciproca: quali possono essere le potenziali implicazioni per le aziende europee che investono in Asia?

Attrito economico crescente

Il 13 aprile 2020, la People’s Bank of China ha aumentato la sua partecipazione azionaria nella principale banca commerciale indiana Housing Development Finance Corporation (HDFC) dallo 0,8% all’1,01% attraverso acquisti sul mercato aperto, creando una tempesta tra le autorità di regolamentazione indiane. In un momento in cui i mercati azionari indiani crollavano a picco a causa della COVID-19, le autorità di regolamentazione temevano che le imprese cinesi controllate dallo Stato potessero acquisire asset di società indiane a prezzi ribassati. Pertanto, al fine di frenare “acquisizioni opportunistiche di società indiane” in queste circostanze anomale, il governo centrale ha modificato la politica sugli investimenti diretti esteri (IDE) introducendo restrizioni su tutti gli investimenti esteri diretti e indiretti provenienti da sette Paesi che condividono confini terrestri con l’India: Cina, Pakistan, Bangladesh, Myanmar, Bhutan, Afghanistan e Nepal. In base a questa nuova normativa, tali investimenti richiederanno obbligatoriamente l’approvazione del governo indiano.

Mentre l’India ha definito questo provvedimento come un passo per monitorare e proteggere meglio le aziende indiane che stanno attraversando una difficile fase finanziaria, il governo cinese ha affermato che si tratta di un provvedimento di natura discriminatoria e contrario alla politica di libero scambio dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC).

Rapporti complicati portano tariffe

Dal 2020, i rapporti tra i due Paesi sono diventati più tesi per esempio nel Settembre dello stesso anno, il governo indiano ha vietato 118 app cinesi, comprese quelle molto popolari come WeChat, TikTok e Alipay – l’India è il più grande mercato estero di TikTok con oltre 200 milioni di utenti. Il governo ha giustificato questa azione per motivi di sicurezza nazionale e privacy dei dati, sostenendo che era necessario impedire al governo cinese di avere accesso alle informazioni personali dei cittadini indiani.

La multinazionale cinese Huawei svolge un ruolo principale nel settore delle telecomunicazioni indiano da quasi due decenni. Nel dicembre 2019, l’India aveva permesso a Huawei di partecipare alle sperimentazioni della tecnologia 5G, tuttavia secondo quanto riportato da diversi giornali, il governo indiano ha precluso alle società di telecomunicazioni locali, attraverso comunicato non ufficiali, la possibilità di entrare in società con fornitori di servizi cinesi, tra cui Huawei.

Nel mercato degli smartphone in India, il secondo più grande al mondo, i produttori cinesi hanno già giocato un ruolo importante, con Xiaomi che occupa una quota del 30%, seguita da altri marchi cinesi come Vivo, Realme e Oppo. A causa dei recenti cambiamenti politici, come la richiesta del governo alle aziende cinesi di smartphone di aumentare le esportazioni dall’India per sostenere gli operatori nazionali, il divieto imposto ad aziende come Huawei di installare reti 5G nel Paese ha fatto aumentare i costi del passaggio al 5G di ben il 35%.

Per l’India la Cina è una fonte di importazione principale con un’ampia gamma di prodotti acquistati da questo paese, tra i quali apparecchiatura elettronica, prodotti chimici, farmaci, fertilizzanti, componentistica automotive, mobili, carta, macchinari pesanti e giocattoli in plastica. Per rendersi autosufficiente e limitare le importazioni di beni non essenziali dalla Cina, il governo indiano ha applicato diverse misure quali l’aumento dei dazi doganali e l’imposizione di standard di conformità più elevati su una varietà di 300 prodotti.

A titolo esemplificativo, il governo indiano ha inasprito le norme sull’ importazione di prodotti farmaceutici dalla Cina attraverso un controllo più severo sui principi farmaceutici attivi, per i quali l’India dipende dalla Cina per circa il 70% della fornitura.

Criticità sul confine conteso

Le relazioni bilaterali sono precipitate ai minimi storici due anni fa, dopo che la Cina ha ammassato decine di migliaia di truppe nel settore del Ladakh della Linea di controllo effettiva, un confine lungo 4.057 km che separa il territorio controllato dall’India e dalla Cina e attraversa tre aree degli Stati indiani settentrionali.

Le due nazioni hanno fatto a gara per costruire infrastrutture lungo il confine. La costruzione da parte dell’India di una nuova strada per raggiungere una base aerea ad alta quota è considerata una delle principali cause scatenanti di un scontro armato nella Valle di Galwan nel giugno 2022, che ha ucciso 20 soldati indiani e almeno quattro truppe cinesi. L’India e la Cina hanno ritirato le truppe di prima linea dalle due sponde del lago Pangong, Gogra e Hot Springs, dopo oltre due dozzine di colloqui diplomatici e militari dall’inizio dello stallo. Tuttavia, non ci sono stati progressi su altri punti di attrito come Demchok e Depsang.

India/Cina e RCEP

Il 4 novembre 2019, il Primo Ministro Narendra Modi ha scelto di non aderire al Partenariato Economico Complessivo Regionale (RCEP) e un anno dopo, 15 Paesi dell’Asia-Pacifico, tra cui la Cina, hanno firmato il più grande accordo commerciale del mondo, il Partenariato Economico Complessivo Regionale (RCEP).

La Cina è stata indicata come il principale motivo della riluttanza dell’India ad aderire al RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership), dato che il deficit commerciale dell’India con la Cina ammonta a ben 55-60 miliardi di dollari. L’India ha sostenuto che la Cina detiene una posizione di vantaggio nell’accordo e che lascerebbe l’India in una posizione ingiusta a causa del crescente deficit commerciale.

L’India potrebbe perdere investimenti e i suoi consumatori potrebbero finire per pagare più del dovuto, soprattutto quando si parla di commercio globale, investimenti e catene di approvvigionamento. Gli Stati membri dell’RCEP perderebbero l’opportunità di accedere al grande mercato indiano dei consumatori, notoriamente difficile da raggiungere, soprattutto nell’attuale situazione economica globale.

Tuttavia, il governo Modi ha lanciato una serie di programmi basati su incentivi per le multinazionali che vogliono stabilirsi in India tipo “Make in India”.

Cina Plus India?

Con la pubblicazione della Camera di Commercio dell’Unione europea in Cina “ Decoupling: Severed ties and Patchwork Globalisation”, le aziende europee sin dall’inizio del 2021 avevano evidenziato il rischio di dover istituire una catena di approvvigionamento e un sistema di ricerca e sviluppo per servire esclusivamente la Cina ed altri due per provvedere al resto del mondo.

L’approccio duro di Pechino allo sradicamento della pandemia ha portato a blocchi industriali e ad interruzioni della catena di approvvigionamento su larga scala che si sono aggiunti alla già complicata situazione geopolitica. Di conseguenza, c’è stata un’ accelerazione da parte delle aziende europee e non verso una strategia commerciale “China plus one”evitando di investire solo in Cina per provare a riorientare le loro catene di approvvigionamento.

Per esempio la scorsa settimana Apple ha annunciato l’intenzione di produrre il suo ultimo modello di telefono, l’iPhone 14, in India, una pietra miliare nella strategia dell’azienda di diversificare la produzione al di fuori della Cina. Si prevede che il 5% della produzione dell’iPhone 14 si sposterà nel Paese quest’anno, molto prima di quanto previsto dagli analisti.

Secondo gli analisti della banca d’affari JP Morgan, entro il 2025 un quarto di tutti gli iPhone prodotti dall’azienda potrebbe essere realizzato in India. Nonostante Apple produca già iPhone nello stato indiano meridionale del Tamil Nadu dal 2017, la decisione di produrre il suo modello di punta in India è un passo degno di nota, visto che le tensioni commerciali non accennano a diminuire. La mossa assume anche un significato nel contesto del decoupling della catena di approvvigionamento globale a causa della politica “zero-Covid” della Cina.

Conclusioni

L’India, terza economia asiatica, si sta posizionando come un polo produttivo e di esportazione attraente per le multinazionali, con un ampio mercato interno e abbondanti talenti a basso costo.

L’India ha firmato 13 accordi di libero scambio con vari Paesi ed è in fase di negoziazione avanzata di un accordo di libero scambio con l’Unione Europea (UE) dopo un lungo intervallo di 8 anni, che contribuirà a scoprire il significativo potenziale non sfruttato per incrementare i legami economici tra le due regioni.

Il cambiamento della strategia globale delle multinazionali, dovuto all’incertezza economica, alla chiusura di fabbriche legata al COVID-19 e al peggioramento delle relazioni politiche tra Stati Uniti e Cina, le ha spinte a cercare alternative nella catena di approvvigionamento. Apple è forse la più grande azienda che sta spostando la produzione dalla Cina, ma non è la sola: anche Amazon sta producendo i suoi dispositivi Fire TV a Chennai, in India.

L’India ha ora il più grande potenziale per scalare i propri impianti di produzione in modo da competere con la Cina, in un momento strategicamente vantaggioso per il Paese, dato che gli investitori grandi e piccoli stanno tutti prendendo nota. Mentre la spinta alla produzione ha già portato aziende leader ad aumentare la loro base produttiva in India, la spinta del governo locale per una trasformazione aggressiva dell’infrastruttura logistica, la National Logistics Policy, è l’ultima mossa per trasformare l’India in un Paese ancora più interessante per gli investitori stranieri. Un indicatore a riguardo e’ il Navi Mumbai International Airport Limited, nuovo hub internazionale che sarà in piena operatività entro la fine del 2024, con un traffico previsto di 60 milioni di passeggeri e 1,5 milioni di tonnellate di merci all’anno, chiaro esempio dei progressi e delle intenzioni del Paese.

A cura di: Avv. Carlo D’Andrea, Vice Presidente della Camera di Commercio dell’Unione Europea in Cina

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