domenica, 23 Febbraio 2025
Con Brado Kim Rossi Stuart regala un po’ di freschezza al cinema italiano
Dopo Anche Libero Va Bene e Tommaso, Kim Rossi Stuart torna alla regia, lo fa con un film dall’identità mista tra il western, il dramma familiare e il film di formazione come Brado, con cui ancora una volta dimostra la volontà di creare iter cinematografici diversi dalla norma del nostro cinema.
Il risultato finale è sicuramente di valore in quasi ogni componente, per quanto forse non sempre permanga il giusto equilibrio, ma l’ottima performance del cast, la cura per un racconto realistico quanto il più possibile, allontanano il tutto dal desueto che ammorba l’offerta italiana in sala.
Un padre e un figlio uniti solo da un ranch
Per Tommaso (Saul Nanni), la vita deve necessariamente essere una partita a solitario. Ad appena vent’anni, già ha deciso che il suo futuro è quello di un lavoro duro ma affidabile, senza sogni e senza incertezze. Non potrebbe Diversamente per lui dal momento che arriva da un’infanzia e una giovinezza particolarmente problematiche, a causa soprattutto del padre Renato (Kim Rossi Stuart).
Questi da sempre pare essere più devoto ai cavalli che addestra e alleva nel suo ranch che alle persone; non ha quasi più contatti con l’ex moglie Stefania (Barbara Bobulova) e vive solo e collerico, in modo trasandato e senza alcun riguardo per la sua salute, messa a rischio da un mestiere tutt’altro che sicuro.
In particolare Trevor, un cavallo che ha appena comprato, si rivela un osso davvero duro da addestrare e Renato sarà costretto bene o male a chiedere aiuto al figlio.
I due saranno così costretti ad affrontare il proprio passato, pieno di dolore, incomprensioni e traumi, e dovranno decidere se creare qualcosa di nuovo insieme o lasciarsi andare alle recriminazioni. Brado è tratto da un racconto dello stesso Stuart: “La lotta”, contenuto in “Le Guarigioni”, il suo primo libro di tre anni fa. Stuart ha curato anche la sceneggiatura e non si può certamente negare che il risultato finale, al netto di qualche piccola concessione ad una dimensione sentimentale che non sempre riesce a controllare, sia sicuramente positivo.
Per chi si approccia spesso e volentieri a ciò che il cinema italiano offre al proprio pubblico, questo film è sicuramente fautore di sensazioni positive in aspetti come la qualità della recitazione, la capacità di stupire anche solo minimamente lo spettatore, la credibilità degli eventi e soprattutto dei personaggi. Stuart mostra di averne grande rispetto, evita cliché e percorsi facili o scontati, forse qualche volta scivola per ambizione, ma è un’ambizione di quelle che vorremmo vedere più spesso nelle nostre sale.
Un uomo incapace di andare oltre il suo dolore
Brado è ambientato in una sorta di luogo non luogo, in una campagna ventosa e aspra, che ha plasmato a sua immagine e somiglianza Renato, sorta di cowboy “de noaltri”, ma senza che in lui vi sia alcun fare pomposo o inutilmente retorico, come del resto emerge anche in diverse battute autoironiche.
Kim Rossi Stuart tratteggia un personaggio difficile, collerico, un uomo sgradevole che nasconde la propria scarsa autostima e la certezza di una sconfitta esistenziale, dietro un isolamento e una misantropia totali. Renato è un personaggio come non se ne vedevano da tempo nel nostro cinema, di quelli che magari sarebbero piaciuti a Mazzacurati, perché non fa nulla o quasi per farsi piacere allo spettatore, pur essendo ricchissimo dal punto di vista umano. Detto questo, in più di un’occasione risulta essere odioso, in particolare per suo modo di rapportarsi non solo al figlio, agli altri in generale, ma anche verso quegli animali che dovrebbe (almeno in teoria) avere in maggior considerazione.
Il cavallo è grande protagonista, lo è in un modo totalmente diverso da quello che film generalista potrebbe suggerire, non vi è una sua nobilitazione senza fondamento, ma neppure viene negata la sua essenza di animale unico nella storia dell’uomo per funzione e simbolismo. Certamente permane il suo essere un simbolo di libertà, meno libera e molto più condizionata rispetto ad altre opere cinematografiche, connessa soprattutto all’iter dei due protagonisti, a quella gara che dovrebbe riscattare entrambi, quel cavallo in cui ripongono speranze e sogni, la possibilità di dimostrare a se stessi agli altri che valgono qualcosa.
In tutto questo, è sicuramente apprezzabile la coerenza con cui Stuart accetta la metamorfosi del suo personaggio, ma senza trasformarlo in qualcosa di diverso da quello che non è, senza connettersi in toto ad un ottimismo che nella realtà questo film accarezza ma senza mai abbracciare completamente.
Un racconto micro che affronta temi macro
Saul Nanni è un’altra graditissima sorpresa di Brado, dal momento che riesce a reggere perfettamente il confronto con uno dei migliori attori italiani della sua generazione, anzi la sinergia tra i due è semplicemente perfetta, palpabile, sono una delle coppie padre-figlio migliori che il nostro cinema abbia creato ultimamente.
Più sotto le righe a livello espressivo rispetto a Stuart, Nanni con il suo Tommaso è capace di plasmare una figura di ventenne per fortuna diversa da quelle che paternalisticamente il nostro cinema continua a volerci dare senza mai cambiare nulla. La sceneggiatura ha il grande merito di connettersi in modo molto gradevole al film di formazione, a mostrarci l’evoluzione di un ragazzo costretto a crescere fin troppo in fretta, a capire cosa è giusto e cosa è sbagliato.
Grazie ai due, Brado da metà in poi riesce ad effettuare il giusto cambio di ritmo, senza ripetersi, affrontando anche temi particolarmente ostici dal punto di vista etico, che vanno dal dramma del fine vita fino ad in generale il rapporto con la morte, la capacità di perdonare e la necessità di saper stare da soli.
Gli unici piccoli difetti che vale la pena sottolineare del film, sono la volontà di commuovere a tutti i costi che ogni tanto Stuart non riesce a reprimere, così come a volte forse gigioneggia un pochino troppo con il suo personaggio.
Tuttavia il risultato finale merita sicuramente una visione, che fa nascere anche a posteriori una scomodissima domanda: perché questo film non è stato presentato a una delle più deludenti rassegne veneziane degli ultimi anni? Perché per quello che il nostro cinema ha offerto a Venezia 2022, Brado poteva starci tranquillamente, fosse anche fuori dal Concorso, se non altro per offrire una nota dissonante rispetto all’offerta italiana, andando oltre i soliti nomi e le solite scontate promozioni.
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