Da John Wick a Io sono nessuno, la rinascita del cinema action

In principio fu John Wick, ma ancora più in principio fu The Raid. Gli ultimi dieci anni hanno reso felici i fan del cinema action, che ne aspettavano una rinascita da, beh, da una ventina d’anni circa. Se gli anni ’90 sono stati una sorta di coda dell’action classico anni ’80, i primi dieci anni del 21° secolo sono stati dominati dagli emuli di Matrix, dai primi supereroi e da ben poco altro. Il fatto stesso che uno dei nomi di punta del decennio sia stato quello di Paul Greengrass, autore che puntava ad applicare l’action a temi più politici, è significativo. Greengrass ha uno stile molto personale che ha fatto scuola, ma questa non è necessariamente una cosa positiva: il suo uso costante di camera a mano, piani ravvicinati e montaggio frenetico, ideali per comunicare il caos che la violenza genera nella realtà, erano quanto di più lontano dallo stile classico – western, viene da dire – degli anni ’80, e decisamente l’opposto di ciò che serve per mettere in luce il lavoro certosino degli stuntmen e dei coreografi, che invece da sempre la fa da padrone nel cinema asiatico (non solo quello di arti marziali, ma anche l’action di Hong Kong anni ’90).

Poi è successo qualcosa, e il cinema action è tornato alla ribalta finalmente in maniera convincente. Il primo luglio uscirà per Universal Io sono nessuno, il nuovo film scritto da Derek Kolstad, creatore di John Wick. Si tratta di un altro notevole esempio di questa rinascita, che fonde diversi spunti e coordinate dominanti nel filone attuale, dal killer in pensione che torna in attività, alla cura maniacale per gli stunt fisici e marziali. Per capire come siamo arrivati a questo film, dobbiamo ripercorrere la storia recente dell’action a partire dai film e dalle star che hanno portato a questa nuova epoca d’oro.

Farsi molto male, ma farlo per la causa

Nel 2011 esce uno spartiacque che contiene già tutto ciò che avrebbe caratterizzato il decennio successivo del cinema action. Parliamo ovviamente di The Raid – Redenzione, perfetto incontro fra tradizione orientale (il film fu prodotto e girato in Indonesia) e visione occidentale (è diretto dal gallese Gareth Evans). Evans, appassionato dell’arte marziale indonesiana Pencak Silat, confeziona un film che mette in risalto le impressionanti abilità fisiche dei suoi interpreti (Iko Uwais, Yayan Ruhian, Joe Taslim), ma lo fa con un occhio attento alle sfumature dell’azione. La sua macchina da presa segue con chiarezza cristallina le coreografie, i movimenti, gli impatti dei colpi (davvero devastanti). La regia è al servizio dell’azione perché la storia è al servizio dell’azione, e non viceversa.

Fasti furiosi

Contemporaneamente, la saga di Fast & Furious diventa grande. Sempre nel 2011, esce Fast & Furious 5, terzo episodio diretto da Justin Lin che, dopo aver preso le misure della saga con Tokyo Drift (praticamente uno spin-off) e aver riportato in scena il cast del primo film in Solo parti originali, trova la quadratura del cerchio con un action spionistico internazionale estremamente fisico, in cui contano tanto gli inseguimenti impossibili quanto le botte. Lin ha, come Evans, grande occhio per l’azione: tutti i trucchetti di montaggio dell’era MTV spariscono e lasciano il posto a una regia dritta come un fuso, che non fa mai confusione e detta legge per tutto il resto della saga. Soprattutto, Lin contribuisce a rimettere al centro gli stunt vecchia maniera. Certo, quella di Fast & Furious è una saga che adopera anche la CGI per le cose più improbabili, ma il gusto per gli stunt automobilistici ha un ruolo fondamentale nel DNA della serie (e va bene anche incollarci la faccia dell’attore al computer, basta che la macchina si schianti davvero).

Concetti portati all’estremo da quello che è forse (ma anche senza forse) il film d’azione più importante del decennio, Mad Max: Fury Road. A settant’anni suonati, George Miller se ne parte per la Namibia con una banda di pazzi e gira la fantasia action definitiva, con pochissima CGI (usata bene, per altro) e tanti stunt rischiosi, veicoli mostruosi costruiti per davvero, inventiva a ogni scena. Un altro traguardo che è servito a ricordarci come niente stupisca lo spettatore quanto un trucco fisico fatto come si deve.

Infine, come non citare quel maledetto pazzo di Tom Cruise, che ha fatto degli stunt sempre più ambiziosi, complessi e pericolosi, eseguiti di persona nella saga di Mission: Impossible, la sua cifra stilistica. Le scorciatoie non possono più esistere, in questo dojo.

Vecchi

Ci sono altre due coordinate che hanno contribuito al rilancio del genere. Da un lato i vecchi, dall’altro gli stuntmen passati alla regia. Partiamo dai primi, e in particolare da Liam Neeson con la sua terza vita da star action. L’idea che un veterano indurito da mille battaglie, in pensione da tempo, ritorni in azione per ragioni personali è stata lanciata dalla saga di Taken e poi ha preso il volo. Neeson l’ha sfruttata talmente tanto da essersi trasformato in una macchietta, quasi in una parodia di se stesso. Ma altri l’hanno raccolta e fatta loro. Improvvisamente, invecchiare non era più una cosa tanto brutta perché apriva la strada a una svolta di carriera inaspettata. Diversi attori hanno tentato di riciclarsi in questo senso (pensiamo a Sean Penn in The Gunman), ma solo uno ce l’ha fatta davvero come Neeson: Keanu Reeves. Dopo essere stato per decenni l’emblema della star di Hollywood che simula le arti marziali senza saperle, Reeves le ha studiate per davvero, ci si è messo d’impegno ed è rinato con la saga di John Wick. Ma se i primi due film puntano molto sul “Gun-fu”, quel certo modo di coreografare le sparatorie come fossero corpo a corpo di arti marziali, John Wick 3 va all in e incorpora definitivamente la lezione di The Raid. La prima mezzora è lo sbarco in Normandia dell’action americano contemporaneo, un incipit talmente pazzesco e inarrestabile da mettere in ombra il resto del (pur ottimo) film.

È la dimostrazione che la globalizzazione “ha fatto anche cose buone”: ci ha portato a stretto contatto con mondi un tempo distanti. Ora non c’è più differenza sostanziale tra action in senso lato ed action in senso marziale: le due cose sono entrate in rotta di collisione e, se vuoi fare dell’action come si deve, non puoi più contare sugli effetti visivi. E questo vale sia per gli attori (gente come Keanu Reeves e Bob Odenkirk oggi si devono sorbire un periodo di training pre-film) che per i registi. Ecco perché siamo entrati ne…

L’era degli stuntmen

Oggi se fai dell’action è meglio che tu sappia cosa significa metterlo in scena da tutti i punti di vista, specialmente quello delle persone che devono fisicamente prendersi a mazzate. Non è un caso che gli stuntmen diventati registi siano ora il bene più ricercato a Hollywood. È cominciato tutto con Chad Stahelski e David Leitch, registi del primo John Wick e veterani stuntmen e stunt coordinator. Dopo di loro sono arrivati Brian Smrz (Le ultime 24 ore) e Sam Hargrave (Tyler Rake). Quest’ultimo ha una lunga esperienza nel cinema di supereroi, specialmente nei film Marvel: è stato controfigura di Chris Evans in The Avengers e Captain America: The Winter Soldier, nonché stunt coordinator di Civil War e Avengers: Infinity War ed Endgame. Film in cui dominano i trucchi visivi, ma nei quali c’è spazio comunque per coreografie varie. Solo che, in questi casi, il divieto meno rigido (PG-13) fa sì che la violenza sia contenuta e l’impatto delle botte ridotto attraverso l’uso del montaggio. Un colpo non parte e raggiunge l’obbiettivo nella stessa inquadratura, ma viene spezzato in due in inquadrature spesso ravvicinate e “smorzate”. Possiamo quindi dire che, senza il divieto R, che permette di mostrare in maniera più esplicita la violenza – e senza il successo globale di titoli R come John Wick, ma anche i Deadpool – la rinascita dell’action sarebbe stata più faticosa.

Sempre più difficile

In un’epoca in cui il valore di un film d’azione coincide con la sua abilità di farti avvertire fisicamente il dolore delle mazzate che si danno sullo schermo, e in cui i trucchetti e le scorciatoie non hanno più senso, non è un caso che la massima espressione dell’azione siano i piani sequenza. Il piano sequenza porta all’estremo l’esigenza di dare ampio respiro a una coreografia e ai colpi anche quando, come nel caso di Atomica Bionda, non si tratta di un piano sequenza “vero”. I pionieri in questo sono stati Alfonso Cuarón e il direttore della fotografia Emmanuel Lubezki ne I figli degli uomini, con la loro rigorosa messa in scena della battaglia finale. Proprio quel piano sequenza costruito mettendone insieme digitalmente svariati più brevi ha aperto la strada alla vetrina definitiva dell’azione che, oggi, è spesso il piatto forte di un film (vedere anche Tyler Rake). Poco importa, dicevamo, che un piano sequenza non sia vero: perché ciò che conta è che le pezze digitali servano solo a unire sequenze e non a sistemarle furbescamente in post-produzione.

Non è vero che non sei nessuno

Veniamo dunque all’ultimo esempio della nuova era del cinema action. Io sono nessuno è scritto, come dicevamo, da Derek Kolstad, demiurgo della saga di John Wick fino al terzo capitolo. Il film è diretto dal russo Ilya Naishuller, che si è fatto conoscere con l’action in prima persona Hardcore!, esperimento di fusione tra cinema e videogame riuscito a metà, ma non per questo meno interessante. Naishuller qui si muove in territori meno sperimentali, in linea con quanto detto finora. C’è il vecchio veterano che ritorna in azione per motivi personali, c’è il gusto per le scene d’azione violente e fisiche, i corpo a corpo serrati e limpidi (si veda la scazzottata dentro l’autobus mostrata anche nei trailer), le sparatorie e le risse nei locali, ci sono i mafiosi russi iper-violenti. C’è tutto. Al centro, un attore con una formazione nella comicità e nella commedia che si mette in gioco (lo ha già fatto in Better Call Saul, ma qui parliamo di un livello molto diverso e ben più fisico) e lascia il segno.

Un po’ come fece Bruce Willis con Die Hard. E qui, se vogliamo, si chiude un cerchio aperto all’inizio del nostro articolo: Io sono nessuno incorpora tutti gli elementi dell’action moderno ma getta un ponte anche verso quello classico. Il finale, che non sveleremo, è legato all’immaginario western, in cui una manciata di uomini retti, non necessariamente dalla parte giusta della legge ma comunque mossi da un coerente codice d’onore, cercano di farsi giustizia a modo loro. Un ritorno alle origini messo in scena con gusto moderno. E questo, forse, è il segnale di tutte le vere rinascite.

Io sono nessuno arriverà nelle sale italiane il primo luglio, distribuito da Universal Pictures. QUI ne potete vedere il trailer.

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