El Jeiroudi, dalla Siria a Berlino la mia vita da rifugiata

(ANSA) – VENEZIA, 07 SET – Un film che inizia senza immagini, “perché non ci sono immagini per quello che ho visto”. Anni ’80,
Baghdad, “compio 7 anni, mio padre mi regala una fotocamera.
    Questo è il mio punto di vista”: comincia così il racconto di
Diana El Jeiroudi, 44 anni, regista indipendente siriana,
trasferita da anni a Berlino, co-fondatrice del festival del
documentario in Siria, a Cannes 2014 prima siriana ad essere
giurata (per il Documentary Film Award). A Venezia 78 porta il
suo film e se stessa, “perché cinema e vita mai come in questo
caso coincidono”, dice all’ANSA.
    Republic of Silence è un’opera monumentale, oltre tre ore,
qui Fuori concorso, cui ha lavorato per dodici anni. Si sentono
parlare tante lingue, inglese, arabo, curdo, tedesco in un
affresco epico del mondo intorno a lei, dei suoi ricordi, della
condizione del suo paese, della sua vita quotidiana, delle sue
amicizie, con momenti molto struggenti. Un film sull’essere ‘rifugiati’ e un documento sul conforto del cinema in una vita
così. Un film terapeutico? “Tutto il cinema lo è, qui c’è la mia
prospettiva. Essere rifugiati può sembrare persino un’etichetta,
una scritta per completare il biglietto da visita, ti mette
subito in relazione con gli altri”.
    Republic of Silence è una sorta di diario, “ho scritto il
film sui miei ricordi, sulla situazione che avevo intorno, sulla
mia vita oggi, ma poi gli eventi cambiavano tutto”. Quando i
talebani poco meno di un mese fa hanno ripreso il potere in
Afghanistan cosa ha pensato? “Ho provato una grande tristezza,
l’uscita degli stranieri ha dato loro licenza di uccidere”.
    (ANSA).
   

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