martedì, 26 Novembre 2024
E se Ridley Scott in fondo avesse ragione?
La polemica tra la vecchia guardia di Hollywood, i rappresentati di quel cinema che ha saputo coniugare autorialità con la volontà di portare avanti tematiche profonde e mai banali, contro l’universo dei cinecomic creati dalla Marvel e DC, non accenna a volersi placare, coinvolgendo nomi sempre più importanti. Dopo Scorsese, Coppola, Bong Joon-ho, Ken Loach, Lucrecia Martel, David Cronenberg, Innaritu, alla lista si è aggiunto anche Ridley Scott. Come da sempre nel suo stile, il grande regista britannico non è andato tanto per il sottile, prendendosela un po’ con tutti, dal pubblico, alle case di produzione, fino a definire i film del MCU noiosi e con storie a dir poco malfatte. Ma quanto c’è di vero in queste cose, e quanto invece nasconde l’incapacità di vedere il cambiamento inevitabile insito nella nostra narrazione, di cui anche loro in passato sono stati in realtà protagonisti?
Un pubblico tutto nuovo
The Last Duel è stato un fiasco commerciale. West Side Story di Spielberg forse prenderà diversi premi Oscar ma anche in questo caso il botteghino è stato avaro, lo stesso dicasi per Il Potere del Cane e tanti altri film creati dai grandi cineasti di riferimento. Dune è andato meglio ma perché come House of Gucci, si è aggrappato agli idoli della nuova generazione.
Inutile girarci attorno, pandemia o non pandemia, il cinema è cambiato profondamente in questi anni. Sicuramente un primo dato di fatto che un certo numero di cineasti deve comprendere, è quello che l’età media dello spettatore statunitense, quello che assieme ad altri forma il mercato più importante del mondo assieme a quello cinese (al momento ancora impermeabile dall’esterno), è diminuita molto.
Di base oggi i film che incassano di più, sono quelli che si rivolgono ad un pubblico under 25, che poi rappresenta il motivo per cui si hanno sempre meno film pg 13 tra i top dell’incasso.
Non occorre essere esperti di anagrafica per capire che si sta parlando soprattutto della generazione Z, di quella nata a ridosso o successivamente l’anno 2000.
Si tratta di un universo completamente staccato dalla generazione millennial e da quelle precedenti, perché cresciuto con altri mezzi di comunicazione, con un’altra narrativa, tecnologia, soprattutto con una dimensione della narrazione, incredibilmente più veloce, discontinua e variegata.
Di base non sono molto rivolti al passato, non ne indagano nessun frangente e sono meno curiosi di quanto fossero i loro coetanei, anche per una maggior aggressione da parte dei media nei loro confronti.
Il mondo digitale ha fatto sì che oggi il pubblico possa scegliere liberamente tra una quantità di prodotti di intrattenimento incredibilmente più numerosi, benché molto spesso qualitativamente non così memorabili. La fruizione tecnologica, sempre più connessa al mondo videoludico, ha avuto come risultato quello di far sì che ad oggi, le parole d’ordine siano immediatezza, velocità, connettività e facilità di comprensione.
Se pensiamo alla realtà di social come YouTube, TikTok, Instagram o Facebook, è facile capire quanto siano abituati ad uno storytelling facilmente comprensibile, veloce ma soprattutto molto semplificato.
Scusa Martin, ma i cinecomic sono cinema
Di fronte a tutto questo, davvero dobbiamo sorprenderci che il loro ragazzo totem, il simbolo cinematografico per eccellenza di questa generazione com’è Tom Holland, non sappia chi è un regista straordinariamente importante come Pedro Almodovar? No. Tutto è perfettamente coerente con una cesura totale dal punto di vista culturale che separa gli ultimi 20 anni dal resto. Martin Scorsese aveva criticato in passato i cinecomic, dicendo che neppure sono cinema. Il che è semplicemente sbagliato, dal momento che per fare film come Spider-Man: No Way Home e simili, vi è dietro un lavoro assolutamente incredibile dal punto di vista tecnologico e anche artistico, che coinvolge centinaia di persone anche solo per la parte visiva o sonora. Per non parlare dello sforzo produttivo, dell’incredibile organizzazione che serve per creare un universo cinematografico in cui ogni mossa narrativa è studiata con anni ed anni di anticipo. No, i cinecomic sono cinema eccome, sono la versione upgrade di ciò che furono i western o i peplum della Hollywood che fu, di cui ricordiamo oggi i grandi capolavori, ma ci scordiamo di quanto avessero ad un certo punto saturato semplicemente il mercato con titoli di ogni tipo, il che poi ne decretò anche il declino. Al netto del successo incredibile al botteghino di Spider-Man (un film transgenerazionale su un eroe transgenerazionale si badi bene) sicuramente anche i cinecomic cambieranno formula per non andare incontro allo stesso problema. Già sta accadendo con il proliferare delle serie TV e la riduzione dei titoli sul grande schermo, ma non è detto che gli riesca di prolungare l’onda del successo, per il semplice fatto che l’industria dell’intrattenimento americana, storicamente consuma ogni cosa fino all’osso. Successe con i già citati western e peplum, con i film di arti marziali e il cyberpunk, capitò con le boy band e il glam rock.
Un universo cinematografico basato sulla ripetizione
Filtrandone l’animosità, molte delle critiche mosse da Scott ed altri cineasti non sono però così campate in aria, quando sottolineano il fatto che ad oggi, al cinema, qualsiasi altro prodotto di intrattenimento (non solo di cinema autoriale) si trovi in enorme difficoltà.
Il problema è semplice: il pubblico di riferimento under 25 concepisce questo universo come solamente quello dei cinecomic, perché solo quello ha conosciuto da quando è andato al cinema.
Ridley Scott li ha definiti noiosi. L’etimologia della parola è connessa al concetto di odio in latino, quindi forse non la più adatta. Tuttavia bisogna essere freddamente onesti, ed ammettere che la scarsa variazione a livello tematico e di atmosfere (pensiamo a quante critiche si è preso Snyder per non fare cinecomic “divertenti” come quelli della Marvel), abbiano reso il pubblico incredibilmente refrattario ad ogni altro tipo di proposta. Se guardiamo la realtà dei fatti, vediamo che solo Fast & Furious e i film di The Rock hanno retto in tutti questi anni il confronto, ed anche in questo caso parliamo di universi cinematografici basati sull’eterna ripetizione e riproposizione, che hanno di gran lunga soppiantato il concetto di creatività.
Spider-Man ha celebrato i tre diversi interpreti e le tre diverse saghe che lo hanno rappresentato in questo ventunesimo secolo: ripetizione e riproposizione appunto.
Queste sono due parole d’ordine anche nel mondo digitale con cui under 25 sono cresciuti, naturale che vi si trovino bene, che ci si riconoscano, e che poi è stato in fin dei conti il grande tema su cui Lana Wachowski ha costruito il suo ultimo Matrix: la morte della narrazione come creatività.
Demonizzare i cinecomic è sbagliato, ma non riconoscere che vi è un enorme problema qualitativo e di varietà nel cinema di intrattenimento, che si è cresciuto un pubblico monocorde, poco curioso e poco flessibile, ed anche molto meno cinefilo rispetto al passato, significa nascondere la testa sotto la sabbia.
Ad oggi la fantasia sul grande schermo vive un pessimo stato di salute, è limitata al semplice impatto visivo di un genere cinematografico, che continua a dominare senza neanche curarsi troppo di cambiare maschera o faccia.