Condono edilizio, cosa dice la legge

Di Carmen Chierchia, Partner, DLA Piper

Con il termine “condono edilizio” si intende una procedura edilizia speciale, introdotta in Italia per la prima volta nel 1985 (con la L. 47/1985), e poi replicata in altre due occasioni, nel 1994 (con la L. 724/1994, cd. “secondo condono”) e nel 2003 (con il Decreto legge 269/2003, il cd. “terzo condono”).

Perché una procedura speciale? Il nostro ordinamento giuridico prevede che occorre premunirsi di un titolo edilizio prima che siano eseguiti dei lavori edilizi di costruzione o di modifica di un bene esistente. La procedura di condono scardina questo naturale ordine delle cose e prevede che opere abusive, ossia costruite o modificate senza permesso o con un permesso non valido, possano essere regolarizzate, “condonate” appunto, successivamente alla loro realizzazione.

Si tratta di una procedura “speciale” anche perché è stata introdotta per regolarizzare abusi realizzati in determinate finestre temporali e, in particolare per le costruzioni realizzate entro il 1 ottobre 1983 per accedere al primo condono, entro il 31.12.1993 per il condono ed entro il 31.3.2003 per il terzo).

Oltre queste fasce temporali (e quindi, dopo marzo 2003), il condono non è più applicabile; il nostro ordinamento, tuttavia, prevede la possibilità di accedere ad una procedura di regolarizzazione ordinaria, il cd. accertamento di conformità, previsto dagli articoli 36 e 37 del Testo Unico Edilizia, che soggiace ad altre condizioni.

Le caratteristiche del condono. Non sempre le amministrazioni comunali hanno riscontrato le istanze ricevute, con provvedimento di condoni o, nel caso in cui non ci fossero i presupposti giuridici per provvedere, emanando dinieghi. Spesso, infatti, i comuni sono stati subissati da un numero imponente di domande che, in assenza di una struttura amministrativa adeguata per rispondere in tempi ragionevoli, sono rimaste pendenti per anni (anche decenni). Così il legislatore ha previsto lo strumento del silenzio assenso: decorsi 24 mesi dall’istanza, il silenzio serbato dal Comune equivale a titolo abilitativo in sanatoria.

Tuttavia, la formazione del titolo per silenzio-assenso presuppone che la domanda sia stata corredata dalla documentazione necessaria e prescritta dalla legge, che non sia infedele, ossia che contenga documenti e dichiarazioni vere, sia stata interamente pagata l’oblazione e soprattutto l’opera non sia in contrasto con i vincoli di inedificabilità.

Un aspetto molto importante è proprio quello del rapporto tra la procedura di condono e la presenza di vincoli territoriali.

Anzitutto è bene chiarire che il termine “vincolo” in Italia racchiude molti significati: esistono i vincoli storici e artistici, paesaggistici (a volte denominati anche “ambientali” utilizzando un aggettivo previsto in norme non più in vigore), idrogeologici ecc. I vincoli possono portare all’inedificabilità assoluta oppure possono consentire l’edificazione a determinate condizioni. In aggiunta, oltre ai vincoli veri e propri, esistono anche le cd. fasce di rispetto, ossia aree che sono vicine a presidi di interesse pubblico (linee elettriche, ferroviarie, aeroporti ecc) e che prevedono limitazioni all’edificabilità.

Cosa prevede la procedura di condono per queste aree?

Il principio di fondo, sia pur articolato in modi differenti dalle leggi che l’hanno introdotto, è che il condono non può essere rilasciato se il bene insiste su un territorio vincolato. Ma esistono delle peculiarità cui è bene fare attenzione.

Anzitutto, la L. 47/1985 (art. 33) prevede che la sanatoria in area vincolata è possibile a due condizioni (1) se il vincolo non comporta inedificabilità, ossia consente di costruire in determinate zone o a determinate condizioni e (2) se il vincolo è stato imposto dopo l’esecuzione delle opere, ossia al momento della costruzione l’area non doveva essere gravata da vincoli. Una previsione molto simile è contenuta nel cd. terzo condono che ha aggiunto anche il requisito della “minore rilevanza”, ossia che le opere sanabili fossero solo gli interventi edilizi che non comportano nuove costruzioni, in termini di superfici e volumi, e ricadessero pertanto nelle categorie della manutenzione o restauro. Veniva richiesto, inoltre, che le opere oggetto di domanda dovevano essere conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

Nei casi in cui la procedura di condono è ammissibile, è centrale l’ottenimento del parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo (ossia la soprintendenza, l’autorità di bacino, ecc). Tuttavia, è bene precisare che se le opere sono difformi dalla disciplina urbanistica, l’incondonabilità non è superabile nemmeno con il parere positivo dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo.

Questo significa che il meccanismo di formazione tacita del permesso riguardo alle opere realizzate in area sottoposta a vincolo paesaggistico si perfeziona unicamente se è stato rilasciato il parere dell’autorità preposta alla gestione del vincolo, se l’opera è conforme alla normativa locale.

È chiaro, quindi, che la procedura speciale del condono ha aperto molti fronti di incertezza: per le pratiche pendenti non può dirsi formato il silenzio assenso fino alla valutazione puntuale circa l’assenza di vincolo o, in caso di presenza, fino alla determinazione della data della sua apposizione, e all’ottenimento del parere dell’autorità competente. Si consideri inoltre che capita spesso che le aree siano sottoposte a più di un vincolo (le aree paesaggistiche sono anche sottoposte a tutela idrogeologica e viceversa).

Il condono è una procedura che, attraverso una autodenuncia del proprietario, permetteva al privato di regolarizzare opere abusive e all’amministrazione centrale di fare cassa con le oblazioni connesse alla richiesta di sanatoria. Alla luce delle complessità che questo strumento ha causato, tant’è che se ne parla e si litiga in tribunale anche oggi a distanza di 35 anni dal primo condono e di 19 dal terzo, ci sarebbe da domandarsi se il legislatore abbia anche valutato se gli introiti fossero idonei anche a coprire l’enorme costo della macchina burocratica, connessa alla complessità di questo strumento.

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