Dolore cronico, nuove frontiere di cura con l’IA e nuove molecole

Contro il dolore cronico, considerato un problema di salute globale con un impatto significativo sia a livello individuale sia economico, si aprono nuove frontiere di cura grazie all’Intelligenza artificiale (IA) e sostanze innovative. Lo sottolinea Carla Ghelardini, del Dipartimento di Neuroscienze Psicologia Area del Farmaco e Salute del Bambino dell’Università di Firenze, coordinatrice del del gruppo di studio sul dolore della Società italiana di farmacologia (Sif).

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa il 20% della popolazione mondiale soffre di dolore cronico, con una stima di 1,5 miliardi di persone affette a livello globale. In Europa, il dolore cronico riguarda circa il 19% della popolazione adulta, mentre in Italia si stima che oltre 10 milioni di persone ne soffrano, con un impatto diretto sulla qualità della vita e una perdita economica stimata in circa 30 miliardi di euro l’anno, tra costi sanitari e perdita di produttività. Il dolore cronico, che può essere il risultato di condizioni come l’artrite, le neuropatie, le malattie autoimmuni o traumi pregressi, “rappresenta una delle sfide più difficili della medicina contemporanea. Le terapie tradizionali, seppur utili, non sempre sono in grado di offrire sollievo duraturo e presentano effetti collaterali significativi.

È in questo contesto che l’IA emerge come una risorsa fondamentale per migliorare la diagnosi, il trattamento e la gestione del dolore cronico”, spiega l’esperta. Infatti uno degli sviluppi più innovativi riguarda l’uso dell’IA per analizzare enormi quantità di dati provenienti da cartelle cliniche, dispositivi indossabili e sensori, permettendo una diagnosi più rapida e accurata. Algoritmi avanzati sono in grado di riconoscere schemi e correlazioni invisibili agli occhi dei medici, migliorando così la precisione diagnostica e aiutando a identificare la causa sottostante del dolore. “Grazie all’analisi dei dati e al machine learning, l’IA consente anche lo sviluppo di trattamenti personalizzati, in considerazione della specificità del dolore e della risposta del corpo a diverse terapie”, aggiunge Ghelardini.

“Ciò che risulta molto interessante è poi lo studio di nuove molecole in grado di contrastare lo sviluppo di tolleranza agli oppioidi. Uno dei fronti più promettenti – spiega l’esperta – è l’uso combinato di Pea, sostanza lipidica prodotta dall’organismo, e presente in vari alimenti sia di origine animale che vegetale. Abbiamo scoperto, ormai qualche anno fa, che l’aggiunta di Pea in forma ultramicronizzata ritarda lo sviluppo di tolleranza a vari oppioidi, come la morfina, l’ossicodone e il tramadolo. Non solo, ma potenzia l’effetto antalgico degli oppioidi in condizioni di dolore neuropatico e contrasta, anche quando usata come unico intervento, il dolore cronico associato a neuropatia da chemioterapico.

Si tratta di una sostanza capace di coadiuvare l’effetto di vari farmaci usati per il dolore cronico (non solo oppioidi), come il paracetamolo, i gabapentinoidie i classici Fans. Inoltre, è l’unica forma di Pea con provata capacità di raggiungere le “centrali del dolore” (midollo spinale e cervello) e l’unica a disporre di solidi dati di sicurezza e tollerabilità”.

Quanto alle cause del disturbo, “la neuroinfiammazione è una delle principali – chiarisce Ghelardini – Quando il sistema nervoso centrale viene attivato da uno stimolo doloroso o da una patologia cronica, si innesca una risposta infiammatoria che può diventare persistente e autoalimentarsi. Questo processo, noto come neuroinfiammazione, è spesso alla base di dolori di lunga durata, come quelli legati a malattie neurodegenerative, neuropatie e artriti.” In questo contesto, conclude, “la Pea ultramicronizzata si rivela estremamente utile. Agisce come modulatore dell’infiammazione, riducendo la neuroinfiammazione senza alterare il normale funzionamento del sistema nervoso, e questo meccanismo d’azione la rende una soluzione per trattare il dolore cronico”.
   

Riproduzione riservata © Copyright ANSA

Leggi su ansa.it