«Ecco chi è Pasquale Bonavota, uno dei 4 super latitanti d’Italia»

Nel nostro paese esiste un apposito elenco contenente tutti i nomi dei latitanti di massima pericolosità: si tratta cioè, a mente dell’art. 296 del Codice di procedura penale, di chi “volontariamente si sottrae alla custodia cautelare, agli arresti domiciliari, al divieto di espatrio all’obbligo di dimore o ad un ordine in cui si dispone la carcerazione”. Quest’elenco viene materialmente predisposto dal Gruppo integrato interforze per la ricerca dei latitanti, istituito presso la Direzione centrale della polizia criminale nell’ambito del Programma speciale di ricerca: è il criterio della maggiore pericolosità quello utilizzato per la relativa iscrizione. Gli estremi del latitante (fotografia segnaletica, indicativo nominale, precedenti giudiziari, anno di inizio della latitanza) corredano il curriculum della persona iscritta sin dal 1992, anno in cui la disciplina ha avuto inizio. In realtà, accanto alla lista principale con i trenta latitanti più pericolosi, ne esiste un’altra nella quale sono inseriti altri cento latitanti: una sorta di serie B, contenente quelli considerati meno pericolosi. Lo spirito della disciplina è anche quello di coinvolgere la società civile a farsi parte diligente e segnalare persone sospette o veri latitanti: infatti si legge che “l’iniziativa è volta a stimolare lo spirito di collaborazione della collettività con le Forze di Polizia nel settore della ricerca di pericolosi malviventi”.

Si tratta, dunque, di latitanti caratterizzati dalla massima pericolosità e facenti capo ad ognuna delle tradizionali mafie italiane (anonima sarda, mafia, camorra e ‘ndrangheta), meritevoli, perciò, di essere inseriti nel Programma speciale di ricerca. Come detto la decisione di inserire un latitante in questo particolare elenco viene assunta dal Gruppo Integrato Interforze per la ricerca dei latitanti che risulta istituito presso la Direzione Centrale della Polizia Criminale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza: la struttura ha il compito istituzionale di analizzare il complesso informativo fornito dalle forze dell’ordine (Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza) dalla Direzione investigativa antimafia, dall’Agenzia informazioni e sicurezza interna e da quella esterna e di valutare tutte le decisioni inerenti i latitanti in base al rispettivo profilo criminale.

Proprio sul tema dei latitanti abbiamo sentito Marisa Manzini, sostituto procuratore generale presso la Corte di Appello di Catanzaro, per anni magistrato inquirente alla Direzione distrettuale antimafia del capoluogo calabrese, che ben conosce il profilo criminale proprio del latitante Pasquale Bonavota, per averlo indagato.

Dottoressa Manzini, lei si è imbattuta in Pasquale Bonavota, oggi nell’elenco dei primi quattro latitanti più pericolosi.

«Ho conosciuto la cosca dei Bonavota appena fatto ingresso nella Distrettuale antimafia, allorquando la provincia divenne il centro di una sanguinosa faida tra le famiglie dei Bonavota di Sant’Onofrio e i Petrolo-Bartalotta di Stafanaconi, due piccoli comuni confinanti della provincia di Vibo Valentia: addirittura il secondo comune in quegli anni venne ribattezzato la “Corleone calabrese” per la violenza degli episodi, e il giovane Pasquale Bonavota, benché minorenne, era già parte attiva della cosca familiare tanto da essere destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per partecipazione ad associazione mafiosa».

Pasquale Bonavota era più che un bambino nel giorno della strage dell’Epifania.

«Il 6 gennaio del 1991 un commando aprì il fuoco all’impazzata nella piazza principale di Sant’Onofrio: pistole e kalasnikov fecero irruzione nella piazza antistante la chiesa di Maria Santissima delle Grazie lasciando a terra 2 morti e 11 feriti: tredici innocenti. Quest’episodio avrà sicuramente segnato l’infanzia del piccolo Pasquale, cresciuto poi in una famiglia chiamata a vendicare l’assalto al proprio territorio».

In quest’elenco compare al fianco di criminali incalliti: tra l’altro è il più giovane.

«Non ha ancora compiuto 50 anni: lo ricordo come una persona che assommava le due facce criminale: quella di ‘ndranghetista vecchia maniera, cresciuto all’interno di un clan che aveva fatto della dinamica violenta il leit motiv della propria vita, e quella del rampollo intenzionato ad estendere la propria presenza ben al di fuori dei limiti territoriali del suo comune. Le cronache lo rintracciano infatti a Carmagnola, nel torinese, dove il clan poteva contare su numerosi accoliti, e a Roma».

Nella capitale dicono che la ‘ndrangheta comandi il mercato della droga…

«E infatti Pasquale Bonavota investe, a Roma, ingenti quantitativi di denaro per acquistare numerose attività commerciali diventate, nel tempo, vere piazze di spaccio, aprendo anche la via all’interessante e lucroso affare dei videogiochi, al punto da risultare, dalle indagini, titolare di una società intenzionata a investire in questo mercato che era all’inizio dello sfruttamento criminale».

Lei immaginava di ritrovarselo, anni dopo, in questo elenco?

«Ricordo bene che ogni qualvolta ci siamo confrontati per motivi di giustizia, avesse sempre mantenuto un atteggiamento formalmente corretto (non ha mai dato in escandescenza nel corso degli interrogatori cui lo sottoposi): sicuramente si capiva che il suo crescente profilo criminale si fondava su un carisma molto marcato, ereditato sicuramente dal padre Vincenzo, ucciso nel 1997, e dalla circostanza di essersi trovato da bambino al centro di una guerra di ‘ndrangheta».

Un profilo criminale montante, dunque…

«Assolutamente, grazie ad una folta rete di contatti in tutt’Italia e, soprattutto, ai lasciti paterni, materiali e di conoscenze: a Roma, ad esempio, era sodale di un certo Angiolino Servello, suo conterraneo, che aveva stretto rapporti di con la famiglia dei Casamonica».

Matteo Messina Denaro si nascondeva a Palermo: Bonavota è in Calabria?

«La sua è una doppia latitanza: di recente gli si è anche sommato l’essersi sottratto al blitz “Rinascita Scott” del 19 dicembre 2019. Se partiamo dal presupposto che egli fosse già poco presente in Calabria, ne dovremmo dedurre che forse andrebbe ricercato altrove: certo, non possiamo dimenticare che nel vibonese è rimasta la sua famiglia, il suo legame di sangue che per la ‘ndrangheta è un valore indissolubile. Ma c’è un altro aspetto da ricordare».

Quale?

«Che a differenza degli altri tre dell’elenco in cui è inserito, per Pasquale Bonavota, ad oggi, le condanne più pesanti (ovvero all’ergastolo) non sono definitive. La Cassazione e la Corte d’appello hanno infatti annullato le sentenze di condanna a suo carico».

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Marisa Manzini (Novara, 1962) è Sostituto procuratore generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro: è stata procuratore aggiunto di Cosenza, sostituto procuratore presso la Procura distrettuale di Catanzaro e sostituto procuratore a Lamezia Terme. Si è occupata per diversi anni della criminalità organizzata presente sul circondario della Procura di Vibo Valentia. È specializzata in Criminologia clinica con indirizzo socio-psicologico; si è occupata della direzione del comitato scientifico nel corso di Alta Formazione sulle Politiche di contrasto alla mafia – Analisi delle mafie e delle strategie di contrasto organizzato dalla Fondazione dell’Università Magna Graecia di Catanzaro. Già consulente della Commissione parlamentare antimafia in Roma, ha pubblicato Fai silenzio ca parrasti assai (Rubbettino, 2018) e Donne custodi. Donne combattenti. La signoria della ‘ndrangheta su territori e persone (Rubbettino 2022).

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