martedì, 26 Novembre 2024
Elly Schlein è un nome, non la soluzione dei mali del Pd
Elly Schlein tra qualche giorno scioglierà la sua riserva sulla candidatura a segretario Pd. Ma non si capisce davvero, in questa telenovela per appassionati del genere, chi debba guadagnarci. Forse il Pd, che in queste ore qualcuno vorrebbe ribattezzare “Pdl”, cioè “Partito democratico e del lavoro”? Certamente no. Il punto è che non si cambia l’identità di un partito con un tratto di penna: non basta cambiare etichetta e definirsi “partito dei lavoratori”, quando la classe operaia (quella che è rimasta in piedi) ti ha già voltato le spalle da anni. Allo stesso tempo, non si cambia l’identità di un partito affidandosi all’ennesimo enfant prodige di cui si è innamorata la Ditta. Non si comprende come un partito che vorrebbe ritornare a parlare alle periferie e al proletariato possa farsi rappresentare da un’ecologista con passaporto svizzero-americano. Al contrario, Schlein sembra la persona giusta per corroborare il secolare complesso di superiorità dell’avanguardia del partito: tutte funzioni che solleticano la superbia dei circoletti intellettuali, ma che non fanno vincere le elezioni.
Dunque non ci guadagnerà affatto il Pd, che rischia di certificare la sua subalternità agli intellettuali salottieri, consegnandosi definitivamente a quell’elìte marziana che reputa i diritti civili green e arcobaleno più importanti del pagamento delle bollette. E abbiamo visto di recente, con il caso Soumahoro, quanto irresistibile sia la tendenza di un certo milieau intellettuale-giornalistico progressista, a venerare l’astro nascente di turno, che spesso si rivela una cocente delusione. Il personaggio buono per i canali televisivi, per i flash dei fotografi, per i convegni estivi. Che asseconda gli entusiasmi della gente che conta, che sfama il desiderio di novità del popolo della Ztl: mentre tutti gli altri possono attendere.
Ma, detto questo, dubitiamo che la stessa Schlein possa incassare qualcosa di buono da questa ancora ipotetica candidatura. Il Pd non è un partito scalabile: c’è una burocrazia sempiterna, perennemente al potere, che si diverte a fare e disfare segretari a seconda di come gira il vento. Al piano inferiore, un girone infernale di correnti che si accoltellano tra di loro, disposte a tutto per strappare agli avversari una poltrona in più. Schlein rischia di arrivare al Nazareno e restare stritolata dagli egoismi che in quel partito sono ormai calcificati, e resistono a qualsiasi riforma. Proprio così: il Pd è zeppo di personaggi che preferirebbero perdere cento volte le elezioni, piuttosto che darla vinta alla corrente avversaria. Chiamiamolo tafazzismo, autolesionismo, carrierismo. Ma resta pur sempre una miscela avvelenata contro la quale nessuno sembra ancora avere antidoto: men che meno Elly Schlein.