Elezioni Calabria: riecco Mario Oliverio, politico per tutte le stagioni.

L’ex presidente della Regione Calabria e potente esponente della sinistra regionale, dopo aver ufficializzato la sua discesa in campo, non risparmia bordate ai maggiorenti del partito democratico, da Francesco Boccia, responsabile autonomie territoriali ed enti locali della segreteria nazionale («Solo un colloquio telefonico, una comunicazione burocratica, senza possibilità di esprimere valutazioni e punti di vista»), al segretario nazionale Enrico Letta: («si sarebbe dovuto esporre più direttamente e non nascondersi dietro un commissario regionale»). E ancora: «Gli avevo scritto, non mi ha mai risposto».

Gerardo Mario Oliverio, classe 1953, è tra i più longevi amministratori pubblici calabresi, per aver esordito giovanissimo, a metà degli anni Settanta, nei movimenti studenteschi e in quelli a sostegno delle lotte politiche in difesa del lavoro e dello sviluppo della Sila, il grande altopiano posto nel cuore esatto della Calabria, da dove proviene, dopo essere stato eletto a soli 27 anni consigliere regionale nelle liste del Pci. Nel 1985 è già il primo degli eletti nel Consiglio Regionale, tanto da meritarsi l’assessorato all’agricoltura all’interno della prima giunta tutta “rossa” della regione Calabria, presieduta dal socialista Francesco Principe. Veramente lunga la carriera politica del presidente emerito della Regione Calabria, che dà il benvenuto a Panorama.it dalla sua abitazione di San Giovanni in Fiore, il cuore storico e religioso del grande altopiano: «Siete la prima testata nazionale con cui parlo, prova che l’effervescente situazione politica regionale inizia ad entrare nell’agenda della stampa nazionale. La mia decisione di partecipare alle elezioni di ottobre è scaturita dopo pressanti richieste di amici della prima ora, di numerosi circoli politici e di quanti mi avevano chiesto di non abbandonare la Calabria nelle mani di gruppi avulsi da ogni forma di partecipazione politica, tanto a destra quanto a sinistra».

Al giro di boa degli anni Novanta, Oliverio, scherzosamente appellato “Palla Palla” dal singolare nome di una frazione del popoloso centro in cui è nato, conquista il suo comune, da sempre a sinistra, da guadagnarsi l’appellativo di “Stalingrado di Calabria”. Ma siamo solo agli inizi: dal 1992 al 2006 viene eletto ininterrottamente alla Camera, posizione di potere che gli permette di divenire il più influente politico d’area della regione, contribuendo persino alla rielezione, a sindaco della città di Cosenza, di Giacomo Mancini, il “leone socialista”. Dal 2004 e per dieci anni ricopre il ruolo di presidente della provincia brutia, trampolino per affermarsi alle primarie del centro-sinistra in vista delle regionali del 2014 che vince, ovviamente, a mani basse, sconfiggendo il centro-destra naufragato definitivamente attorno alla controversa figura di Giuseppe Scopelliti e dei suoi guai giudiziari. Indagini, queste ultime, che inizieranno a bussare anche alla sua porta alla fine del 2018, con la forza di un tornado: all’alba del 16 dicembre viene arrestato dal Gip distrettuale di Catanzaro, su richiesta della Dda diretta da Nicola Gratteri, nell’ambito dell’imponente operazione “Lande desolate”, per la quale scatterà, per lui, l’obbligo di dimora nella sua città, tra le montagne e la neve silane. Per l’accusa avrebbe, addirittura, garantito un finanziamento da 4,2 milioni di euro a una ditta contigua alla famigerata cosca Muto di Cetraro, per realizzare l’ammodernamento del complesso sciistico di Lorica, ed avviare a conclusione l’aviosuperficie di Scalea, sempre nel cosentino, un improbabile aeroporto costato 27 miliardi di lire e mai aperto al traffico civile. Sono giorni terribili anche per il “lupo della Sila” che però incassa il 20 marzo successivo, dalla Cassazione, l’annullamento dell’obbligo di dimora, che lo scagiona, in pratica, dalle terribili accuse: tanto da essere assolto, lo scorso 4 gennaio, dalle accuse di da corruzione e abuso d’ufficio con la formula “perché il fatto non sussiste”. Tutto finito? Il 2019, il suo annus horribilis, lo vede al centro di una nuova inchiesta della Procura di Catanzaro che apre un fascicolo per una presunta ipotesi di peculato a seguito di un finanziamento destinato a valorizzare le bellezze paesaggistico-culturali della Calabria, trasformatosi, a detta dell’accusa, in una “personale promozione politica”. La vicenda gli venne contestata durante un talk show coordinato dal giornalista Paolo Mieli nel corso del celebre “Festival dei due mondi” di Spoleto. Anche questo filone d’inchiesta, per il quale Oliverio si è detto «convinto di poter dimostrare l’estraneità ai fatti contestati», non lo ha fermato nella nuova discesa in campo, e a Panorama.it ha raccontato cosa l’abbia spinto ad essere nuovamente al centro dell’agone politico. E così, all’ombra del culto dell’abate Gioacchino da Fiore (tanto caro a Dante da inserirlo nel canto XII del Paradiso tra la schiera dei beati sapienti, ovvero li odierni dottori della Chiesa) le risposte sono state sorprendenti…

Onorevole, lei è recidivo. Aveva “minacciato” di ricandidarsi e l’ha fatto…

«Intanto la mia candidatura non è nient’affatto solitaria nel centro-sinistra: mi sostiene un vasto arco di forze politiche locali, formato da amministratori pubblici, circoli, professionisti, imprenditori, consiglieri regionali uscenti. Sono stato pressato dagli amici della prima ora, quelli per intenderci che non mi hanno mai abbandonato, neppure nei momenti più bui, vissuti tra il 2018 ed il 2019».

Sarò più diretto: le conviene candidarsi alla guida della Regione?

«E le rispenderò ancora più nettamente: da mesi andavo insistentemente sollecitando un metodo partecipativo per la selezione delle candidature. Già un anno e mezzo fa mi feci da parte per non essere divisivo, pur non essendo assolutamente d’accordo con le scelte che compiute con la candidatura dell’imprenditore Pippo Callipo. I risultati mi avrebbero dato poi ragione».

Clamorosa, per la sinistra, quella sconfitta ad opera della Santelli…

«Disastrosa, direi, grazie ai 25 punti percentuali di differenze con l’allora candidata del cdx Jole Santelli, poi prematuramente scomparsa il 15 ottobre dello scorso anno. In questo tempo, diciamolo chiaramente, la nostra Regione è stata letteralmente commissariata! E’ stata amministrata burocraticamente ed in modo ottuso, con il solo obiettivo di presidiare il territorio al solo scopo di ritagliarsi una candidatura o per le prossime regionali, quelle di ottobre, appunto, o per le politiche del 2023».

Lei pare avercela con i maggiorenti del Partito democratico.

«Ho militato tra le fila di quest’ideologia per quasi mezzo secolo: oggi il partito è stato letteralmente svuotato di ogni partecipazione democratica, i circoli sono stati chiusi, gli amministratori locali sono stati messi fuori gioco. Il partito, attualmente, è ostaggio di un commissario regionale, Stefano Graziano (già deputato regionale con Vincenzo De Luca nel 2015, sconfitto alle politiche del 2018 e dal 2019 commissario del Pd in Calabria, nda), intorno cui si è aggregato un manipolo di soggetti anche con ruoli istituzionali parlamentari e regionali».

Proviamo a farla arrabbiare: durante quella misura cautelare il Pd le fu vicino?

«Che fa, mi prende in giro? Hanno conservato la funzione istituzionale, il loro posto al sole, per intenderci. Tutto il resto è stato mortificato, si è determinata una desertificazione della presenza del Pd sull’intero territorio regionale».

A questa desertificazione, il presidente Oliverio cosa intende opporre?

«Ho sollecitato continuamente l’apertura dei canali della partecipazione democratica, dei circuiti dell’ascolto, dei circoli di partito e delle amministrazioni locali: ho avanzato anche l’ipotesi di addivenire alla scelta del candidato governatore attraverso le “primarie”…».

Una spinta culturale, prima che politica.

«La riapertura dei canali di ascolto è la base del partito: storicamente la sinistra senza la partecipazione democratica è come un corpo senz’anima. Ho scritto al segretario nazionale del Partito Enrico Letta, ho smosso le acque della rappresentanza politica regionale a tutti gli effetti».

Un attimo, onorevole. Lei ha scritto a Letta. E cosa le ha risposto?

«Gli ho rappresentato lo stato dell’arte in Calabria del “suo” Partito Democratico, commissariato dal 2019: gli ho scritto che mi sarei atteso da lui una netta inversione di rotta perchè al momento della sua elezione, appena qualche mese fa, si era accesa una speranza verso i territori. Insomma: gli ho chiesto a gran voce un suo diretto intervento».

Onorevole, non svicoli, le ha mai risposto Letta?

«Ne ho ricavato una grave delusione: il segretario Letta non mi ha mai risposto! Lo conosco, l’ho sempre apprezzato e la mia delusione sta soprattutto nel non aver mai ottenuto una risposta, né in un senso né nell’altro».

Per la Calabria si è mosso anche il responsabile nazionale Enti locali, l’onorevole Francesco Boccia.

«Solo un colloquio telefonico per comunicarmi che la scelta era già stata compiuta in favore della dottoressa Amalia Bruni. Una comunicazione burocratica, senza possibilità di esprimere valutazioni e punti di vista».

Le chiedo ancora di essere sincero: non è che l’abbiano voluta far fuori dalla politica calabrese per i suoi problemi giudiziari?

«Che mi abbiano voluto far fuori è nelle cose, anche perché mi accusavano di non liberarmi di rapporti politici con settori del Pd. Alla fine l’unico ad essere stato emarginato è il sottoscritto, visto che tutti i miei compagni di cordata -consiglieri regionali e parlamentari- sono al proprio posto ad auto incensarsi attorno al commissario regionale, al solo scopo di conservare la loro poltrona».

Allora in versante giudiziario ha pesato?

«Indubbiamente. Ma non potrà sfuggire che quel provvedimento emesso dal Gip distrettuale di Catanzaro, ovvero l’obbligo di dimora a mio carico nel comune di residenza nel momento in cui rivestivo la carica di presidente della giunta regionale, venne sconfessato radicalmente dalla Cassazione con motivazioni nette».

Ovvero?

«Sottolineando (parole della Suprema Coorte) il “chiaro pregiudizio accusatorio” nei miei confronti e “l’assenza totale di indizi di colpevolezza”. E successivamente il Gup, a seguito della mia richiesta di giudizio abbreviato, mi assolveva con la formula più ampia, “perché il fatto non sussiste”. Quell’unica ombra è stata cancellata».

Ci piace scandagliare a fondo: il Pd nazionale come si è comportato con lei?

«So che mi sta provocando. Allora glielo ripeto ancora una volta: il partito nazionale si è nascosto, non ha proferito parola, perché era evidente il pre-giudizio nei miei confronti, come avrebbe sancito la Cassazione, alla fine. Un pregiudizio anche politico, costruito utilizzando quel provvedimento giudiziario».

Il Partito democratico si è sciolto come neve al sole in Calabria…

«Complimenti per l’immagine evocativa. Ma lei sa bene che la neve della mia Sila ammanta le montagne anche per 6 mesi all’anno…».

Insomma un giudizio sull’Oliverio politico ed uno sull’Oliverio indagato/imputato.

«In democrazia i tempi sono diversi. Il popolo ha memoria, ha conoscenza, perché vivo in una terra di meno di 2 milioni di abitanti e conosco uomini, cose e storie. Ho vissuto la Calabria intensamente durante le mie diverse stagioni di rappresentanza: sono conosciuto anche da bambini che nel dicembre del 2018 rimasero increduli. La Cassazione mi ha fatto veramente giustizia…».

Veniamo ai suoi competitors: ad un certo punto sembrava che lei dovesse allearsi con de Magistris…

«In realtà sono state le nostre “diplomazie” a muoversi per noi. C’era la preoccupazione di creare un percorso unitario per poter competere e vincere: non mi sono opposto a questo percorso comune attivato da comuni amici, tra i quali l’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano ed altri che avevano a cuore la mia storia politica. Solo se ci fossero state le condizioni per costruire un’alleanza per opporsi e sconfiggere le destre, avremmo discusso nel merito e trovato, eventualmente, un percorso comune».

Alla fine non l’avete imboccato questo percorso comune…

«De Magistris, evidentemente, ha l’obiettivo di entrare in Consiglio regionale e non di competere per vincere. Alla fine ognuno è andato per la sua strada: ho seguito quella dei miei amici che hanno esperienze nei comuni, con funzioni istituzionali, che vivono l’associazionismo».

Andiamo nel cuore del centro-sinistra: come mai non si è accordato con la professoressa Amalia Bruni?

«Persona ottima che stimo. Il problema è che la sua designazione è frutto di un “casting politico”. Lo ripeto ancora: il Partito democratico ha sostituito al metodo della discussione democratica quello del “casting cinematografico”. Ha incominciato a scegliere autocraticamente: prima con Nicola Irto, demolito per inseguire i 5Stelle cui il Pd ha, in pratica, consegnato un potere di veto; poi è stato il turno dell’imprenditrice Maria Antonietta Ventura, costretta ad abbandonare per le vicende giudiziarie delle sue aziende. E così si è arrivati alla Bruni».

Un percorso teleguidato…

«Esatto, senza che venissero affrontati (e risolti…) i nodi politici programmatici, il profilo della coalizione. Senza che, soprattutto, avvenisse una minima forma di rinnovamento, anche nelle persone dei candidati. Le operazioni di basso profilo, evidentemente, non hanno raggiunto l’età della pensione…».

Nella foto che ritraeva Amalia Bruni e Enrico Letta, il giorno della scelta della candidata-governatrice, si notava la presenza di Nicola Adamo e della moglie Enza Bruno Bossio, un tempo suoi sodali…

«La foto mi è sfuggita: con Nicola Adamo e la moglie non ho rapporti da circa un anno».

Ora se li ritroverà avversari.

«Mi saranno sfuggiti perché non li sento e non li incontro da tempo».

Lei si è già rassegnato ad una vittoria di Roberto Occhiuto e di Antonio Spirlì?

«Assolutamente no: si dà per scontato che il centro-destra abbia conquistato la Regione, io non mi rassegno assolutamente. Ci troviamo di fronte ad una minestra riscaldata: una destra che ha governato la Regione senza aver dato risposte e soprattutto che ha utilizzato metodi clientelari, leve del potere e risorse per rispondere ad interessi ristretti».

Ci faccia degli esempi…

«Il dramma della sanità commissariata. Non mi è stata data la possibilità di “mettere becco” sul commissariamento, voluto dal centro-destra e poi proseguito anche dai governi di centro-sinistra. Sono prevalsi interessi lobbistici, legati alla sanità privata. Detto ancora più sinceramente, il tandem-Occhiuto-Spirlì non potrà rappresentare il futuro di questa terra, l’innovazione di cui abbiamo bisogno».

Lei ha governato dal 2014 al 2019. Cosa resterà di quella sua mission?

«Nel corso della mia guida, ho messo in campo un progetto di prospettiva che abbisognava di tempo. I grandi ritardi strutturali (viabilità, ferrovie, aeroporti), hanno bisogno di tempo per essere risolti. Il rinnovamento della ferrovia jonica, il porto di Gioia Tauro, la rete aeroportuale calabrese, sono progetti di respiro lungo per cercare di tamponare ritardi che la Calabria ha accumulato. La mia corsa è stata fermata con lo strumento giudiziario…».

Come finirà?

«Siamo quattro candidati in campo e dal versante progressista mi auguro che ci possa essere un rinsavimento dell’ultima ora per ricomporre il centro-sinistra, mettendo in campo un candidato unitario».

Ci faccia capire: passo indietro per de Magistris e Bruni e lei candidato unico?

«Non antepongo la mia persona al progetto unitario e penso che dovrebbe ragionare così anche quella parte della coalizione che incarna la responsabilità di dirigere questo cambiamento, ovvero il Pd ed il suo segretario nazionale Letta che, detto sinceramente, avrebbe dovuto metterci più direttamente il naso e non nascondersi dietro un commissario regionale».

Panorama.it Egidio Lorito, 19/08/2021

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