domenica, 24 Novembre 2024
Dal 1 marzo sarà rivoluzione nei processi, soprattutto civili
Si dice che iniziare un nuovo cammino spaventi sempre ma che, dopo ogni passo che percorriamo, ci si renda conto di come fosse pericoloso rimanere fermi. Saggezza popolare, quasi divina.
La riforma Cartabia che dal 1° marzo stravolgerà i codici, civili, penali e – soprattutto – di procedura, sta mettendo in panico gli operatori di diritto, avvocati e giudici in primis, perché introduce repentinamente un cambiamento epocale che squassa le nostre certezze.
Quelle comode regole acquisite per osmosi in anni di professione e che ormai erano divenute automatiche per noi tutti, una sorta di riflesso incondizionato.
Immaginate che da domani riscrivano completamente il codice della strada disponendo la guida a sinistra, come gli inglesi, ribaltando le regola delle precedenze o dei sorpassi.
Roba da avere il timore anche solo di uscire dalla porta di casa e abbandonare l’auto sul ciglio della pubblica via per il timore di trovarsi in una rotonda e non sapere più cosa fare.
Nel diritto non siamo tanto distanti da questo paradosso e il disorientamento è giustificato.
Non cambia tutto, beninteso, ma cambia moltissimo.
Nell’ambito della famiglia, poi, la Riforma si è scatenata, a dir poco.
Non sto nemmeno a tediarvi su come cambia il processo di famiglia, praticamente ridisegnato ex novo, ma pongo l’attenzione su un aspetto non molto pubblicizzato ma dai riflessi memorabili: l’accorpamento di separazione e divorzio.
Avv. Daniela Missaglia
Come, come?
Sì, avete letto bene.
Siamo quindi al superamento di questa storica dicotomia?
Non proprio ma ci siamo talmente vicini che non escludo possa avvenire a brevissimo.
Sembrerebbe che il Ministro abbia autorizzato questa parte della Riforma senza però avere il coraggio di dare la definitiva stoccata affermando: “non sarò io ad abolire la separazione, qualcuno lo farà dopo di me”.
D’altra parte quando la via è tracciata, non si torna più indietro.
Non sono molti i Paesi al mondo che, come l’Italia, prima di decretare il divorzio, costringono i coniugi a passare attraverso le ‘forche caudine’ della separazione.
Dal 1970 – anno in cui fu introdotto il divorzio – è previsto un interstizio temporale tra la pronuncia della separazione, che non scinde il vincolo matrimoniale ma lo ‘allenta’, e il divorzio, che consente di riacquisire la libertà di stato civile.
Inizialmente erano cinque anni, poi tre anni, poi ridotti a uno (o sei mesi in caso di separazione consensuale): oggi c’è un tassello in più.
Tutt’altro che insignificante.
Dal 1° marzo sarà possibile, sia nelle ipotesi di procedimenti contenziosi, che consensuali, depositare con un solo atto introduttivo il giudizio per la separazione e il divorzio.
Se poi ci aggiungiamo le novità digitali del processo telematico, potremmo dire che una volta depositato il ricorso, il resto sarà automatico. Dunque, divorzieremo con un solo click. Con il solo effetto, in caso di giudiziale, che la domanda di divorzio rimarrà sospensivamente condizionata alla pronuncia della separazione.
In altre parole?
La Riforma elimina il doppio giudizio, con risparmio di tempi, costi, energie, attività processuali. Almeno questo è stato l’intendimento.
Gli avvocati lavoreranno di meno?
Non credo: quando due proprio non ci pensano a mettersi d’accordo, poco importa del contorno di regole processuali, rimarrà sempre quella che Alberto Sordi definirebbe ‘na guera’.
Eppure il cambiamento c’è, anche per il significato che assume questa contestualità processuale che travolge gli assetti precedenti, quelli che vietavano tassativamente gli accordi in vista del divorzio.
Accadeva infatti che se due coniugi, in separazione, avendo trovato un accordo complessivo, predisponevano le condizioni anche il futuro divorzio, la giurisprudenza le sanzionava con la tassativa nullità.
Un’ipocrisia bella e buona aggirata in svariate maniere che certo non vi svelo, ma pur sempre una di quelle cose che l’umana ragione faticava a comprendere.
Da domani non sarà più così o, quantomeno, non dovrebbe essere più così.
Perché quando un matrimonio finisce non ha senso fare il primo e il secondo tempo della partita, ancorandosi romanticamente all’idea utopica della riconciliazione nell’intervallo del match: tanto vale arrivare subito al ‘dolce’ e pagare il conto senza trascinare la sofferenza e moltiplicare giudizi e costi.
La soluzione adottata dalla Riforma Cartabia non è ancora abdicativa della separazione ma a quello tende e spiana la strada anche a un altro obiettivo futuro e futuribile: i patti prematrimoniali.
Già, perché se ci si indirizza verso il superamento del divieto a priori dei patti in vista del divorzio, ci si avvicina anche allo sdoganamento di questo interessante strumento che, in moltissimi Stati (soprattutto anglosassoni), consente ai futuri sposi di predeterminare ab origine le condizioni del divorzio.
Con buona pace delle infinite battaglie giudiziarie per qualche euro in più o in meno.
Si è detto tanto sulla necessità di de-giurisdizionalizzazione dei contenziosi (alleggerendo i Tribunali), ma questi patti rimangono tabù in Italia.
Ma non disperiamo: ormai li abbiamo nel mirino, si tratta solo di aspettare il momento propizio per premere il grilletto.
Pedetemptim direbbero i latini, un passo per volta e passa la paura.
Saggezza popolare, quasi divina.
Io intanto a partire dal 1 marzo, ho già pronto per il deposito il primo ricorso per separazione e divorzio.