martedì, 4 Febbraio 2025
È giunto il momento di parlare di Ted Lasso
Ci sono serie che colgono immediatamente lo Zeitgeist e, per questo, finiscono sulla bocca di tutti, registrano ascolti clamorosi ed entrano nel lessico comune. Ci sono altre serie che, invece, faticano un po’ di più a diventare popolari come meriterebbero.
È il caso di Ted Lasso, una serie che la critica ha subito notato (è candidata a venti Emmy Awards, per dire), ma che il grosso del pubblico ancora non conosce a dovere. Una prima spiegazione potrebbe risiedere nella piattaforma che lo distribuisce: Apple TV+ sta facendo i salti mortali per entrare nell’arena dei “grandi”, ma ha una libreria di contenuti troppo ridotta per attirare un numero degno di iscritti, almeno per ora. Eppure tra quei pochi contenuti ce ne sono di buon livello, e altri, come Ted Lasso, persino di livello ottimo.
Ted Lasso è il parto di Jason Sudeikis, Bill Lawrence, Brendan Hunt e Joe Kelly. Quest’ultimo viene dal Saturday Night Live, Lawrence è il creatore di Scrubs e Hunt un attore (che qui interpreta Coach Beard) alla sua prima esperienza importante come autore. Sudeikis non ha bisogno di tante presentazioni. La star di Come ammazzare il capo… e vivere felici, Come ti spaccio la famiglia e Colossal ha già dimostrato di saper gestire sia la commedia brillante che ruoli più drammatici, ma senza mai far parlare di sé come di chissà quale interprete raffinato.
È dunque appropriato che sia lui a interpretare Ted Lasso, coach del football americano che viene improvvisamente trascinato nel mondo del football inglese, anche noto come calcio (ne avrete sentito parlare). Ted è un americano di quelli rustici, proviene dal Kansas e si porta dietro un accento molto forte, che in terra d’Albione lo fa immediatamente percepire come un bifolco. Di conseguenza tutti sottovalutano Ted, che invece è brillante e schietto e incredibilmente empatico. Eppure i suoi collaudatissimi metodi di allenamento faticheranno non poco ad adattarsi a uno sport, e a una società, ben diversi.
Diciamocelo: Ted Lasso inizia un po’ come Major League. C’è la nuova proprietaria di una squadra che assume un coach sulla carta incapace per far fallire il team per ragioni personali. Le somiglianze, però, si fermano qui. Da un lato perché la Rebecca Welton di Hannah Waddingham non è una caricatura maschilista ma un personaggio a tutto tondo. Dall’altro perché Ted Lasso è, come il suo protagonista, una serie molto più complessa e intelligente di quanto appare. Vedendo la prima stagione potreste rimanere stupiti di quanto poco l’AFC Richmond riesca a vincere e quanto spesso invece perda. Ma verso la fine appare evidente come la serie giochi una partita a lungo termine: il riscatto della squadra e di tutti i personaggi che ci girano intorno avverrà, certamente, perché Ted Lasso è una serie feel-good e finirà bene. Ma lo farà con i suoi tempi.
Ted Lasso si prende tutto il tempo necessario per approfondire i rapporti tra i “giocatori” (non solo quelli veri e propri, ma tutti i personaggi “in campo”. Ok la smetto), esplorarne tutte le facciate e definirne a poco a poco la personalità, senza mai scadere nella banalità. Emergono, episodio dopo episodio, psicologie complesse e caratteri irresistibili. Vi ritroverete a fare il tifo (ho detto che avrei smesso, ma è più forte di me) per l’ex campione Roy Kent (Brett Goldstein, che, nonostante abbia la faccia da perfetto calciatore cresciuto nei quartieri difficili di Londra, è anche story editor e sceneggiatore), per l’addetta al marketing Keeley Jones (una Juno Temple in forma smagliante), per il custode insicuro diventato assistente coach Nathan Shelley (Nick Mohammed), per l’insospettabilmente saggio Coach Beard.
Al centro di questa ragnatela di empatia c’è lui, Ted Lasso. Uno che la mattina si sveglia presto per fare i biscotti per il suo boss Rebecca, che ha una buona parola per tutti e sa come tenere alto il morale della squadra e dei suoi aiutanti. Ted è un entusiasta, forse anche troppo. Forse, a volte, nasconde dietro a questa attitudine positiva lo stress di un matrimonio in crisi e della separazione dal figlio.
Ho già scritto molto, ma mi rendo conto che descrivere Ted Lasso è più difficile del previsto. Arrivati a questo punto potreste pensare che sia la classica dramedy in cui i buoni sentimenti nascondono una sofferenza di fondo. O, in alternativa, una serie zuccherosa quasi all’eccesso. La cosa incredibile è che Ted Lasso è tutto questo senza mai esserlo davvero, in senso buono. È un caldo abbraccio che fa stare bene eppure non è banale né consolatoria. Vive su un equilibrio perfetto tra tutti questi elementi.
Una cosa è certa: Ted Lasso non è una serie sportiva, né tantomeno sul calcio. Tant’è vero che le partite non vengono quasi mai mostrate, anzi la regia le salta allegramente per passare al dopo. Ted Lasso è una serie con una innegabile sensibilità europea, per come usa liberamente il linguaggio (volgare) e sovverte gli stereotipi di genere e classe sociale. Eppure è fondamentalmente americana per come tratta il tema delle seconde opportunità e del riscatto umano e professionale. Ted Lasso è tante cose insieme ed è una cosa sola: una serie che vi lascerà con il sorriso e la sensazione di aver appena fatto un viaggio in aereo in prima classe, con colazione e pranzo offerti, un comodo sedile reclinabile e drink a rotazione. E, visto che sono riuscito a concludere con una metafora non calcistica, non aggiungo altro.