Cop26, bersaglio mancato

L’obiettivo principale era limitare l’aumento delle temperature medie a 1,5 gradi. Il risultato è che l’obiettivo non è stato raggiunto. Questa è la verità nuda e cruda sulla conferenza sul clima di Glasgow che si è appena conclusa. Poco confortano le patetiche dichiarazioni del presidente di Cop26 Alok Sharma:« Siamo riusciti a mantenere vivo l’obiettivo dei 1,5 gradi, ma il suo battito è debole e sopravvivrà soltanto se manterremo le promesse e tradurremo gli impegni in azione rapida”.

Di fatto, ciò significa che tutto dipenderà da cosa verrà deciso il prossimo anno nella prossima conferenza COP27 e dalla capacità di implementare gli impegni presi. Intanto, quello che i modelli predicono è un aumento delle temperature medie tra i 2,5 e i 2,7 gradi a fine secolo se non ci saranno drastiche riduzioni dei gas serra entro il 2030.Secondo le analisi più recenti un tale aumento delle temperature avrebbe conseguenze catastrofiche che vanno dall’innalzamento dei livelli del mare, all’intensificarsi dei fenomeni metereologici estremi all’estinzione di molte specie viventi.

Che cosa ha impedito il pieno raggiungimento degli obiettivi è stata sostanzialmente l’opposizione dei Paesi in via di sviluppo e della lobby delle fonti fossili. Emblematico questo passaggio cruciale: la bozza finale affermava nero su bianco la necessità di eliminare totalmente, in inglese “phase out”, il carbone; l’India ha chiesto di correggere “phase out” in “phase down” che significa “ridurre gradualmente”.

Gli ottimisti possono comunque far leva sui risultati raggiunti dalla conferenza. Che sono indiscutibili. Ecco i principali:

  • Due anni fa soltanto il 30 per cento del mondo era impegnato a raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette; al termine di COP26 siamo saliti a ben il 90 per cento.
  • Il documento finale menziona per la prima volta la necessità di diminuire l’uso del carbone e altre fonti fossili. Nei documenti delle precedenti COP non si faceva riferimento a queste fonti come la causa principale del cambiamento climatico.
  • Un accordo per fermare la deforestazione entro il 2030 è stato sottoscritto dall’85 per cento delle nazioni, tra le quali quelle che hanno più foreste: Brasile, Cina, Colombia, Congo, Indonesia, Russia e Stati Uniti.
  • I principali produttori di auto si sono impegnati a far sì che entro il 2040 tutta la produzione sia a emissioni zero. Molte nazioni e città hanno preso l’impegno a eliminare auto a benzina e diesel prima del 2035.
  • Il Sud Africa riceverà 8,5 miliardi di dollari per interrompere completamente l’uso di carbone. Cile, Polonia, Ucraina, Sud Corea, Indonesia e Vietnam elimineranno anch’esse il carbone entro il 2030 come pure le nazioni più ricche, fatta eccezione per Cina, India e Stati Uniti.
  • Più di 80 nazioni hanno firmato un impegno alla riduzione del 30 per cento del metano entro la prossima decade. Ma Australia, Cina, Russia e India non sono fra queste.
  • Stati Uniti, Europa e Brasile si sono impegnati a raggiungere la neutralità delle emissioni entro il 2050. Ma l’India, terzo Paese al mondo per le emissioni di anidride carbonica, si è posto questo obiettivo per il 2070 e la Cina per il 2060.

La decisione dei Paesi in via di sviluppo di porre un limite alle proprie emissioni è una svolta storica. Il loro rifiuto a fare di più tuttavia persiste sulla base di un argomento già ripetuto alle precedenti COP: sono i Paesi più ricchi i maggiori responsabili del riscaldamento globale perché le loro emissioni di CO2 sono cominciate con la Rivoluzione Industriale. La discussione dunque continua. Nel frattempo la Natura agisce.

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