Emilia Romagna: cosa non ha funzionato

Il maltempo che ha colpito l’Emilia Romagna nel giro di un giorno e mezzo ha messo in ginocchio la Regione che oggi conta 15 vittime e decine di dispersi. Un fenomeno di una potenza incredibile che ha fatto esondare 23 corsi d’acqua, provocando 280 frane e la chiusura di oltre 400 strade. Ma le vittime e gli ingenti danni, potevano essere in parte evitati o almeno mitigati?

«La rete idrografica della nostra regione è fitta di corsi d’acqua che attraversano una pianura densamente abitata. Ma ahimè gli argini sono stati costruiti solo per determinate portate d’acqua che non erano certamente adeguate alle piovosità del 16 e del 17 maggio»-commenta il presidente dei geologi dell’Emilia Romagna, Paride Antolini.

Cosa può dirci delle vasche di laminazione?

«Le vasche di laminazione che servono per far scorrere l’acqua naturalmente dove il fiume si espande, sono state progettate per eventi meno impattanti ma se ce ne fossero state di piu sicuramente avrebbero mitigato un po’ il fenomeno insieme alle casse di espansione che sono ancora troppe poche in Emilia Romagna. Nelle mappatura del piano alluvioni l’Emilia Romagna è la regione con il più alto rischio idrogeologico che vede la presenza del 62% della popolazione proprio nelle zone più critiche».

Cosa si dovrebbe fare?

«Si deve senza dubbio lavorare sulla mitigazione, dare più spazio ai fiumi, non restringere o deviarne gli alvei, lavorare sull’espansione dei cosiddetti invasi di laminazione, ovvero sulle aree che rimangono normalmente vuote e fruibili dal punto di vista ambientale, turistico, agricolo e che possono all’occorrenza, assorbire parte della piena del fiume evitando esondazioni più a valle vicino ai centri abitati. In montragna invece si dovrebbe puntare sulla rifosterazione e il mantenimento dei boschi per impedire all’acqua di scendere a valle. Sono cose a cui si sta lavorando, anche se con qualche ritardo. Non posso escludere però che, malgrado la realizzazione di opere del genere non avremmo comunque potuto impedire quanto è accaduto».

Per la ricercatrice del Cnr Paola Salvati (IRPI) va tenuta sotto controllo la variante pluviometrica

«Dal 2000 stiamo lavorando alle mappature idrogeologiche delle regioni, siamo stati tra i primi in Europa, solo che adesso abbiamo un problema nuovo. È un elemento cruciale che ci sta mettendo in difficoltà e riguarda il cambiamento dei regimi pluviometrici, perché rappresenta una delle variabili più severe. In pratica si passa dalla siccità ad una piovosità intensa».

Questo cosa comporta?

«Comporta che ovviamente adesso si devono rivalutare tutte le aree a rischio in funzione di questa variabile ancora estremamente incerta. Per questo anche in tempo di “pace” lavoriamo con la comunità scientifica di concerto con tecnici e funzionari dei territori per allineare queste varianti che sono l’elemento innescante di tutti gli impatti al suolo e delle inondazioni. Gli stessi argini sono stati pensati per una portata di acqua calcolata negli ultimi 50 anni ma non è più così. Va rivalutata la mappatura delle aree a rischio sui nuovi fenomeni».

Cosa state facendo a riguardo?

«Ovviamente adesso si devono rivalutare tutte le aree a rischio in funzione di questa variabile ancora estremamente incerta. Per questo anche in tempo di “pace” lavoriamo con la comunità scientifica di concerto con tecnici e funzionari dei territori per allineare queste varianti che sono l’elemento innescante di tutti gli impatti al suolo e delle inondazioni. Gli stessi argini sono stati pensati per una portata per il regime pluviometrico calcolato negli ultimi 50 anni ma non è più così. Va rivalutata la mappatura delle aree a rischio sulla base dei nuovi fenomeni».

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