Costner, Horizon, l’ombra del sogno americano su nativi

(di Francesco Gallo) Horizon – An American Saga di Kevin
Costner racconta l’ombra lunga e sanguinosa del sogno americano
sui Nativi.
    E lo fa con la crudezza necessaria e con i tempi giusti nel
rispetto della realtà. Dopo il capolavoro Balla coi lupi del
1990 (sette Oscar) e la serie Yellowstone, l’attore regista
torna al western vestendo questa volta i panni di Hayes Ellison,
un uomo che si fa gli affari suoi e cerca di vivere in pace in
un mondo pericoloso, ma capace anche di qualsiasi cosa se
provocato. Questo il principale personaggio di Horizon, An
American Saga già fuori concorso al Festival di Cannes 77 e dal
4 luglio in sala con Warner la prima delle due parti, mentre la
seconda il 15 agosto.
    Con Horizon si torna al passato, al western dei carri in fila
indiana verso il nulla, al Gran Canyon da attraversare, al forte
pieno di soldati e soprattutto all’incontro-scontro pieno di
violenza e incomprensioni dei coloni con i pellerossa.
    “Ci vendono sempre sogni e anche nel 1800 era così – dice
Kostner nel junket internazionale -. E così c’è chi si è
ritrovato con le proprie mogli nel mezzo di questo paese. Le
donne forse odiavano i loro mariti per averle portate lì dove
dovevano lavorare ogni giorno, dove nulla era pulito, ma c’erano
andati per una vita migliore. Così tanti hanno accettato questa
sfida, quel sogno. Molte volte erano coppie o singoli che
scappavano da qualcosa alla ricerca di qualcosa che non
avevano.”
Il fatto è continua Costner “che non si può condividere la terra
e i coloni non volevano davvero alcuna concorrenza e hanno
cacciato così circa 500 nazioni native americane. Io in Horizon
racconto questa collisione. Per me era davvero importante dare
loro la dignità, far capire che la ferocia che avevano i nativi
è perché stavano combattendo per il loro stile di vita, la loro
religione, la loro esistenza. Era ingiusto non mostrarli nella
loro bellezza”.
    Tutto si svolge in un periodo di quindici anni prima e dopo la
Guerra Civile, mentre l’espansione verso ovest è piena di
insidie, che si tratti di natura o scontri con i popoli indigeni
che vivevano su queste terre e della determinazione spietata di
coloro che cercavano di colonizzarli.
    Al fianco di Costner troviamo tra gli altri Sienna Miller, Sam
Worthington e Jena Malone. Di stanza a Fort Gallant, c’è Sam
Worthington che veste i panni di un soldato idealista, mentre
Sienna Miller è Frances Kittredge, una pioniera forte,
resistente e materna che è stata portata a malincuore
nell’insediamento di Horizon da suo marito sempre alla ricerca
di una vita migliore.
    Infine Jena Malone è Ellen che vive in una piccola città
mineraria chiamata Watts Parish dove dopo molte difficoltà è
riuscita a stabilirsi e a trovare anche un brav’uomo, Walt.
    Horizon è allo stesso tempo una saga western, declinata alla
violenza, che da una parte omaggia il più classico dei generi
del cinema americano e, dall’altra, offre a Costner la
possibilità di esprimere il suo impegno politico e ambientale.
    “La tanta violenza presente nel film – spiega Costner, 69 anni
-, era necessaria per sopravvivere. Non c’era legge, niente per
proteggerti, tranne il tuo istinto. C’erano invece molti
pericoli. E bisognava conoscere le cose più basilari, come saper
fare il fuoco. Non dimentichiamo poi che l’America è un paese
ancora molto giovane – sottolinea- e che questo film è
ambientato duecento anni fa. Era una terra ancora vergine”.
    Infine, in quest’opera non potevano mancare i pellirosse, le
vere vittime della colonizzazione tanto amati da Costner, ovvero
per citarne solo alcuni : Pionsenay guerriero Apache della tribù
della Montagna bianca: Taklishim, anche lui Apache, ma più
responsabile del primo da quando ha messo su famiglia e Liluye,
moglie di Taklishim e madre del suo bambino.
    Infine una bellissima descrizione della sala cinematografica da
parte di Costner: “Western preferiti? Ne ho tre, ma voglio
parlare di Liberty Valance che mi piace molto e che ha subito
infuocato la mia immaginazione. È vero, avevo solo sette anni,
ma in fondo non è questo che devono fare i film? Il fatto è che
siamo andati a guardare queste storie nel buio, l’abbiamo fatto
tutti, era l’unico posto in cui i nostri genitori ci
permettevano di andare da soli perché era considerato un posto
sicuro. È lì che abbiamo imparato a baciare, a capire come si
fa”.
   

Riproduzione riservata © Copyright ANSA

Leggi su ansa.it