Contro la siccità si studia «l’inseminazione delle nuvole»

Il mondo è senz’acqua. La siccità, da sempre una delle piaghe più temute con il quale l’umanità ha dovuto fare i conti, ha ormai raggiunto livelli di grande allarme e pericolo: non più solo un problema di clima e di benessere ambientale, ma anche sociale, economico e geopolitico.

Per quanto riguarda l’Europa, il centro di ricerca della Commissione Europea ha già messo in guardia i governi sul fatto che la maggior parte dei paesi del sud del continente -specialmente Spagna, Francia e Nord Italia- dovranno fronteggiare nei prossimi mesi una siccità crescente, dovuta a un inverno eccezionalmente secco che ha già provocato anomalie nella portata dei fiumi, oltre che ovviamente nell’umidità del suolo.

Non va meglio nel resto del mondo: basti pensare che l’ONU, solo per quanto riguarda gli USA, ha stimato in 6 miliardi di dollari all’anno i danni che derivano dalla siccità. Mentre i problemi dovuti alla mancanza d’acqua creano enorme allarme, già da anni, in Paesi come l’India, l’Australia e, ovviamente, l’Africa.

Proprio l’emergenza climatica, con conseguente siccità e impossibilità di coltivare i campi è, infatti, alla base -oltre a guerre e carestie- del grande fenomeno migratorio degli ultimi anni, con milioni di persone che hanno cercato di lasciare il continente africano in cerca di migliori condizioni di vita.

Questi sono solo alcuni dei motivi per i quali il problema della mancanza d’acqua colpisce duramente tutte le economie mondiali, spingendo i governi a provare a organizzarsi per fronteggiare l’emergenza e gli scienziati a portare avanti ricerche che possano cercare di risolvere quello che probabilmente sarà il più grande problema degli anni a venire.

E mentre in Italia ci si si appresta ad affrontare l’ennesima estate che si preannuncia torrida, e sulla quale pende anche lo spettro -specialmente per alcune regioni- del razionamento dell’acqua, cosa accade nel mondo della ricerca? Al momento, purtroppo, nulla di definitivo o di particolarmente promettente.

PUNTARE SUL SUOLO

E’ vero però che, ripensando l’utilizzo del suolo nella pratica dell’agricoltura, qualche piccolo beneficio potrebbe arrivare. Il professor Joshua Faulkner, che insegna “Scienza delle piante e del suolo” all’Università del Vermont ed è anche coordinatore del Programma per l’agricoltura e il cambiamento climatico dello stesso ateneo, sostiene che la chiave di volta, quantomeno per l’agricoltura, potrebbe essere quella di cercare di aumentare la materia organica dei campi da coltivare.

I dati dicono infatti che, innalzandola di un solo punto in percentuale, la terra aumenta la capacità di trattenere acqua fino a 168mila litri per ogni ettaro: e questo è un “argine” sia alle piogge troppo intense che alla siccità. Questa rigenerazione del suolo può essere perseguita anche con la semina di colture di copertura -come per esempio le leguminose- ovviamente durante la bassa stagione, e con l’utilizzo di compost e letame invece che di azoto sintetico.

Palliativi: non certamente la risoluzione ai problemi che il mondo si sta trovando ad affrontare.

L’INSEMINAZIONE DELLE NUVOLE

Un approccio decisamente più tecnologico viene da quei ricercatori e quei Paesi in cui, invece, ci si concentra sul cercare di “far piovere”, in qualsiasi modo: la scorsa estate, per esempio, in Texas un piccolo aereo con serbatoi d’acqua e speciali ugelli montati sulle ali ha cercato di indurre la pioggia spruzzando particelle d’acqua caricate elettricamente sulle nuvole che erano già -naturalmente- presenti in cielo.

I risultati non sono stati eclatanti, ma si tratta comunque dell’evoluzione della tecnica chiamata “inseminazione delle nuvole”, cloud seeding, conosciuta da molti anni e che viene praticata regolarmente in diversi Paesi, come la Russia, la Cina e vaste aree del Medio Oriente. Al momento, l’unico modo per cercare di aumentare la produzione di pioggia.

In Gran Bretagna, alcuni ricercatori dell’Università di Bath hanno provato a utilizzare i droni per bombardare le nuvole di impulsi elettrici, grazie a un progetto finanziato dagli Emirati Arabi Uniti: il problema, però, sia che si usino aerei o droni, impulsi o particelle è sempre quello di non riuscire a capire, effettivamente, quanta pioggia si produca. E se quindi questi esperimenti possano davvero fare la differenza e risolvere, se praticati in larga scala, i problemi globali.

Diversi esperimenti più o meno fantasiosi arrivano da altre parti del mondo: in Svizzera esiste una start-up, la WeatherTec, che utilizza ombrelli giganteschi per innescare ioni sulle nuvole e produrre pioggia. Peccato che non abbia prodotto solidi dati a sostegno della effettiva funzionalità di questa tecnologia.

GLI INVESTIMENTI DEGLI EMIRATI ARABI

Ancora da Dubai proviene un altro progetto, che consiste nell’utilizzare la nanotecnologia , inseminando le nuvole con particelle nanoingegnerizzate: ma del resto, negli Emirati è proprio la tecnica del “cloud seeding” a essere portata avanti, con grandi fondi: esistono infatti, in tutto il Paese, sale di monitoraggio incaricare di intercettate le nuvole adatte a produrre pioggia e dare quindi il via alle missioni aeree.

Una volta che le condizioni meteo sono propizie, piccoli aerei si alzano in volo per penetrare nelle nubi e rilasciare grandi quantità di sale contenuto sulle ali, innescando condensazione e produzione di pioggia.

Questa tecnica, secondo quanto ha affermato a diverse agenzie Abullah Al-Hammad, direttore del Centro di meteorologia degli Emirati, dovrebbe aumentare i tassi di pioggia di una percentuale che sta tra il 10 e il 30% all’anno.

Occorrono, però, moltissimi soldi, e non è un caso che il programma di ricerca emiratino conceda enormi fondi per i progetti sull’inseminazione delle nuvole fin dal 2015: non è quindi una soluzione che tutto il mondo possa mettere in pratica.

Per la vera chiave di volta che possa salvare il mondo dalla siccità occorrerà trovare nuove strade, molti investimenti e ricerche ancora più avveniristiche. Ammesso che tutto questo sia possibile.

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