lunedì, 25 Novembre 2024
Di scuola non si parla più, ma c’è ancora e ha tanto bisogno di cure
Come era prevedibile, è bastato che la scuola inanellasse 30 giorni e poco più di frequenza senza lockdown generalizzati dai primi giorni di settembre per sparire dalle priorità della politica e dalle pagine dei giornali. L’istruzione è un tema di cui tutta la politica si riempie la bocca a orologeria, la sua importanza fa pronunciare frasi ad effetto e permette di comporre tweet di successo per decisionismo e impatto emotivo, così come ogni fatto drammatico – dal bullismo al crollo di un soffitto – ogni emergenza sostenuta sempre da un diluvio di dati statistici, ogni scandalo porta la scuola alla ribalta dei notiziari perché è un sicuro argomento acchiappa-click.
Povera scuola italiana a trovarsi in queste condizioni di argomento sfruttato, strattonato, mai trattato nella sua complessità, amplificato e semplificato insieme!
La scuola dovrebbe invece avere un’attenzione mediatica ricorrente per essere oggetto di inchieste approfondite e non scandalistiche, colte e non sbrigative, sempre ridotte a qualche dato sullo stipendio dei docenti o sull’indice di analfabetismo funzionale appena aggiornato che vede “i nostri studenti agli ultimi posti…”. Servono reportage che ricerchino le cause profonde di questi disastri e portino a interpellarsi sullo stato di salute della nostra istruzione, su come e su quanto si stia seminando e disperdendo dei saperi millenari e di quelli attuali, con l’obiettivo di coinvolgere tutti, per mettere in luce cosa va e cosa no, per denunciare il dramma della lettura che muore, o dello studio che non è più ricerca, o della lezione frontale che da qualche anno passa per il male assoluto, picconando mortalmente così il concetto di maestro, magnifico termine dal latino magis, “di più”, per cui il magister è colui che sa di più di un determinato argomento e che è quindi arricchente ascoltare.
La scuola ha bisogno di attenzione politica costante, perchè la scuola è di tutti e tutti riguarda, perchè la scuola è politica nel senso più nobile, è la costruzione del vivere insieme, è la base della società futura ma – attenzione! – anche lo specchio di quella presente.
Invece non è così, perchè la scuola ha bisogno di tempo e lungimiranza, due parole molto poco affascinanti per la politica dell’urlo e per il titolo a caratteri cubitali. Eppure ne ha bisogno nella sua struttura globale, perchè il sistema scolastico non si cambia con l’avvicendarsi di un ministro, ma con un’azione culturale meditata e consapevole che coinvolga cultura, politica, economia e scienza per comprendere quale bagaglio di saperi garantire ai nostri ragazzi affinché possano crescere e conoscere, non solo per trovare lavoro, ma per vivere pienamente, vale a dire per imboccare la strada del “pieno sviluppo della persona”, citando l’articolo 3 della nostra Costituzione. Senza lungimiranza assisteremo all’ennesimo dibattito sull’utilità del latino e del liceo classico, per non parlare dell’importanza dell’economia e dell’inglese. Chi non ritiene l’inglese importante nel 2021? Ma “il giorno della fine non ti servirà l’inglese”, cantava Franco Battiato, e la scuola potrebbe ripartire anche da questa provocazione.
Tempo e lungimiranza per ripensare il sistema, ma anche elementi necessari da accordare nelle singole aule, una per una. Il rientro dopo un anno e mezzo tormentato presenta in ogni gruppo classe situazioni drammatiche: livelli di conoscenza eterogenei e al ribasso, fragilità emotive, didattiche e relazionali di cui occorre tenere conto, disabitudine alle prove di verifica in classe e più in generale alla scrittura a mano e alla riflessione con il capo sul foglio bianco. La situazione è questa ed entrare in aula per portare avanti il programma è inutile, dannoso e talvolta nemmeno possibile.
La scuola non ha fretta, a differenza del mondo in cui in questi anni è immersa, e non deve averne per sembrare al passo coi tempi: sembra sempre un difetto, ora diventi un pregio. Il tempo lento della scuola consenta di gestire piani di recupero concreti, senza che diventino labirinti burocratici ma che vadano al cuore della questione, vale a dire in primo luogo alle lacune e alle fragilità da colmare. Serviranno due anni per riprendere un argomento decisivo come un processo matematico basilare o l’approccio a un testo da tradurre? Si trovino, il tempo c’è. I dipartimenti disciplinari di ogni isituto tornino -inizino, se fosse il caso! – a trattare tematiche profonde come la trasmissione di saperi e di cultura, senza dovere sempre rispondere a ordini del giorno in cui si trovano solo burocrazia, timori, adempimenti formali, conticini e non c’è mai spazio per la passione, per lo studio, per la trasmissione, per la bellezza.